martedì 30 ottobre 2007

Cosa si può fare per Halloween / Samhain

Sono ormai diversi anni che gli inquisitori tentano di
denigrare la festa di Halloween, nel vano tentativo di
spaventare le persone hanno dato libero sfogo alla
fantasia.
Come pagani ci viene spontaneo organizzare i rituali
per celebrare questa festività, noto che alcuni di
questi riti non vengono celebrati in maniera pubblica.
Non discuto sulle scelte organizzative e sulle
motivazioni che hanno portato tanti organizzatori ad
effettuare una simile scelta, anch'io partecipo ad un
rito non pubblico e riservato. Sono però convinto che
i pagani debbano cominciare a pensare di proiettare
maggiormente le loro iniziative verso l'esterno.
Esistono in ambito pagano numerosi eventi che sono
annunciati con largo anticipo e che si svolgono in
maniera pubblica. Halloween, al momento, sembra
sfuggire a questa logica. Però anche per questa festa
c'è stato chi ha scelto di renderla pubblica.
Sotto riporto una relazione relativa ad una
celebrazione di Hallowenn dello scorso anno tenuta a
Milano. La notizia è ripresa da um messaggio della ml
Wiccanews dell'amico Giampaolo, il messaggio è il nr.
1150. Bisogna fare i complimenti a tutti coloro che
hanno così celebrato Halloween. Ottima l'idea di
distribuire un volantino che spieghi la visione pagana
della festa di Halloween/shamhain.
Speriamo che per il prossimo Halloween ci siano
moltissime persone che agiscano in analogo modo.
Il volantino è ben realizzato, e può costituire un
buon testo di presentazione, affinchè questo testo non
vadata perduto l'ho pubblicato sul blog:
http://paganesimo.blogspot.com

se qualcuno vuole il testo, in formato Word o Pdf, mi
scriva pure.
Francesco Scanagatta
----
http://it.groups.yahoo.com/group/wiccanews/message/1150

Ricevo e volentieri pubblico una lodevole iniziativa
in occasione
dello scorso Capodanno Celtico.
Ringrazio Zelda per l'attenzione


***


Vi scrivo perché vorrei segnalare un'iniziativa che ho
organizzato in occasione del Capodanno Celtico al
Castello Sforzesco di Milano, e che invito tutti a
fare dal prossimo anno in poi.

Io e le mie sorelle di Cerchio ci siamo recate sabato
28 ottobre di primo pomeriggio al Castello Sforzesco,
vestite da streghe, e abbiamo distribuito caramelle a
tutti i bambini che incontravamo. Era bellissimo
vedere come si illuminavano gli occhietti difronte ad
una tale fortuna: insomma non si incontra tutti i
giorni chi ti regala caramelle e cioccolatini :)
Triste, però, scoprire che in due o tre casi i
genitori ci guardavano storto e vietavano ai figli di
avvicinarsi...
Per fortuna il resto dei genitori era più che
favorevole alla nostra iniziativa, tanto che
chiedevano di farci le foto con i bambini o
addirittura con loro!

Uno degli scopi prefissi, non era tanto quello di
aumentare le entrate dei dentisti, quanto di
diffondere informazioni veritiere su Halloween.
Infatti
l'anno scorso ho letto molti articoli su parroci poco
"sportivi" che invitavano i fedeli a non festeggiare
Halloween in quanto ritenuta una
festività satanica!! Nulla di più falso, come
sappiamo, e così quest'anno abbiamo preparato 200
volantini A4 su cui c'erano descritte le vere origini
di Halloween/Samhain, sottolineando che non è una
trovata americana, ma una ricorrenza europea
antichissima. Il tutto corredato da zucche, streghine
colorate e il nostro sincero sorriso. Molte persone ci
chiedevano più copie da distribuire tra i colleghi e
gli amici, altri si fermavano a chiedere
informazioni. Un successo.
I 200 volantini sono finiti praticamente subito, ma
credo che il messaggio sia arrivato. E, avendo
distribuito il volantino anche on-line, ho saputo
che altri wiccan hanno seguito l'esempio in altre
parti d'Italia.

Per completare la giornata abbiamo portato scatolette
di cibo per gatti e sfamato la colonia di mici del
Castello Sforzesco. Questo per lanciare un
messaggio ben preciso: amiamo gli animali e la natura.
E non facciamo sacrifici di alcun genere - se non
quelli nel nostro portafoglio!! :p
Nel castello Sforzesco, infatti, esiste una numerosa
colonia di mici bisognosa di cure mediche e cibo.
Fortunatamente i gatti castellani avranno
sempre gattari - e streghe - che li sfameranno con
amore.

Insomma si può fare molto per cancellare i pregiudizi
sui pagani, basta iniziare, anche con poco.
L'importante però è iniziare.
Chiunque voglia il testo del volantino per stamparlo e
distribuirlo il prossimo anno può richiederlo qui:
zeldaluna@...

Zelda


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lunedì 29 ottobre 2007

Il Vaticano impazzito: Halloween va boicottata

Il Vaticano impazzito: Halloween va boicottata, è
pedofilia spirituale
E il presidente della CEI Angelo Bagnasco è d'accordo


26 Ottobre 2007

La notizia, innanzitutto. Un sacerdote di Genova, don
Marino Bruno, insegnante di religione e parroco della
chiesa di Santa Maria delle Nasche, attraverso le
colonne del settimanale cattolico Il Cittadino lancia
una vera e propria scomunica: «Halloween», scrive, «è
pedofilia esercitata in campo morale, spirituale,
mentale, senza violentare il corpo».

Halloween è una festa molto diffusa nel mondo
anglosassone, e da qualche anno ha preso piede anche
in Italia: dove a festeggiare sono soprattutto gli
adulti; negli Stati Uniti e nei paesi di lingua
inglese la tradizionale visita ai defunti è diventata
la festa delle zucche, con bande di ragazzini che
bussano alle porte di casa con lo slogan: "Dolcetto o
scherzetto".

Anche se non è stagione, don Bruno può benissimo aver
preso il classico colpo di sole; nulla di grave. Ma se
la scomunica riceve l'imprimatur dell'arcivescovo
Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza
Episcopale Italiana, le cose mutano. Bagnasco, nel
corso di un incontro riservato con i sacerdoti del
seminario arcivescovile tenuto prima della partenza
per Santo Domingo e Cuba, ha dato disposizione che il
contenuto dello scritto di don Bruno venisse diffuso e
affidato a tutti i parroci perché ne diano ampio
risalto nella predicazione ai fedeli. Del resto il
testo dell'articolo era stato approvato, prima della
pubblicazione, dal direttore dell'Ufficio catechistico
della Curia don Bruno Sopranzi.

Don Bruno (e con lui la chiesa genovese) dunque
inviteranno «i genitori e gli educatori cristiani ad
evitare ogni manifestazione legata ad Halloween… a
fare un'obiezione di coscienza… a non festeggiare
Halloween». I commercianti che si riconoscono negli
insegnamenti della Chiesa cattolica vengono
sollecitati a boicottare il marketing legato ad
Halloween: «Noi siamo cristiani, non festeggiamo
Halloween, potrebbe essere la risposta. Noi siamo
cristiani, potrebbe essere la frase da 'obiettore di
coscienza' di pasticcieri, giornalai, cartolibrari, di
fronte alla domanda del cliente che chiede: ma non
avete nulla per Halloween?».

L'articolo di don Bruno è un'epifania di scempiaggini:
«C'è un abisso tra questa ricorrenza e il Carnevale: i
mandanti di questo carnevale d'ottobre sono gli stessi
che stanno cercando di bombardare, con stile
politically correct, la religione in sé e quella
cattolica in particolare…esoterismo, lobby politiche e
filosofiche che lavorano per svilire il senso del
sacro e il rispetto che gli si deve e che hanno quali
prede preferite i bambini».

Insomma: la festa delle zucche sarebbe pericolosa come
l'adescamento dei pedofili. «Halloween è solo un
gioco, viene detto da troppi; ma ci rendiamo conto di
quale messaggio si ricolma la mente dei bambini in
conseguenza a questo gioco? Il messaggio che
confusamente passa è che in quella notte bisogna
travestirsi in modo tale da far paura, perché si fa la
parte dei morti che devono spaventare le persone. Qui
c'è ben di più rispetto ai vari credi religiosi o
filosofici: è in gioco l'equilibrio psicologico del
bambino sulla vita e sulla morte».

Ma davvero, ovunque siano, i nostri cari, i nonni e i
padri, gli amici e tutti coloro cui abbiamo voluto
bene, si possono sentire offesi perché dei ragazzini
mascherati vanno in giro casa per casa a "minacciare"
"dolcetto o scherzetto"? Ma davvero, ovunque essi
siano, le persone che si sono incamminate prima di noi
in quel viaggio senza ritorno, possono dolersi del
fatto che noi, qui, si sorrida e si cerchi un momento
di svago? Ma davvero, ovunque essi siano, i nostri
cari dovrebbero sentirsi soddisfatti e appagati nel
vederci tristi, immusoniti, tetri; è davvero questo
che crediamo vogliano da noi?

È esattamente questo che ci dicono gli uomini della
Chiesa cattolica. Non è solo don Bruno a sostenere
quelle scempiaggini, e non è solo Bagnasco a
sottoscriverle. Anni fa il cardinale di Palermo
Salvatore De Giorgi se ne uscì dicendo che «due feste
liturgiche tra le più care al nostro popolo e alla
nostra cultura cristiana, sono state contaminate da un
rito consumistico e carnevalesco, di importazione
americana, che non ha nulla in comune con le nostre
tradizioni».

Un rito, quello di Halloween, che «costituisce
un'offesa all'autentica pietà verso i defunti e un
ulteriore segno di cedimento alle invadenti
espressioni colonizzatrici della globalizzazione».

Perbacco! Ma come si possono concepire corbellerie del
genere? Si potrà dire, credere e pensare che raramente
è accaduto di sentire un così straordinario
concentrato di stupidaggini?

Dal momento che la mamma delle cretinate è sempre
gravida, è anche accaduto che un assessore alla
pubblica istruzione di Gela, militante del Partito dei
Comunisti italiani di Oliviero Diliberto abbia avuto,
un giorno, una bella idea: un milione di compenso a
quelle scuole che avessero rinunciato, e anzi avessero
boicottato Halloween. Anche agli occhi di chi,
tetragono, non prova un filo di imbarazzo a
qualificarsi come "comunista" è "peccato" che dei
ragazzini chiedano pasticcini, dolciumi, spiccioli; e
che degli adolescenti ne approfittino per spassarsela
un po'. E perché tanto fastidio? Perché si tratterebbe
di una sorta di inquinamento del nostro essere e del
nostro spirito; ci corromperebbe e distoglierebbe da
più sane tradizioni nostrane.

Tornano in mente così sciovinismi che si credevano
morti e sepolti. Per intenderci: quelli che
costringevano a assurde traduzioni di nomi
anglosassoni, come capita di trovarne quando si
rivedono i film western di John Ford, o si sfogliano i
primi albi della Walt Disney: dove per non
"corromperci", si finiva con il battezzare Donald Duck
in Paolino Paperino, e Michey Mouse diventava Topolino
Michelino.

Sarà, il nostro, un eccesso di malizia; ma in queste
ricorrenti "denunce", in queste "crociate", si
scorgono tutti i segni evidenti di uno spirito
antiamericano più o meno latente e più o meno
inconscio che, come un fiume carsico, si manifesta poi
nelle forme più impensate. Siamo pieni di feste
"straniere" e "laiche" che si mescolano con le
"tradizioni" cristiane. Eppure ci si scaglia solo
contro Halloween.

Come sia, per personale antidoto contro questa
ennesima manifestazione di intolleranza clericale, per
la prima volta chi scrive esibirà alle sue finestre la
famigerata zucca illuminata. "Dolcetto o scherzetto"
sarà la parola d'ordine. Soprattutto: ci lascino
campare!

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 26 ottobre 2007)

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sabato 27 ottobre 2007

Un "amen" per Israele: chi sono i cristiano-sionisti

Un "amen" per Israele: chi sono i cristiano-sionisti
di Rebecca Harrison - 23/10/2007
Fonte:Comedonchisciotte
SHILOH, Cisgiordania – Portando addosso uno zucchetto con la stella di David e mostrando una fervida fede nell’idea Dio abbia dato la Terrasanta agli ebrei, Paul McCaleb potrebbe essere scambiato per un colono ebreo. Questo 73 enne del Tennessee è in realtà un cristiano rinato, parte di un crescente gruppo di devoti protestanti, molti dei quali provenienti dagli Stati Uniti, che appoggiano Israele con i loro voti e i loro portafogli. "L’essere venuto qui ha cambiato qualcosa dentro di me," ha detto McCaleb a Shiloh, un sito sacro ebraico nella Cisgiordania occupata, dove la Bibbia afferma sia stata un tempo posata l’Arca dell’Alleanza. "Questa terra appartiene a Dio, e Dio l’ha data agli ebrei". McCaleb e circa altri 7000 cristiani, in gran parte evangelici, provenienti da tutto il mondo, si sono radunati questa settimana in terra Santa per celebrare la festa ebraica di Sukkoth e dimostrare il loro appoggio per Israele. Durante l’evento vagonate di pellegrini hanno viaggiato in autobus blindati verso i siti ebraici in Cisgiordania—che alcuni ebrei chiamano Giudea e Samaria—e verso gli insediamenti ebraici che sono considerati illegali in base al diritto internazionale. Alcuni pellegrini hanno visitato le basi militari e portato regali ai soldati israeliani, mentre altri hanno donato soldi per comprare rifugi mobili antibomba per le comunità vicine al confine con la striscia di Gaza che sono spesso prese di mira con razzi dai militanti palestinesi dell’enclave. Gridando "Amen" e "Hallelujah" mentre i coloni fungevano da guide turistiche impegnate a resistere nella "terra dei loro padri" in Cisgiordania, i pellegrini affermavano che era loro dovere di cristiani appoggiare Israele contro una più ampia minaccia islamica. "Siamo qui per appoggiare il popolo ebraico e benedirlo" ha detto il californiano Scott Fritz. "L’idea di restituire la terra ai palestinesi è completamente sbagliata". "MISSIONARI PERICOLOSI"Un gruppo chiamato International Christian Embassy Jerusalem [Ambasciata Cristiana Internazionale di Gerusalemme, ICEJ n.d.t.] organizza l'annuale festività, che culmina il martedì con una marcia attraverso la città santa.Quest'anno alcuni rabbini ortodossi hanno sollecitato gli ebrei a rimanere distanti dai pellegrini in marcia per paura che i cristiani--molti dei quali credono che Gesù sia l'unica speranza per la salvezza--potessero cercare di "sterminare" il popolo ebraico convertendoli.La ICEJ ammette di "non poter offrire alcuna speranza al di fuori di Gesù", ma sostiene che cristiani ed ebrei condividono le stesse radici spirituali e afferma di voler aiutare a cancellare l'eredità dell'antisemitismo."Non c'è alcuna agenda segreta", ha detto il direttore dell'ufficio stampa della ICEJ, David Parsons. "I cristiani stanno capendo che Dio ama ancora gli ebrei e che il loro ritorno in Israele è di grande significato biblico".Alcuni cristiani, in particolare i protestanti evangelici, credono che il ritorno degli ebrei in Israele apra la strada al ritorno di Cristo e alla fine del mondo, e rappresenti l'adempimento delle promesse di Dio ai patriarchi biblici.I cristiano-sionisti formano una crescente parte della lobby pro-Israele negli Stati Uniti, il maggiore alleato dello Stato ebraico.Gruppi come la International Fellowship of Christians and Jews [Associazione Internazionale di Cristiani ed Ebrei, n.d.t.] con sedi a Chicago e Gerusalemme raccolgono ogni anno milioni di dollari per appoggiare progetti in Israele e fare lobbying a Washington.Durante il viaggio verso Shiloh i rappresentanti del movimento dei coloni ebrei ha sollecitato i pellegrini--alcuni dei quali indossavano cappellini da baseball con la scritta "Pregate il Signore"--di fare pressione sui loro governi contro i colloqui di pace che potrebbero portare ad uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza."I governi vanno e vengono ma chiunque cerchi di dare via la terra di Dio cadrà," ha affermato in uno degli autobus il colono Yehudit Tayar suscitando applausi da parte dei pellegrini."ESCLUSIVISMO RAZZIALE?"Non tutti i cristiani appoggiano Israele. L'inviato del Vaticano in Terrasanta e vescovi di altre tre chiese hanno accusato, l'anno scorso, il movimento dei cristiano-sionisti di promuovere "l’esclusivismo razziale e la guerra perpetua".Mentre i pellegrini in Israele questa settimana sembravano desiderosi di visitare le città e gli insediamenti ebraici, pochi sembravano disposti ad avventurarsi nelle città palestinesi o ad incontrare molti arabi durante la loro permanenza.Non osiamo andare nelle aree palestinesi e in ogni caso loro non sono ben disposti verso di noi, ha detto Elizabeth Lee, una cristiana pentecostale proveniente dalla Malaysia che è stata in Israele 40 volte.Molti pellegrini vedono il conflitto israeliano con i palestinesi come un'estensione della "Guerra al Terrorismo" del presidente Usa George W. Bush, e hanno parlato di uno scontro tra il bene e il male.Mark Burns è un ardente sostenitore di Israele che gestisce stazioni radio cristiane in Illinois e porta ogni anno dei gruppi in Terrasanta per donare sangue e denaro."I cristiani che leggono le scritture ebraiche sanno che Dio ha fatto una promessa a Israele," ha detto. "Le persone che non sanno nulla del Vecchio Testamento possono essere persuase ad appoggiare l'altra parte".Ma mentre l'autobus brontolava passando attraverso un checkpoint israeliano e attraverso la barriera in Cisgiordania che Israele afferma sia necessaria per fermare gli attentatori suicidi, l'australiana Denise Vince non si mostrava così sicura."Non conosco tanto la politica ma ho proprio l'impressione di stare sentendo soltanto un lato della storia".
Titolo originale: "'Amen' for Israel, say Christian Zionists"
Fonte: http://uk.reuters.com 02.10.2007
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da ALCENERO

Gli Usa fanno i conti con la siccità

Gli Usa fanno i conti con la siccità
di Marina Forti - 24/10/2007 - Il Manifesto
La parola «siccità» compare sempre più spesso, sulla stampa statunitense. E con buona ragione: le riserve d'acqua stanno declinando in modo pericoloso in particolare negli stati meridionali Usa. Gli stati sud-orientali si trovano per la prima volta da 100 anni in una situazione che i climatologi definiscono «siccità grave», e alcune città prevedono che tra pochi mesi non sapranno come rifornire i propri acquadotti. Dalla Carolina settentrionale all'Alabama, e un susseguirsi di sindaci che appelli a non sprecare acqua e ordinanze che vietano di annaffiare i giardinetti. La cosa fa scalpore, perché è una regione abituata piuttosto a grandi piogge e uragani: la penuria d'acqua coglie di sorpresa. Eppure, a scorrere i giornali in questi ultimi giorni, è un susseguirsi di allarmi: èer il secondo anno consecutivo le piogge sono state scarse. E ora, dopo mesi di cieli blu e senza nubi, laghi e reservoirs che riforniscono città piccole e grandi si stanno svuotando. In tutta la Georgia settentrionale è ormai vietato annaffiare i giardini o lavare l'automobile davanti a casa, gli autolavaggi sono costyretti a chiudere, e molti allevatori vendono le mandrie perché i pascoli stanno seccando. A Atlanta la settimana scorsa il sindaco Shirley Franklin ha fatto appello ai cittadini a conservare acqua, autolimitarsi: la Georgia non aveva mai conosciuto una situazione così grave. Per il North Carolina e il Tennessee è l'annata più secca da quando esistono dati storici, per l'Alabama e il Kentuky ci siamo vicini. E l'ultima stagione di uragani, tra la tarda primavera e l'estate, non è neppure servita a ricostituire le riserve naturali da cui attingono gli acquedotti urbani (e i sistemi di irrigazione nelle zone agricole).Le cose non vanno meglio negli stati sud-occidentali, dal bacino del fiume Colorado fino alla California, che pure sono abituati a far fronte al clima semi-arido. Il fiume Colorado, alimentato dallo scioglimento delle nevi delle Montagne Rocciose, registra una portata d'acqua molto ridotta: e da quell'acqua dipendono circa 30 milioni di persone in Colorado, Utah, Wyoming, New Mexico, Arizona, Nevada e California (meridionale). Il volume della neve invernale sulla Sierra Nevada ha toccato il livello più basso degli ultimi 20 anni - e quella neve fornisce gran parte dell'approvvigionamento idrico della California settentrionale. Il lago Mead, un enorme reservoir tra Arizona e Nevada che assicura quasi tutta l'acqua di cui si serve la città di Las Vegas, è per metà vuoto.Sperare nella pioggia? Certo, tutti ci sperano. Ma la siccità di questi mesi sembra rimandare a cambiamenti più a lungo termine: un lungo servizio pubblicato domenica dal New York Times Magazine definisce la penuria d'acqua dolce «l'altro» problema idrico legato al cambiamento globale del clima. Altro, nel senso che tra gli effetti del riscaldamento del clima si parla più spesso dell'innalzamento del livello degli oceani dovuto allo scioglimento dei ghiacci polari.I mari che sommergono linee costiere sono una prospettiva allarmante, anche perché le regioni costiere e dei delta fluviali sono di solito tra le più densamente popolate al mondo. Non è meno preoccupante però la prospettiva di grandi regioni interne che restano a secco. Secondo le più ottimistiche previsioni per il prossimo mezzo secolo, ad esempio, il volume delle nevi sulla Sierra Nevada è destinato a dominuire stabilmente tra il 30 e il 70 percento rispetto a oggi, sostiene Stephen Chu, direttore del Lawrence Berkeley National Laboratory (e Nobel per la fisica nel 1997), citato dal Nyt Magazine. Ovvero, la California settentrionale dovrà razionarsi l'acqua in modo stabile. Lo stesso vale per le Montagne Rocciose da cui nasce il fiume Colorado: al punto che le falde idriche nella regione sono sempre più basse. Inutile dire che la penuria d'acqua fa sorgere conflitti d'interesse: tra usi urbani e usi agricoli, e tra città più o meno «potenti» (dunque in grado di accaparrarsi le scarse riserve disponibili). Sperare nella pioggia sembra un po' poco.

Cibi al veleno, mozzarella e carne ecco i gangster della tavola

Cibi al veleno, mozzarella e carne ecco i gangster della tavola
di Paolo Berizzi - 24/10/2007 - La Repubblica
Alimenti contraffatti, vino sintetico, olio colorato artificialmente.Viaggio nel business da un miliardo l'anno.

CASERTA - Le mozzarelle galleggiano nella vasca di raffreddamento. Sbattono una contro l'altra. Hanno cortecce nodose, imperfette. Il tempo di arrivare a temperatura, di rassodarsi, e un nastro d'acciaio le destina alla salamoia, ultima liturgia prima del confezionamento."Queste se ne vanno in America" fa il casaro senza staccare gli occhi dalle sue creature. Sono mozzarelle di bufala taroccate. Piene di latte boliviano. Latte in polvere rigenerato, corretto col siero innesto e mischiato con quello locale casertano, che costa quattro volte tanto e per questo sta attraversando un periodo di vacche magre. Il "boliviano" arriva ogni settimana via Olanda ai porti di Napoli e Salerno. Con le loro autocisterne i produttori campani si attaccano alle navi come fossero mammelle. Fanno il pieno. Poi riempiono i serbatoi dei caseifici. Agro aversano, litorale domizio, alto avellinese, salernitano.Incrociano e imbastardiscono. E guadagnano. Le bufale bolicasertane il casaro le piazza sul mercato a 6 euro al chilo anziché 9. Per produrle spende una miseria. La materia prima per fare un chilo di mozzarella costa circa 5 euro. Il latte di bufala 1,35 al kg. Con 1 kg di latte boliviano (50 centesimi) di chili di mozzarella se ne fanno 5. Una "bufala" delle bufale che ammazza il mercato. Una delle tante sofisticazioni che infettano le terre da dove vengono i migliori e anche i peggiori prodotti agro alimentari su piazza. Puglia, Campania, basso Lazio.E' un mondo senza etica e con regole fisse (le loro) quello dei pirati della tavola. Abbattere i costi. Creare un prodotto mediocre, a volte immangiabile. Che però viene immesso normalmente sul mercato. Rischi bassissimi, ottimi guadagni, possibilità di riciclare ingenti quantità di denaro. "Il business più fiorente è il riciclaggio di prodotti scaduti - dice il colonnello Ernesto Di Gregorio, comandante dei Nas di Napoli con delega su tutto il Sud - . Poi, certo, i tarocchi: latticini, olio, vino, concentrato di pomodoro, carne, pesce". Sconfezionano e riconfezionano gli spacciatori di cibo. Appiccicano etichette posticce, "rinfrescano" prosciutti e salami. Tengono in vita la carne con nitrati e solfiti. I primi abbattono la flora batterica, i secondi mantengono il colore.Così hamburger e salsicce possono resistere per giorni, senza dare nell'occhio, al banco della vendita. "Tagliano" le mozzarelle, le sbiancano, le gonfiano. Allungano e colorano l'olio, impestano il vino. Sganciano bombe sul nostro sistema gastrointestinale e circolatorio.Sono banditi della tavola. Professionisti della frode capaci di inserirsi nella catena della piccola e della grande distribuzione, di puntellare con quintali di merce truccata un mercato che rende qualcosa come 1 miliardo di euro l'anno. Smerciano prodotti che invadono le nostre tavole, che riempiono gli scaffali delle botteghe e dei supermercati, che ritroviamo proposti nei menù dei ristoranti e in quelli meno ambiziosi delle mense e delle tavole calde. Aziende, uffici pubblici, navi, caserme. "Vede, queste invece vanno al Nord. Ormai su la bufala la trovi dappertutto, e la compri anche bene". L'uomo ha un faccione ispido. I polpastrelli duri e ustionati (mettete le mani nella pasta di latte a 90 gradi per vent'anni).I modi smaliziati del sensale di un tempo. Apprezza il "don" anteposto al nome. "'A bufala piace a tutti, ce la chiedono, e noi gliela mandiamo... ", gongola. E' un produttore sofisticatore. Tarocca mozzarelle e ricotte. Le produce mischiando latte bufalino locale e latte congelato e liofilizzato proveniente dall'estero. Cagliate targate Romania, Ungheria, Polonia, Estonia, Lituania. E, ultima novità, il "boliviano". "Almeno la metà dei 130 caseifici che hanno il marchio Dop sofisticano la mozzarella di bufala", è l'allarme lanciato da Lino Martone, segretario del Siab, il sindacato degli allevatori bufalini di Caserta. "Non è così, il prodotto Dop, almeno quello, lo garantiamo", replica Luigi Chianese che del consorzio Mozzarella di bufala campana è il presidente. "Con gli altri prodotti forse qualche problemino c'è - ammette - ma dobbiamo ancora capire bene dove sta".Pare tutto perfetto, tutto normale in questo caseificio di Cancello e Arnone. Alto casertano, 5 mila anime a cavallo delle due rive del Volturno. Una densità casearia pari a quella camorristica. Trattori e Mercedes tirate a lucido. Fa impressione vederle scivolare tra le campagne impregnate di diossina (per questo, dice Guglielmo Donadello di Legambiente, "la mozzarella campana oggi è uno dei prodotti più pericolosi d'Italia"). Al volante, uomini in canotta e in età matura. Accade a Casal di Principe, a Castel Volturno, a Grazzanise, a Marcianise. Sono i feudi del clan dei casalesi, i potenti camorristi le cui fortune milionarie poggiano soprattutto sul calcestruzzo. Ma non solo. Nascono come allevatori e casificatori i casalesi, molti di loro continuano il mestiere (come racconta un'indagine della Dda di Napoli). Le famiglie Schiavone, Zagaria, Iovine: ognuna ha parenti che allevano bufale e vacche. Ognuna rifornisce caseifici o ne possiede.Come Claudio Schiavone, cugino del boss Francesco "Sandokan" Schiavone. Una stradina defilata di Casal di Principe. Vendita di latticini al minuto. Dicono le mozzarelle di bufala più buone della zona. "I più bravi nel settore sono proprio loro, i casalesi", ragiona un esperto che è anche conoscitore delle tecniche di adulterazione dei derivati del latte.Ci sono caseifici che spuntano come funghi nella notte. Senza licenza edilizia. Vi lavorano, in media, una decina di persone. Se il capo ordina, bisogna obbedire. Truccare. "Il latte di bufala concentrato, unito al siero dolce, ti dà una mozzarella gonfiata dieci volte superiore al normale" - spiega ancora Martone che ha presentato una denuncia alla Procura della Repubblica. C'è qualcosa che non va nell'area dop (250 mila bufale) da Latina a Foggia passando da Caserta e Salerno."Molte aziende rifiutano il latte di bufala nostrano. Il prezzo alla stalla è sceso di 20 centesimi al litro. Eppure la produzione di mozzarelle non diminuisce, anzi. E allora: con che latte le fanno?". Con le cagliate romene. Le congelano di inverno e le scongelano d'estate, quando la richiesta di latticini aumenta del 30 per cento. Per sbiancarle (arrivano in Italia scurite dal tempo e dal viaggio) usano la calce e la soda caustica. La usano anche per correggere l'acidità della mozzarella. O per "tirare" la ricotta, perché così si accelera il processo di separazione del grasso dal siero e si favorisce l'affioramento del formaggio fresco. In certi caseifici tengono scorte di sacchi di calce."Quando li becchiamo il casificatore si giustifica dicendo che serve per pitturare una parete scrostata" - dice il colonnello Di Gregorio. Dal suo ufficio all'ultimo piano di una torre del centro direzionale di Napoli, tra la Procura e il carcere di Poggioreale, si domina un pezzo di città. "Sequestriamo di tutto, anche l'inimmaginabile. La calce qui la mettono pure sullo stoccafisso, per sbiancarlo e renderlo più morbido".Ne combinavano di tutti i colori al mercato ittico di Porta Nolana, il più antico di Napoli. I Nas l'hanno chiuso il 29 luglio. Sequestro di tutta l'area. Rivolta dei venditori. Decine di cassonetti bruciati. Igiene sanitaria da suk terzomondiale. Molluschi turchi e greci importati coi Tir, moribondi, marci, rianimati con acqua di mare. Anguille cinesi vendute come pescato locale.Dal mare si risale verso i piccoli centri dell'entroterra campano. Per fare una prova abbiamo bussato in una macelleria dalle parti di Baiano, ai confini dell'Agro Nolano: "Ho della carne in scadenza, manzo, la ritirate?". "Per questo mese siamo a posto, ma se ripassate tra una decina di giorni ve la ritiro", ha risposto il figlio del titolare. Siamo in area dot: denominazione origine tarocca. Mani esperte manipolano i cibi, li ingentiliscono dopo averli acquistati già "avviati" dall'Est europeo. Prendiamo la pummarola. "Le importazioni dalla Cina sono triplicate del 207 per cento, con un trend che porterà in Italia oltre 150 milioni di chili a fine anno - spiega Vito Amendolara, direttore della Coldiretti campana - Il concentrato di pomodoro che arriva a Napoli e Salerno viene rielaborato, riconfezionato, etichettato e esportato come Dop".Un flagello, da queste parti, la sofisticazione. I rapporti delle operazioni dei Nas e dei Nac dei carabinieri disegnano una mappa che parte dal Lazio, taglia la Campania e piega verso Puglia e Sicilia, lambendo anche la Basilicata che si sta affacciando sul mercato della pirateria agro alimentare. Cinquecento chili di capperi marocchini spacciati come "di Pantelleria". Quintali di miele moldavo pieno di pesticidi. Centinaia di fusti di sale industriale - estratto dalle saline nordafricane infestate dai colibatteri fecali - smerciato come sale alimentare. Tutta roba scoperta nell'hinterland napoletano, e destinata con marchio falsificato al mercato nazionale e internazionale. Sulla torta del cibo truccato la camorra ha messo le mani da tempo, assieme alle organizzazioni criminali dell'Est europeo e cinesi. Un coinvolgimento organico di cui la Dia ha preso atto. La stessa cosa avviene in Puglia. Qui il prodotto taroccato per eccellenza è l'olio. La molitura delle olive e l'imbottigliamento rappresentano, da soli, il 2 per cento del Pil regionale.Peccato che gli ulivi siano diventati terra di conquista dei corsari. L'extravergine d'oliva "corretto": è questo il loro fiore all'occhiello. Importano olio di colza o di nocciolino dalla Spagna, dalla Turchia, dalla Grecia, dalla Tunisia. Lo allungano col verdone per dargli il colore. Lo profumano. "Almeno il 75 per cento del nostro olio non ha una chiara origine certificata - dice Antonio De Concilio della Coldiretti pugliese - . In pratica è ad alto rischio sofisticazione". Un litro di extravergine vero costa 5 o 6 euro, farlocco 50 o 60 centesimi. Ma dove finisce? Chi lo compra? Finisce nelle grandi catene dei discount. Nelle botteghe di paese. Nelle mense pubbliche e private, nelle pizzerie.Ne ordina grandi partite chi deve sfamare senza pretese tante persone. Come il vino a 50 centesimi a bottiglia. Rita Macripò è il presidente delle Cantine Lizzano, Taranto, dal 1957: 21 dipendenti, 600 soci consorziati. "Come fanno? Acquistano uva da tavola, la correggono con acido tartarico e coloranti. Quando i Nas o la Guardia di Finanza vanno nelle aziende - a volte sono semplici cisterne e basta - nell'ufficio anziché i libri contabili trovano le pistole". Sta girando una voce nel tarantino. Gli investigatori la ritengono attendibile. Dei produttori locali avrebbero ordinato partite enormi di tannino cinese di origine sintetica. Servirà a "correggere", a produrre bottiglie da vendere a 40 centesimi."Certe catene se ne fregano che sia robaccia - dice Macripò - . La comprano e basta. Faccio un esempio. A Taranto ci sono 40 mila marinai. Vuol dire un quarto di vino a testa al giorno. Fanno 10 mila litri al giorno, cioè 100 quintali, cioè 365 quintali l'anno. Secondo lei la Marina Militare che vino compra? Il nostro che costa 2,5 euro o quello che costa 40 centesimi? Pretendono tutti prezzi sempre più bassi. Così i produttori onesti vengono sbattuti fuori dal mercato".A fianco del listino prezzi abbattuto, scoprendo i magheggi dei pirati agroalimentari, ritornano alla mente i sacchi di calce. I caseifici a scomparsa e le mozzarelle drogate. L'olio pitturato, il vino sintetico. Il pesce in coma. Il menù dell'altra alimentazione.

Il freddo inverno nucleare di Enel

Il freddo inverno nucleare di Enel
di CarloDojmi di Delupis - 26/10/2007 . Il Manifesto
Ancora poche settimane e sapremo se Enel avrà vinto la gara d'appalto per la costruzione di una centrale nucleare sul terreno sismico di Belene, in Bulgaria. Nel settembre scorso, infatti, il colosso energetico italiano ha messo sul piatto della bilancia circa sette miliardi di euro per garantirsi il successo nella corsa all'acquisizione di Power Company Belene - società che avrà la gestione della centrale - senza badare minimamente al fatto che tutta l'operazione presenta evidenti fattori di rischio per l'ambiente e per la sicurezza. L'impianto nucleare di Belene è stato concepito all'inizio degli anni ottanta con una tecnologia obsoleta di tipo sovietico e si trova, per di più, su un sito ad elevato rischio sismico, dove nel 1977 si è verificato un terremoto devastante che ha ucciso circa 150 persone. La società civile bulgara, investita direttamente da queste minacce, si è mobilitata in massa e ha creato la coalizione «BeleNè» (no a Belene), chiedendo a gran voce che si fermi la costruzione della centrale. Persino due colossi bancari europei come Deutsche Bank e Unicredit hanno fiutato il forte rischio sia economico che d'immagine nel finanziare un simile progetto e si sono ritirati da ogni possibile coinvolgimento.Nonostante questi evidenti segnali d'allarme, Enel continua con fermezza nella sua strategia di espansione nel mercato energetico dell'Europa dell'Est. Belene è soltanto uno dei gradini nella scalata nucleare dell'azienda italiana, segue di poco l'acquisizione della slovacca Slovenské Elektràrne, ex azienda di stato e maggior produttore di energia elettrica del paese. In questo caso, Enel ha già stanziato 1,8 miliardi di euro per il completamento di due reattori della centrale slovacca di Mochovce. Anche qui la tecnologia utilizzata presenta forti rischi alla sicurezza per la mancanza di un sistema di contenimento in caso di incidenti gravi e per l'assenza di una seria valutazione di impatto ambientale. Ma per Enel evidentemente è più importante fare acquisti al mercato d'occasione del nucleare piuttosto che considerare le possibili ripercussioni a livello ambientale o l'effettiva sicurezza degli impianti. E così si scopre la doppia strategia dell'azienda italiana: all'estero si muove in modo spregiudicato, effettua grossi investimenti sul nucleare, cerca di inserirsi in qualsiasi gara per l'acquisizione di fette del mercato energetico in Europa orientale; in Italia, invece, tiene un profilo basso, investe milioni di euro per rifarsi un'immagine «verde», sbandierando i propri finanziamenti alle energie rinnovabili e cercando passo dopo passo di sdoganare il ritorno al nucleare come «unica soluzione». Sono passati venti anni da quando l'Italia ha deciso a larga maggioranza - attraverso un referendum popolare - di non volere il nucleare entro i propri confini, e ventuno dall'incidente di Cernobyl. Un lasso di tempo non ancora sufficiente a far emergere in tutta la sua portata il disastro radioattivo, ma sufficiente invece a farci comprendere quanto lungimirante sia stata la scelta dei cittadini italiani. Per ricordare l'esito del referendum all'Enel e al governo italiano (che ne detiene una significativa quota azionaria), è nata la Campagna «Stacca la Spina», che invita i cittadini italiani ad attivarsi affinché venga ribadito il no al nucleare e vengano convertiti gli investimenti Enel dal nucleare alle energie rinnovabili. Stacca la Spina è stata lanciata dalla Campagna per la Riforma della Banca Mondiale lo scorso 17 settembre e ha già visto l'adesione di diverse associazioni quali Equoconsumo, Amici della Terra, Servizio Civile Internazionale, Fair, Carta, Un Ponte per. Anche i singoli cittadini possono aderire o partecipare attivamente alla campagna. L'8 novembre prossimo, dalle ore 9.00, davanti al Parlamento, la campagna promuove un sit in per ricordare ai parlamentari italiani l'esito del referendum popolare sul nucleare. Sul sito www.staccalaspina.org tutte le informazioni.

«Mazzette ai sindacati». Scandalo in Francia

Corriere della Sera mercoledì 24 ottobre 2007
sezione: Esteri - data: 2007-10-24 num: - pag: 14
autore: Massimo Nava categoria: REDAZIONALE
Una banale inchiesta antiriciclaggio rivela «fondi neri» per milioni di euro a disposizione del Medef, la Confindustria transalpina
«Mazzette ai sindacati». Scandalo in Francia
Si dimette il numero due degli industriali Gautier-Sauvagnac: «Così fluidificavo i rapporti»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — Per spiegare le cose di cui si vergognano,
i francesi prendono spesso a prestito vocaboli
italiani. Imbroglio e omertà risuonano per
raccontare uno scandalo che ha gettato una luce
sinistra sulle relazioni industriali transalpine. Una
banale inchiesta antiriciclaggio promossa dal ministero dell' Economia e dalla brigata finanziaria della Procura di Parigi ha portato alla scoperta di fondi neri per decine di milioni di euro a disposizione del Medef (la confindustria francese) per gli scopi più diversi e disinvolti. La magistratura indaga, ma le prime ammissioni rivelano un poco edificante scenario di sindacati sovvenzionati, scioperi ammorbiditi, trattative condizionate, oltre al sospetto di finanziamenti occulti di campagne politiche e personali.
Ieri si è dimesso Denis Gautier-Sauvagnac, presidente
dell' Uimm, l'Unione degli industriali metallurgici,
la più potente e ricca associazione del Medef,
45 mila imprese. Nel suo ufficio e nella sua
abitazione sono stati sequestrati 400 mila euro in
contanti, mentre le indagini su diversi conti correnti
hanno accertato prelievi non giustificati dell' ordine
di 16 milioni di euro negli ultimi sei anni.
A che cosa servono questi soldi? E da dove provengono?
Gautier- Sauvagnac è riuscito a difendere
la reputazione personale, ma ha dovuto
ammettere il «sistema» occulto delle relazioni sindacali
che ha messo in imbarazzo sia il mondo
imprenditoriale, sia le principali organizzazioni,
per l'insopportabile insinuazione di accordi sottobanco
e mantenimento delle strutture a spese del
padronato.
L'ammissione è gravissima. Perché la testimonianza
del presidente dei metallurgici, oltretutto a
capo della delegazione al tavolo delle trattative
per la riforma del mercato di lavoro, ha svelato
quello che molti imprenditori, con un'altra immagine
italiana, chiamano il «segreto di Pulcinella»,
ovvero un sistema di finanziamento dei sindacati
in voga da decenni e similare al finanziamento
opaco dei partiti politici.
«I soldi servivano a fluidificare i rapporti», ha detto
Gautier- Sauvagnac. In sostanza, impieghi fittizi,
promozioni improbabili, consulenze, corsi di formazione
inesistenti, attività socioculturali e ricchissime
fatture di pagamento della pubblicità su
fogli e bollettini sindacali.
L'emergere di una «cassaforte » buona per tutti gli
usi (si parla, secondo Le Monde, di 600 milioni di
euro) non può essere spiegata soltanto con una
«tradizione » storica, come sostiene monsieur
DGS: «Ho ereditato un sistema di contributi volontari
che serviva a finanziare diverse organizzazioni
della vita sociale e a dare una mano a imprese
in difficoltà dopo conflitti sindacali molto duri. Non
c'è mai stata corruzione o finanziamento della politica
».
La presidente del Medef, Laurence Parisot, ha
lanciato un appello alla «trasparenza» e per una
«governance» più democratica dell'organizzazione
padronale, cogliendo l'occasione dello scandalo
per aprire anche un fronte interno, essendo in
gioco sia la leadership sia il peso politico delle diverse
categorie. La Parisot viene dal mondo dei
servizi e delle piccole imprese, Gautier- Sauvignac,
numero due del Medef, è l'uomo forte della
grande industria, con un «tesoro» nascosto alimentato
dai suoi elettori.
Anche i dirigenti dei principali sindacati si difendono
da sospetti che minano in qualche caso l'onorabilità
personale e in generale la credibilità di azioni
e strategie. Ma lo scandalo ha anche messo
in evidenza la debolezza strutturale, e quindi politica
e negoziale, dei sindacati francesi. Con pochi
iscritti (meno dell'8% nel settore pubblico, meno
del 5% nel privato), senza contributi obbligatori
degli aderenti, sovvenzionati dai comitati d'impresa,
a quanto pare anche in modo non trasparente,
i sindacati non riescono ad autofinanziarsi.
Se poi si considera la sproporzione fra le ricorrenti
paralisi del settore pubblico e la relativa pace sociale
nel settore privato, diventano inevitabili le
domande più imbarazzanti.

La rivolta dei pastori sardi: suicidi e sciopero della fame «Strangolati dalle banche»

Corriere della Sera venerdì 26 ottobre 2007
sezione: Cronache - data: 2007-10-26 num: - pag: 21
autore: Francesco Battistini categoria: REDAZIONALE
Alla fine degli anni '80 l'iniziativa rivolta anche agli emigrati: «Tornate e investite». Chi allora chiese prestiti
oggi si ritrova con debiti milionari
La rivolta dei pastori sardi: suicidi e sciopero della fame «Strangolati dalle banche»
Le aziende agricole falliscono: un bluff i mutui agevolati
DAL NOSTRO INVIATO
DECIMOPUTZU (Cagliari) — Maledetta primavera,
l'88. Salvatore Murgia e sua moglie un lavoro
ce l'avevano, nell'88. Vivevano a Milano. Riparatore
di caldaie lui, infermiera lei. Stipendi, tredicesime,
qualche sfizio. Anche sei ettari di famiglia
giù in Sardegna, a Decimoputzu: «Quella primavera
stavamo qui in vacanza e vedevamo le pubblicità:
sardi tornate, venite a investire! Un affare,
dicevano. Ci siamo cascati». Sembrava facile: l'agricoltura
in tutta Europa crollava, ma sull'Isola dei
Fumosi soffiavano negli occhi e promettevano che
no, qui il futuro era l'aratro. Anzi, le «strutture in
ferrovetro ». Che poi erano le serre: da coltivare a
fiori, a carciofi, a pomodori, a piacere. Ne spuntavano
dappertutto: un metro quadrato, 50 mila lire
nette di guadagno. Provare per credere. Salvatore
e sua moglie tornarono. Ci provarono. Ci credettero.
Con 80 milioni di lire: un prestito agevolato della
Regione, bassi tassi, le banche a sfornare studi di
fattibilità, e vai con la serra.
Vent'anni dopo, le serre del Cagliaritano sembrano
Mostar quando vi passò Mladic: ferro rugginoso,
vetri in frantumi, orti di sterpi, dov'erano i roseti
abbaiano i cani randagi. I Murgia a occupare la
sala comunale di Decimoputzu. Un lenzuolo a
spray rosso che penzola dalla finestra: «Blocco
delle aste subito!». Una tenda blu nella piazzetta
davanti: «Agricoltori e pastori, su la testa!». Lui
quasi settantenne in carrozzella, colpa di un'ischemia
cerebrale.
Lei da venti giorni a fare la squatter e lo sciopero
della fame, colpa del crac. Perché il finanziamento
della Regione era un bluff. E le banche si sono
prese il terreno, 62 mila euro all'asta. E i Murgia,
come altre 7.500 aziende che ci hanno provato,
come altri 45 mila sardi che ci sono cascati, oggi
devono pagare 460 mila euro d'interessi. Una mostruosità:
«Mio marito — racconta lei — si vergognava
così tanto che per un po' mi ha nascosto
tutto. Voleva separarsi. E non mi diceva il motivo:
era l'angoscia di trascinare anche me in questo
disastro ». Il popolo dei senzaserra è una bomba
sociale. Illusi prima, pignorati poi: 700 milioni di
euro da restituire, interessi al 30 per cento, 25 mila
famiglie sul lastrico. Due misteriosi suicidi in
una cooperativa di giovani. Emigrati in Germania
che rimpatriano e si bruciano una vita di risparmi.
Possidenti terrieri che ora cenano a pane e insalata.
Pastori che ruminano rabbia. Allevatori che
mungono debiti. «Siamo la più grande emergenza
economica dopo la Parmalat», dice Riccardo Piras,
il portavoce, che aveva una stalla modello e
ora ha due milioni di rosso. Sono il Sulcis del
2000: hanno formato un comitato di lotta e invitato
la Bbc, la prossima settimana protesteranno a
Montecitorio, hanno perfino una dializzata fra i digiunatori
a oltranza. Il sindaco di Decimoputzu è
un berlusconiano, si chiama Gianfranco Sabiucciu,
ma sabato scorso era pure lui a Roma, in corteo
con la sinistra radicale: «Il nostro è un paesino
di 4 mila abitanti: con assegni da 30 euro al mese,
assistiamo 80 famiglie che non sanno cosa mangiare
». In prefettura ammettono che «la situazione
è esplosiva». Le mani prudono. Nessuno s'è stupito
che ci fosse un allevatore di Decimoputzu,
qualche settimana fa, nel feroce assalto alle Poste
di Pula: le rapine qui sono raddoppiate, dice Piras,
e qualcosa vorranno dire le lettere minatorie che
lui stesso ha ricevuto, le serre incendiate agli
scioperanti, il proiettile trovato in municipio, gli esattori
dei crediti con scorta armata, le minacce
agli «sciacalli» che si presentano alle aste, le assemblee
coi sindacalisti di Soccorso Contadino
che invocano «un po' di piombo per risolvere la
faccenda in stile Chiapas».
Non basta un Marcos, a risolvere. Ma nemmeno
un Pratolini. Perché ora la fregatura è orfana ed è
come nel «Metello », dove tutti scaricano.

venerdì 26 ottobre 2007

La vera ragione della crisi con l'Iran

La vera ragione della crisi con l'Iran
di Sabina Morandi - 13/11/2005

Fonte: liberazione.it


«Il petro-euro scalza il petro-dollaro: è la vera
ragione della crisi con l'Iran»

L'analisi di William R. Clark autorevole ricercatore
americano esperto di petrolio<p>

Peccato che quasi tutti i giornalisti di questo paese
si siano messi a lanciare strali invece di verificare
notizie e informazioni, rendendo molto più facile il
lavoro di quegli specialisti della guerra psicologica
che, con classico stile anni Cinquanta, confezionano
la "storia ufficiale". Sarebbe bastata un'occhiata
alle notizie economiche del momento per dipanare il
mistero dello scandalo suscitato dagli slogan del
presidente iraniano, sostanzialmente gli stessi da
venticinque anni, fatta eccezione per la breve pausa
del riformista Khatami. Un mistero che non riguarda i
contenuti della propaganda di Ahmadinejad, che
utilizza la retorica anti-sionista come unico collante
per una società sempre più inquieta, ma le reazioni
scandalizzate dell'Occidente. Se i falchi di Teheran
inneggiano ancora una volta alla distruzione del
piccolo e del grande Satana, scrivevano i giornalisti
arabi la scorsa settimana, perché stavolta gli
occidentali strepitano? Alcuni commentatori accusavano
Ahmadinejad di ingenuità politica ma quasi nessuno
mostrava stupore per la ben nota abitudine dei regimi
islamici di strumentalizzare la tragedia palestinese
quando registrano una crisi di consenso.

Detto questo, quindi, manca qualcosa. Per trovare la
notizia, il tassello che potrebbe rendere
comprensibile un confuso puzzle di propagande
contrapposte, bisogna risalire a qualche mese fa,
quando un autorevole ricercatore esperto di petrolio -
quel William R. Clark autore di Revisited - The Real
Reason for the Upcoming War with Iraq: a Macroeconomic
and Geostrategic Analysis of the Unspoken Truth (Le
vere ragioni della prossima guerra contro l'Iraq:
un'analisi macroeconomica e geostrategica della verità
non detta) - puntava l'indice sul prossimo obiettivo.
Attenzione, scriveva Clark il 5 agosto scorso, le
tensioni geopolitiche fra Stati Uniti e Iran «vanno
ben oltre le preoccupazioni per il programma nucleare
iraniano, come pubblicamente affermato, ma riguardano
molto più plausibilmente il tentativo di Teheran di
proporre un sistema di scambio del petrolio basato sul
petro-euro». Esattamente come per il conflitto con
l'Iraq, scrive Clark, «le operazioni militari contro
l'Iran sono strettamente collegate con la
macroeconomia e con la sfida alla supremazia del
dollaro costituita dall'euro come moneta alternativa
per le transazioni petrolifere, una sfida non
pubblicizzata ma molto, molto seria». Secondo Clark e
numerosi analisti, infatti, più dell'accesso ai pozzi
garantito dall'occupazione militare è stata proprio la
salvaguardia della supremazia del dollaro all'origine
dell'invasione dell'Iraq. Saddam insomma avrebbe
firmato la sua condanna a morte non per le sue
inesistenti armi di distruzione di massa né tanto meno
per i massacri dei civili, quanto per avere deciso di
farsi pagare in euro le esportazioni di petrolio.
Secondo alcuni insider della Casa Bianca l'operazione
Iraq freedom, oltre a stabilire una presenza militare
e un governo filo-americano, aveva specificamente
l'obiettivo di riconvertire in dollari gli scambi
petroliferi iracheni e far passare ai paesi Opec ogni
fantasia di transizione all'euro - ovviamente più
conveniente in quanto meno svalutato del biglietto
verde.

Nel caso dell'Iran, sostiene Clark, la minaccia
sarebbe molto più concreta visto che Teheran ha
annunciato, per il marzo prossimo, l'apertura di una
vera e propria borsa petrolifera alternativa alle
uniche due ufficialmente riconosciute, il Nymex di New
York e l'Internatonal Petroleum Exchange di Londra,
una borsa appunto basata su di un sistema di scambi
interamente basato sull'euro e tacitamente appoggiata
da altri paesi produttori. Perché sia così grave lo
spiega a chiare lettere lo stesso Clark: «Se la borsa
iraniana prendesse piede, l'euro potrebbe irrompere
definitivamente negli scambi petroliferi. Considerando
il livello del debito statunitense e il progetto di
dominio globale portato avanti dai neocon, la mossa di
Teheran costituisce una minaccia molto seria alla
supremazia del dollaro nel mercato petrolifero
internazionale».

Dal punto di vista esclusivamente economico e
monetario, l'avvio di un sistema in petroeuro è uno
sviluppo logico visto che l'Unione europea importa più
petrolio dai paesi Opec di quanto non facciano gli
Stati Uniti e, di fatto, gli europei pagano il
petrolio iraniano in euro già dal 2003. Ma una vera e
propria competizione fra le due monete, in una borsa
indipendente dai desiderata di Washington ma lasciata
in balia della proverbiale mano invisibile, è l'incubo
della Federal Reserve perché, come scrive Clark «gli
Stati Uniti non potrebbero più continuare a espandere
facilmente il credito attraverso i buoni del tesoro e
il valore del dollaro crollerebbe». La borsa iraniana
sarebbe insomma una tappa fondamentale verso il
passaggio dell'Opec dai petrodollari ai petroeuro,
passaggio facilitato anche dal comportamento delle
banche centrali di due giganti, Russia e Cina, che dal
2003 hanno cominciato ad accumulare la divisa europea.


Non la solita vecchia propaganda anti-sionista,
quindi, né tanto meno un programma nucleare che forse,
fra una decina d'anni, potrebbe condurre l'Iran alla
bomba atomica - ma allora perché non nuclearizzare
subito la Corea del Nord? Sono i petroeuro a
spaventare gli americani. Ecco perché, dall'autunno
del 2004 fino all'estate del 2005, i generali del
Pentagono sono stati chiamati a sfornare ogni sorta di
simulazioni d'attacco all'Iran; ed ecco perché si sono
nel frattempo moltiplicati gli strali contro un regime
che non è più antisemita o più brutale di quelli che
governano il Pakistan o l'Arabia Saudita.

Il problema dei generali è che, forti dell'esperienza
irachena, sono costretti a scartare a priori l'ipotesi
soft - quella del cambio di regime - così come
un'invasione su larga scala contro il ben più solido e
numeroso esercito di Teheran. Ed ecco allora farsi
strada svariate ipotesi, tutte abbastanza spaventose
ma alcune decisamente agghiaccianti, come quella
descritta dall'esperto di intelligence Philip Giraldi
su The American Conservative, sotto l'illuminante
titolo: "In caso di emergenza, nuclearizzate l'Iran".

Oltre a fornire notizie sulla ripresa dell'intensa
attività di pianificazione da parte dei militari,
Giraldi rivela che, in caso di un altro attacco
terroristico sul suolo americano, l'ufficio del
vice-presidente Dick Cheney vuole che il Pentagono sia
pronto a lanciare un attacco nucleare contro Teheran,
anche se il governo iraniano non risultasse coinvolto
con l'attentato. Su istruzioni del vicepresidente il
Pentagono ha quindi incaricato il Comando strategico
statunitense (Stratcom) di stilare un piano che
include appunto un attacco aereo su vasta scala contro
obiettivi iraniani, sia con armi convenzionali che con
le nucleari tattiche progettate per distruggere i
bunker. La domanda è quindi una sola: l'operazione è
già cominciata?

Ogm: nuovi dubbi sulla reale sicurezza nella comunità scientifica

Ogm: nuovi dubbi sulla reale sicurezza nella comunità
scientifica
di Fare Verde - 23/11/2005

Fonte: Fare Verde


E' di questi giorni la notizia, pubblicata dal
Journal of Agricultural and Food Chemistry in cui si
annuncia l abbandono, da parte di un gruppo di
scienziati australiani, del progetto su piselli
geneticamente modificati dopo aver scoperto che il
prodotto causava nei topi infiammazione del tessuto
polmonare.
La notizia segue di poco la dichiarazione pubblica di
78 professori e ricercatori svizzeri sui rischi legati
alle piante geneticamente modificate con la quale
hanno preso apertamente posizione per la moratoria
sugli ogm, decisione che sarà sottoposta a referendum
in Svizzera il prossimo 27 novembre. Il referendum
chiede di vietare l'impiego di piante e animali ogm
nell'agricoltura svizzera per un periodo di cinque
anni. Il comitato di scienziati, che ha di fatto
replicato ad un altro gruppo a favore degli ogm,
ritiene che la moratoria, che si basa sul principio di
precauzione potrà consentire di fare luce sulla reale
utilità e sui rischi connessi alle tecniche del DNA
ricombinante.
Alla luce di queste ulteriori, autorevoli prese di
posizione lascia ancora più sconcertati la posizione
della Commissione Europea che, forzando la mano, ha
già ammesso alla commercializzazione vari prodotti ogm
pur avendo questi ultimi ricevuto il voto contrario
del Consiglio dei ministri europeo. Tecnicamente tutto
ciò è possibile in quanto la decisione finale, in base
alla procedura comunitaria, ritorna alla Commissione
Europea qualora il Consiglio non si esprima con una
maggioranza qualificata.
Politicamente il gesto lascia molto perplessi perchè,
di fatto, la Commissione, scavalca la volontà popolare
della maggioranza dei paesi europei rappresentata dai
Ministri competenti in seno al Consiglio dei ministri,
di fatto facendosi scudo del parere della Agenzia
Europea per la sicurezza alimentare la cui
autorevolezza è in caduta libera dopo i pareri
positivi espressi sul mais MON863 .
Su questo tipo di mais, resistente ai parassiti, le
stesse ricerche condotte dalla Monsanto evidenziano
seri problemi sulle cavie ( reni meno sviluppati,
alterazioni del sangue, problemi immunologici ), dubbi
e problemi confermati dallo studio indipendente
condotto dal Criigen che ha invitato a svolgere una
nuova valutazione approfondita del MON 863.
Nonostante questi gravi dubbi (da tenere conto che il
rapporto Monsanto è rimasto sconosciuto alla opinione
pubblica, ma non alla Agenzia Europea, sino alla
pubblicazione sul quotidiano The Indipendent),
l'Agenzia ha dato parere positivo e, pur con il voto
contrario della maggioranza degli Stati ora il parere
finale spetterà anche su questo prodotto alla
Commissione Europea.
Nel frattempo, il principio di precauzione, che è
l'unico strumento che può evitare danni irreparabili
all ambiente ed alla salute dei cittadini e punto
fermo di tutta la legislazione europea in materia,
viene di fatto spazzato via dalle decisioni assunte
dalla Commissione che dell Europa e dei suoi principi
dovrebbe essere prima garante. Lobby in azione?

Padre Pio l'ingannatore

Questa settimana i quotidiani si sono occupati di
padre Pio, ma questa volta i toni sono stati diversi
da soliti.
Questa volta sono mancati toni elogiativi ed
esaltativi.
Il "Corriere della Sera" in particolare, ed in giorni
diversi, ha pubblicato due interessanti articoli sul
famoso frate.
I due articoli erano titolati:
- «Padre Pio, un immenso inganno»;
- Padre Pio, il giallo delle stigmate;
articoli sicuramente interessanti e documentati.
Nei testi vi sono anche delle indicazioni di tematiche
che andrebbero maggiormente sviluppate, in particolare
quelle relative alla sessualità.
se volete leggere gli articoli citati, questo
è il link:
http://ilghibellino.blogspot.com
francesco scanagatta

lunedì 22 ottobre 2007

Api in fuga dal biotech

Api in fuga dal biotech
di Simon Fraser - 04/01/2007

Fonte: Lanuovaecologia

Secondo la British Columbia in Canada gli insetti
fuggono dai campi coltivati a colza geneticamente
modificata e non impollinano più. Coldiretti: «Un
segnale della natura»


Gli ogm non piacciono alle api. Lo ha scoperto il
Department of biological sciences, Simon Fraser
University della British Columbia in Canada studiando
il comportamento delle api nei campi coltivati con
colza geneticamente modificata. Dalla ricerca,
pubblicata dall' 'Ecological Society of America' , é
emerso che in questi campi si è verificata una forte
riduzione del numero delle api presenti e un
altrettanto forte deficit nell'attività di
impollinazione.
«L'allontanamento delle api dai campi coltivati con
organismi geneticamente modificati (Ogm) e la
conseguente riduzione dell'attività di impollinazione
è un allarme scientifico per l'agricoltura e
l'ambiente» afferma Coldiretti, l'organizzazione
agricola da sempre contraria agli organismi
geneticamente modificati che ribadisce il valore alla
«scelta di tolleranza zero fatta nei confronti del
biotech dall'agricoltura italiana» e l'importanza del
"principio di precauzione" che il governo e le regioni
italiane difendono in sede europea. Le api, oltre ad
essere insetti utili all'agricoltura per l'attività di
impollinazione che svolgono a vantaggio delle colture
sono da sempre considerati un importante sensore per
valutare la qualità degli agrosistemi.
«La loro "diffidenza" nei confronti degli Ogm -
sottolinea Coldiretti - è un segnale della natura che
non deve essere sottovalutato. La capacità delle api
di distinguere tra loro le piante geneticamente
modificate da quelle normali è la dimostrazione che le
due colture non sono equivalenti. Dalla ricerca
canadese - conclude Coldiretti - vengono confermate le
preoccupazioni sugli effetti della coesistenza tra
colture convenzionali e quelle biotech e dimostrato
che serve più ricerca e sperimentazione per verificare
gli effetti sull'agroecosistema».

Uranio impoverito : Oggi e come ieri in Viet Nam, continua la guerra chimica condotta dagli Usa

Uranio impoverito : Oggi e come ieri in Viet Nam,
continua la guerra chimica condotta dagli Usa
di Federico Dal Cortivo - 22/10/2007

Fonte: italiasociale

Tardiva e omissiva la dichiarazione fatta dal ministro
della Difesa Arturo Parisi, relativa alla
contaminazione da Uranio Impoverito- dei nostri
soldati impiegati all'estero. Non da oggi si erano
levate alte ed inascoltate le proteste
dell'Osservatorio Militare con il Maresciallo
Leggiero,dell'Associazione Vittime Arruolate dell'On
Falco Accame e dei media esteri non allineati e che
riguardavano per queste ultime, le numerose perdite
subite dalle forze militari Usa e Britanniche appena
dopo Desert Storm 1. Parisi, , ha fatto solo qualche
piccola ammissione su un dramma che coinvolge
centinaia di uomini..Il Ministro dimentica anche i
"civili italiani" impegnati al seguito dei reparti per
la manutenzione del parco mezzi dell'Esercito,
anch'essi colpiti da forme leucemiche al pari dei
soldati della stessa area operativa, fatti già
denunciati nel 2003 dall'O.M., assieme all'On Falco
Accade ex Presidente Comm. Difesa Camera, il quale
chiedeva la revisione dei risultati della Commissione
Mandelli, insediatasi nel 2000; commissione che nei
rapporti tra il 2000 ed il 2002, "escludeva la
correlazione tra morti e uranio impoverito"… L'Uranio
Impoverito, scarto delle lavorazioni del minerale,
viene largamente utilizzato in campo militare, nel
munizionamento anticarro e nella costruzione di
corazzature.Il motivo? L'elevata durezza.Dopo essere
stato trattato e legato con Molibdeno o Titanio,
temperato a 850° e mantenuto poi a 450° per circa 5
ore, l'Uranio diviene duro come l'acciaio temperato
per utensili,ma grazie alla sua" elevata densità",
diviene efficacissimo nei proietti anticarro,
superiore a quelli in Tungsteno, si incendia
spontaneamente,costa poco e disponibile in grandi
quantità.Le munizioni che lo utilizzano sono
denominate API-Armor Piercing Incendiary Ammunitions,
affiancate dalle munizioni controcarro dotate di
penetratore ad energia cinetica, in pratica con
dense barre metalliche in UI che perforano le corazze.
Circa la sua tossicità, il SAIC- Science Applications
International Corporation ha dichiarato che l'UI è 25
volte più tossico del Tungsteno se insolubile e 20 se
solubile. Imponendo quindi "la decontaminazione del
campo di battaglia"- .L'UI emette particelle Alfa,
esse agiscono solo a breve distanza, ma se entrano
nell'organismo, sotto forma di polvere o schegge,
divengono pericolosissime.. Si depositano negli organi
, principalmente nei reni.Le patologie renali sono
state le più frequenti dopo la guerra del Golfo tra
gli "Alleati". Le particelle di UI che entrano poi
nell'organismo attraverso ferite, possono provocare
altre gravi malattie anche dopo decenni
dall'esposizione, colpendo fegato-polmoni-ossa-
causando leucemie e sterilità. Il caso del
caporalmaggiore Salvatore Vacca, morto di leucemia
dopo aver operato in Bosnia, è emblematico.Il militare
cominciò ad avere i sintomi della malattia quando
ancora era nei Balcani, dove rimase dal novembre "98
all'aprile del "99, dopo una licenza al termine della
missione fu ricoverato all'ospedale militare di
Cagliari, qui il soldato chiese ad un capitano medico
se per caso non fossero state le radiazioni a
procuragli i disturbi di cui soffriva…Molti i
ricoveri, mentre le sue condizioni di salute
peggioravano. Una prima diagnosi, sbagliata, parlava
di "ipertiroidismo", e la cura prescritta non ottenne
alcun risultato. La situazione poi precipitò ed un
medico presente chiede ai familiari se il giovane
aveva toccato qualcosa, mentre era in Bosnia…..una
sostanza chimica o qualcosa del genere.. Solo il 18
agosto gli fu diagnosticata la leucemia. Il militare
morì tre settimane dopo. Nessuna risposta certa venne
data alla famiglia sulle cause che avevano provocato
la sua morte..Soldati Usa in partenza per "Desert
Storm 2",secondo Usa Today , si recarono presso i
centri delle " banche del seme", avevano il timore di
ritornare sterili ..o peggio… Anche per i reduci Usa è
calata la cappa del silenzio totale..molto simile a
quello che accompagnò i reduci dal Viet Nam
contaminati dal famoso "Agente Arancione", un
diserbante con diossina lasciato cadere sulla giungla,
ma che poi veniva fatalmente inalato dalla fanteria...
Nessun risarcimento per le vittime.

Il Pentagono ha nei suoi archivi circa 32.000
richieste d'invalidità presentate dai reduci del Viet
nam, ma nessuna è stata mai accolta…L'indennizzo
avrebbe significa l'ammissione dell'uso di sostanza
vietate. Oggi accade la stessa cosa con l'Uranio.
Anche Parisi non solleverà più di tanto la questione,
il Governo starà zitto e così pure il Parlamento.Gli
interessi Usa e della Nato non vanno messi in
discussione, anche di fronte all'evidenza.

Sangue, sudore e lacrime: le perdite umane in Iraq, Afghanistan e nel resto del mondo

Sangue, sudore e lacrime: le perdite umane in Iraq,
Afghanistan e nel resto del mondo
di A cura del Bollettino Aurora - 22/10/2007

Secondo la rivista francese Navires & Histoire N°44 di
Ottobre, le
truppe statunitensi avrebbero subito, dall'inizio
della guerra
all'Iraq al 11 settembre 2007: 4744 soldati uccisi,
41052 mutilati o
feriti gravemente, 6788 sono i disertori e i
renitenti. A questo
numero vanno aggiunti 229 soldati inglesi uccisi e
3074 feriti.
Inoltre gli altri contingenti hanno subito 196 soldati
uccisi e 2674
feriti.

Le agenzie dei contractors e dei mercenari hanno
subito, su 32.000
presenze al 11 settembre 2007, 4888 morti
(ufficialmente 912 e 7820
feriti). Di questi morti, 1304 sono statunitensi
(ufficialmente 801 e
3307 feriti), spesso presentati come centroamericani.
Vanno poi
aggiunti 70 filippini, 50 turchi, 40 canadesi, 39
inglesi, 30
sudafricani, 30 russi, 24 fijiani, 20 francesi, 13
bulgari, 12
finlandesi, 11 pakistani, 9 libanesi, 9 olandesi, 8
belgi, 7 indiani,
4 giapponesi, 4 danesi, 3 egiziani, 2 austriaci e
anche 8 (otto)
italiani.

I camionisti stranieri uccisi sono 1007 e 1480 feriti.
Vanno aggiunti
154 membri delle Nazioni Unite uccisi, unitamente a
217 giornalisti.
Bisogni aggiungervi 5150 volontari e civili arabi
morti in Iraq.
Gli iracheni hanno avuto 342207 morti entro il 11
settembre 2007:
39994 i soldati e i miliziani uccisi nella dal 1
maggio 2003 al 11
settembre 2007. I guerriglieri morti in combattimento
o per le ferite
riportate sono 29332. I civili uccisi dal 1 maggio
2003 al 11
settembre 2007 sono 156611 e altri 158100 a causa
delle condizioni
generali imposte dalla guerra.

In totale, afferma la rivista francese, alla data del
11 settembre
2007, nella guerra e nell'occupazione dell'Iraq sono
morte 384027
iracheni, e 399524 persone).
Inoltre dal 13 luglio al 11 settembre 2007 gli
statunitensi hanno
subito la perdita di 230 soldati, 1 cacciabombardiere
F/-16 'Fighting
Falcon', 2 elicottero d'attacco 'Apache', 1 elicottero

pesante 'Chinook', 1 elicottero d'assalto 'Black
Hawk', 2
elicotteri 'Kiowa', 3 velivoli drones 'Predator', 2
carri
armati 'Abrams', 3 veicoli blindati 'Bradley', 3
'Stryker' e 1 LAV,
11 veicoli blindati 'Humvees'.

Tra le vittime vanno aggiunti 8 soldati turchi e una
quarantina di
guerriglieri curdi. Almeno 280000 armi individuali
sono scomparse dai
depositi controllati dalla coalizione: 190000 fucili
d'assalto
(112000 kalashnikov) , 80000 pistole, 1000 tra
fucili-mitragliator i,
mortai e lanciarazzi, tonnellate di esplosivo, 136000
giubbotti
antiproiettile, 116000 elmetti, radio e veicoli.
Probabilmente con
essi gli statunitensi hanno equipaggiato il PKK e il
PEJAK.

In Afghanistan, dal 1° ottobre 2001 al 11 settembre
2007, le truppe
della coalizione hanno avuto 450 soldati statunitensi
caduti e 4138
feriti, la coalizione ha subito 319 morti e 3363
feriti.
Dal 1 luglio al 11 settembre 2007, le truppe NATO in
Afghanistan
subiscono la perdita di 25 soldati statunitensi, 18
soldati inglesi,
9 soldati canadesi, 7 soldati olandesi e 1 soldato
francese, 2
sudcoreani, 1 elicottero 'Chinook'. 2106 tra militari,
combattenti e
civili afgani e pakistani.

Dal 1° ottobre 2001 al 11 settembre 2007 sono morti
55576 tra civili,
ribelli e militari afgani e pakistani.
Inoltre negli altri teatri della 'Guerra Globale al
Terrorismo' le
cifre, al 11 settembre 2007 erano le seguenti:
- Yemen, Africa e Filippine: 15474 morti
- nel resto del mondo: 3142 morti
- a causa di attentati: 4812 morti
- Libano/Israele/ Palestina (dal luglio 2006 al 11
settembre 2007):
4709 morti
- Somalia (dal novembre 2006 al 11 settembre 2007):
8547 morti

Totale di morti a causa della 'Guerra Globale al
Terrorismo': 491784
uccisi

Vedi anche: Perdite di materiale nella 'Guerra Globale
al Terrorismo'
(http://sitoaurora. altervista. org/gwot. htm; oppure

http://xoomer. virgilio. it/sitoaurora/ gwot.htm)

Arriva il registro dei lobbisti

sabato 13 ottobre 2007
Giustizia e Società
Numero 243, pag. 40 del 13/10/2007
Autore: di Marco Gasparini
Il consiglio dei ministri approva il ddl Santagata
Arriva il registro dei lobbisti
Arriva il registro dei lobbisti. Ma se l'attività di
pressione su politici e amministratori è fatta per
conto di enti,
associazioni o altri soggetti che rappresentino le
pubbliche amministrazioni non ci sarà nessun obbligo
di dichiarare
finalità e obiettivi dell'attività di rappresentazione
dei propri interessi. Questa la principale novità
inserita
nel ddl predisposto dal ministro per l'attuazione del
programma di governo, Giulio Santagata, e approvato
ieri dal cdm per regolamentare in modo organico
l'accesso dei gruppi di pressione che rispondono ad
aziende, associazioni di categoria ed altre realtà
sociali e produttive, nei luoghi in cui si decide il
destino di
un paese. Ad iniziare dai corridoi parlamentari che,
soprattutto, negli anni passati, pullulavano di
personaggi
in cerca del politico di turno cui far presentare un
emendamento o una specifica proposta di legge. Se il
provvedimento supererà il vaglio delle camere
l'attività di rappresentazione degli interessi dovrà
essere regolamentata
anche attraverso l'istituzione di un apposito registro
presso il Cnel, pena l'applicazione di una sanzione
pecuniaria compresa tra 2 mila e 20 mila euro. Tra le
novità inserite in extremis nel ddl anche una
disposizione
che sembra rendere meno facile l'accesso ai documenti
che i lobbisti sottopongono alle commissioni
parlamentari per illustrare le finalità dell'attività
di pressione svolta in nome e per conto di altri
soggetti.
La norma tesa a garantire la pubblicità dei processi
decisionali da parte degli organi istituzionali
rinvia, infatti,
ora alla legge n. 241/1990 sulla semplificazione e la
trasparenza degli atti amministrativi la disciplina
delle
modalità attraverso cui i cittadini potranno venire a
conoscenza dei documenti collegati ad attività di
lobbing.
La stessa legge che ha però trovato numerose
difficoltà di applicazione anche a causa delle
formalità procedurali
e dei tempi d'attesa che occorrono per ottenere
dall'amministrazione gli atti richiesti. Difficoltà
che
hanno peraltro spinto proprio di recente il governo ad
abrogare la commissione che vigilava sullo stato di
attuazione
della riforma. L'attività dei lobbisti sarà in ogni
caso monitorata dal Cnel che presenterà un apposita
relazione annuale al parlamento e dovrà trasmetterne
copia anche all'alto commissario per la prevenzione e
il contrasto della corruzione e delle altre forme di
illecito all'interno della p.a.

Decuplicato l'8 per mille statale

ItaliaOggi sabato 13 ottobre 2007
Primo Piano
Numero 243, pag. 4 del 13/10/2007
Autore: di Claudia Morelli
Il ministero di Rutelli va forte e prende 5 milioni.
Ma la parte del leone la fanno comuni e parrocchie.
Decuplicato l'8 per mille statale
Quest'anno la torta da spartire è di oltre 46 milioni
di euro
Piatto ricco, quest'anno, per le amministrazioni
pubbliche o private che hanno chiesto l'assegnazione
dei fondi dell'8 per mille per la parte di gestione
diretta dello stato. Il plafond è di un certo
rispetto (oltre 46 milioni di euro), un gruzzolo molto
più dignitoso degli striminziti 4 milioni di euro e
poco più che i beneficiari si sono dovuti dividere
l'anno scorso. Tutta colpa della politica finanziaria
di Giulio Tremonti che negli anni 2003 e 2004 ha
stornato la maggior parte delle risorse a venire
(ben 40 milioni di euro) per migliorare i saldi di
finanza
pubblica e per finanziarie il fondo previdenziale
del personale di volo. Quest'anno però, il
sottosegretario alla presidenza Enrico Letta
nell'annunciare
al presidente della camera Fausto
Bertinotti lo schema di decreto per la ripartizione
dei fondi, ha comunicato che la musica è cambiata
e che comuni, beni culturali e parrocchie potranno
contare sul recupero di circa 45 milioni di
euro. Certo le richieste erano più pesanti mentre i
fasti dell'8 per mille non sono più quelli di una
volta,
prima dell'entrata in vigore della finanziaria
2004, quando l'ammontare raggiungeva addirittura
oltre 100 milioni di euro.
Ma per ora è questo che offre palazzo Chigi e Letta
deve essere stato ben contento di farlo sapere
proprio adesso, alla vigilia delle primarie per
indicare
il segretario del partito democratico, gara nella
quale corre convinto.
Le domande pervenute sono state 1142, ma tra
quelle fuori termini, quelle presentate da soggetti
che non hanno i requisiti necessarie e quelle
presentate
da enti che comunque perseguono scopo
di lucro, ne sono state accettate 749. Le richieste
erano per 565milioni di euro ma i soldi disponibili
sono quelli che sono.
Il ministero per i beni culturali di Francesco Rutelli
è andato forte. è riuscito a spuntare ben 5milioni
21mila euro. Gli interventi sono i più vari: si va
dalla tutela del sito di interesse paleontologico
Grotta Corbeddu a Oliena (Nu), all'adeguamento
della sezione Brancaccia della biblioteca nazionale
di Napoli, al passaggio al catalogo automatizzato
della Biblioteca nazionale centrale di Roma
(intervento
per il quale ha avuto un milione250mila
euro), al progetto per il restauro del fondo archivi
notarili di Roma, al restauro complessivo della
facciata del palazzo del tribunale di Finale Ligure,
alla valorizzazione delle serie archivistiche
conservate
nell'archivio di stato a Venezia. Anche il
Comune di Roma, guidato da Walter Veltroni ha
ottenuto 342mila euro per il restauro del pazzotto
settecentesco Tiberi-Ceva e dell'area dei mercati
traianei. I beneficiari outsider, intendendo i
privati,
sono stati la comunità ebraica di Torino, che ha
avuto 273mila euro per il restauro della sinagoga
di Alessandria, la Fondazione Guglielmo Marconi
che ha avuto 24mila euro per il restauro degli
apparati
storico scientifici esposti nel museo dedicato
all'inventore. Alla Fondazione accademia nazionale
di Santa Cecilia sono andati 500mila euro
per il completamento dell'intervento di realizzazione
di una sede espositiva idonea a ospitare l'intera
collezione di strumenti musicali antichi e moderni.
La fondazione istituto Gramsci ha avuto
267mila euro per la valorizzazione dell'archivio del
grande politico, mentre quella intitolata a Gian
BattistaVico ha avuto 500mila euro per il recupero
degli interni e delle facciate esterne della Chiesa
di San Gennaro all'Olmo e di San Biagio Maggiore
a Napoli. La Fondazione centro per lo studio e la
documentazione delle società di mutuo soccorso
ha avuto 76mila euro per il restauro conservativo
di trentacinque bandiere storiche delle società di
mutuo soccorso piemontesi.
Fondazione sassi Matera e Zetema hanno ottenuto
580mila euro per i famosi sassi. Per il resto è
tutto uno spartirsi di risorse tra comuni e
parrocchie.
Quando si può, ce n'è per tutti.

Ciclone Report su Unicredit in borsa

Ciclone Report su Unicredit in borsa
Il titolo della banca milanese perde il 3,17% dopo
l'inchiesta sulla vendita dei derivati.
Bruciati 2,7 miliardi di capitalizzazione per gli
effetti negativi procurati all'istituto dalle
potenziali perdite legate
ai contratti swap. Possibili azioni legali contro la
trasmissione della Rai
Unicredit subisce in borsa il ciclone Report. Il
titolo
della banca guidata da Alessandro Profumo ieri è
stato fra i più penalizzati dell'intero listino a
causa
dei riflettori sull'istituto accesi dalla trasmissione
di
Raitre dedicata ai derivati venduti a piccoli
imprenditori
e agli enti locali. A fine giornata la perdita
misurava il 3,17% a quota 5,987 euro, ma durante
le contrattazioni il valore dell'azione era arrivato
fino a 5,970 euro. Robusti i volumi passati di
mano: 191 milioni di titoli (pari all'1,43% del
capitale)
contro una media mensile di 167 milioni.
Particolarmente
pesante la quota di capitalizzazione
bruciata: poco meno di 2,7 miliardi sulla
capitalizzazione
di 80 miliardi. A preoccupare il mercato
sono state le ipotesi su possibili ripercussioni sulla
banca in seguito all'inchiesta trasmessa domenica
sera da Report. Unicredit era indicata quale banca
principale fra quelle che hanno collocato derivati
presso la clientela, soprattutto imprenditori ed enti
pubblici che avrebbero sottoscritto dei contratti su
cui ora rischiano perdite molto pesanti. Per di più
è stata considerata degna di nota l'indicazione del
direttore generale di Unicredit Banca d'Impresa,
Gianni Coriani, secondo il quale le perdite per la
clientela potrebbero aggirarsi intorno al miliardo di
euro. Coriani ha comunque ribadito la correttezza
dei comportamenti della banca e la penetrazione
fisiologica di tali prodotti sulla clientela. I dati,
secondo
un portavoce della banca, sono aggiornati
all'epoca della registrazione dell'intervista, a fine
settembre. L'ammontare complessivo dei contratti
derivati oggetto della trasmissione è di circa 30
miliardi di euro con reclami che si aggirano intorno
al 3%, dato considerato «fisiologico» da Coriani.
In ogni caso gli analisti non temono effetti sul
titolo:
ieri Banca Leonardo ha confermato la raccomandazione
buy su Unicredit con target price a 8
euro. Secondo quanto risulta a MF, peraltro,
l'istituto
starebbe valutando attentamente la trasmissione
per verificare se esistono gli estremi per ricorrere
alle vie legali contro Report e i suoi autori.
Il calo di borsa è avvenuto nel giorno in cui è stato
fissato a 6,2590 euro il prezzo di acquisto delle
frazioni delle azioni Unicredit generate dal concambio
delle azioni Capitalia dopo l'esercizio del
diritto di recesso. Nello stesso giorno Allianz ha
comunicato di essere scesa il 1° ottobre in Unicredit
al 2,393% (indiretto) dal 3,063% precedente.
MF - Banche & Banchieri
Numero 205, pag. 24 del 16/10/2007
Autore: Fabrizio Massaro

Chavez e Iran sfidano le Sette Sorelle

Chavez e Iran sfidano le Sette Sorelle
Il persiano talebi, la jv sarà registrata alle british
virgin islands per evitare le sanzioni.
Nasce Venirogc, una joint venture paritetica tra le
società statali di Caracas e Teheran. L'obiettivo è
fare
concorrenza in tutto il mondo ai colossi occidentali
del petrolio. Il quartier generale sarà in Europa
Una sfida diretta alle grandi compagnie petrolifere
occidentali,
Eni compresa. Stanno per lanciarla l'Iran e il
Venezuela con la
creazione di una joint venture da 1 miliardo di
dollari. Poche
ore dopo il monito del presidente George W. Bush («un
Iran
con la bomba atomica rischia di mettere il pianeta
sulla strada
di una Terza guerra mondiale»), da Teheran è arrivata
una
risposta non convenzionale. Mohammed Ali Talebi, come
ha
riportato l'agenzia Bloomberg, ha annunciato gli
obiettivi della
joint venture tra i due nemici giurati degli Stati
Uniti. Talebi è il
capo delle attività venezuelane di Petropars, un
gruppo petrolifero
di proprietà dello stato iraniano. «La nuova società»,
ha
detto incontrando la stampa nel suo ufficio di
Teheran, «diventerà
come Chevron, Eni o Shell. Questo significa che le
nostre
attività internazionali nel gas e nel petrolio
riguarderanno l'intera
catena di valore, dalla produzione alle stazioni di
benzina».
Obiettivi ambiziosissimi, che si collocano all'interno
di una
guerra economica che è già in corso fra Teheran e
Washington
ed è molto più pervasiva di quanto non si immagini.
Domenica
scorsa, tanto per fare un piccolo esempio, il
governatore
della California, Arnold Schwarzenegger, ha firmato
una
legge che costringe due dei più grandi fondi pensione
americani
(Calpers, degli impiegati pubblici del Golden State, e
Calstr, degli insegnanti dello stesso stato) a vendere
i titoli delle
compagnie energetiche che entro un anno non avranno
smesso di fare affari con l'Iran. Secondo una fonte
vicina a
Calpers, riportata dal Wall Street Journal, la
decisione dovrebbe
coinvolgere colossi come Shell, Total, Gazprom e
l'italiana
Eni.
Talebi ha detto che la joint venture paritetica tra
Petroleos de
Venezuela (Pdvsa) e Petropars si chiamerà Venirogc e
verrà
registrata entro la fine dell'anno alle British Virgin
Islands. Una
scelta dettata dalla necessità di rendere la nuova
società immune
dalle sanzioni contro l'Iran e consentirle di poter
comunque
raccogliere denaro sui mercati finanziari
internazionali. Per
cominciare le attività di esplorazione e produzione,
ha sottolineato
Talebi, Venirogc dovrà avere da subito una dote di
almeno
1 miliardo di dollari. Il quartier generale, con una
mossa
dall'inequivocabile significato politico, sarà in
Europa: in ballottaggio
sono la Spagna e l'Olanda. A differenza delle altre
joint
venture già attive tra i due paesi, Venirogc opererà
fuori da
Iran e Venezuela. Talebi ha fatto l'esempio della
Bolivia, guidata
dal presidente amico di Chavez, Evo Morales. Ma ha
fatto
anche capire che potrebbe sfidare i colossi
occidentali in tutti
quei paesi dove stanno incontrando difficoltà.
Difficoltà che
l'Eni sta incontrando proprio in Venezuela, dove ha
subito l'esproprio
del giacimento di Dacion ed è in attesa di un
arbitrato
internazionale da 750 milioni di euro.
In Venezuela Petropars sta esplorando, insieme a
Pdvsa, il
giacimento di Ayacucho 7, nella regione di Faja
dell'Orinoco.
Secondo Talebi, la produzione dovrebbe cominciare nel
2011
e raggiungere i 200 mila barili al giorno, con
investimenti per
almeno 4 miliardi di dollari. Un secondo progetto
riguarda l'esplorazione
del giacimento di gas di Cardona, nel Golfo del
Venezuela. Agli iraniani dovrebbe essere assegnato il
blocco
2, mentre l'americana Chevron sta già operando nel
vicino
blocco 3. La cosa non scompone Talebi: «Non abbiamo
esitazioni
a parlare con loro», ha detto. «Siamo in rapporti
amichevoli,
ci parliamo e condividiamo informazioni».
Se dal punto di vista politico la joint venture ha
un'indubbia
rilevanza, si può dire altrettanto dal punto di vista
economicofinanziario?
Secondo un autorevole esperto del settore petrolifero,
l'accordo fra Chavez e Ahmadinejad ha una portata
molto
inferiore a quanto potrebbe apparire a prima vista.
Nonostante
entrambi i paesi facciano parte dell'Opec,
l'organizzazione che
raggruppa i paesi esportatori di petrolio, la capacità
di esportazione
di entrambi oggi è fortemente limitata. Chavez, con la
sua politica dichiaratamente ostile alle
multinazionali del petrolio,
ha finito per limitare sensibilmente la capacità
estrattiva del
Venezuela, che attualmente appare ridotta di circa il
40% rispetto
all'inizio della sua presidenza. L'Iran, dal canto
suo,
produce il 90% della sua energia elettrica con olio
combustibile.
La conclusione è che i due paesi rappresentano non più
del
5-6% della produzione mondiale di petrolio. Vogliono,
insomma,
farsi passare per i giganti che non sono.
Di certo l'intervista di Talebi non ha avuto nessuna
influenza
sui prezzi del petrolio. L'ennesimo record assoluto,
toccato ieri
a 89,56 dollari al barile, è stato determinato
principalmente
all'indebolimento del biglietto verde, che ha portato
l'euro al
nuovo massimo di tutti i tempi a 1,4310 dollari. A
trainare l'euro
verso l'alto sono stati i conti di Bank of America, la
seconda
banca Usa, che nel terzo trimestre ha registrato un
calo del
32% degli utili, nettamente maggiore delle attese
degli analisti.
Il dato ha rafforzato i timori sulla crisi del sistema
bancario statunitense,
legata alla crisi dei mutui, rendendo ancora più
probabili
nuovi tagli dei tassi da parte della Federal Reserve,
proprio
mentre le dichiarazioni di vari esponenti della Bce
lasciano
intendere che l'istituto presieduto da Jean-Claude
Trichet sta
aspettando il momento buono per riprendere a rialzare
i tassi e
contrastare così l'inflazione. Ed Eisuke Sakakibara,
soprannominato
Mister Yen per la sua capacità di influenzare i
mercati
valutari tra il 1997 e il 1999, durante il suo
incarico al ministero
delle finanze giapponese, ha previsto un vero e
proprio
crollo del dollaro se la crescita economica Usa
scenderà sotto
l'1% a causa della crisi immobiliare. Sui prezzi
dell'oro nero
continua poi a pesare la possibile azione militare
turca nel nord
dell'Iraq per attaccare le basi dei ribelli curdi.
«L'operazione
non sembra imminente», ha detto Peter Beutel,
presidente di
Cameron Hanover, una società di consulenza per il
settore
energetico, «ma lo scenario è diventato più
instabile».
MF - Primo Piano
Numero 208, pag. 2 del 19/10/2007
Autore: Marcello Bussi

domenica 21 ottobre 2007

Il nucleare di Israele? “Colpisce i bambini”

Il nucleare di Israele? "Colpisce i bambini"
di Michele Giorgio - 21/10/2007

Fonte: Il Manifesto


Commissione di medici internazionali denuncia: rare
forme di tumore nei bambini che vivono vicino alle
centrali. L'esperto palestinese Mahmud Saada: c'è
tanto cesio 137 come vicino a Cernobyl

18 ottobre 2007

Gerusalemme - Oggi Ehud Olmert sarà a Mosca per un
incontro a sorpresa con Vladimir Putin che avviene,
certo non a caso, dopo la visita del presidente russo
a Teheran. Il premier israeliano, riferivano ieri dal
suo ufficio, intende discutere con il presidente russo
una serie di questioni regionali di grande rilievo, a
cominciare ovviamente dal programma nucleare iraniano.
Tuttavia Olmert, oltre a puntare l'indice contro
Teheran, farebbe bene a prendere in considerazione
anche le conseguenze del proprio programma atomico,
coperto da decenni da un velo impenetrabile di
segretezza, alla luce delle nuove denunce sui rischi
delle scorie atomiche per la salute degli abitanti nei
Territori occupati.

Il professor Mahmud Saada, esperto palestinese e
membro di una commissione internazionale di medici
incaricati della "salvaguardia dalle guerre nucleari e
dalle radiazioni", in una intervista pubblicata ieri
dal quotidiano arabo al-Hayat ha denunciato che le
radiazioni emanate dal reattore nucleare israeliano di
Dimona e le scorie nucleari di tre depositi
sotterranei adiacenti sarebbero la causa di rari casi
di cancro che hanno colpito bambini palestinesi nel
distretto di Dahariyeh, a sud di Hebron
(Cisgiordania).

Saada ha riferito del caso di bambini palestinesi
affetti da "rarissime forme di tumori agli occhi e
cervello" e di analisi di laboratorio che
affermerebbero che "le radiazioni e le scorie nucleari
sotterrate in tre zone limitrofe all'area di
Daheriyeh" sono "la principale causa dei casi di
cancro, aumentati negli ultimi tempi del 60 per
cento". A ovest di Daheriyeh, ha aggiunto l'esperto
palestinese, sono state registrate percentuali di
cesio 137 simili a quelle che si riscontrano a trenta
chilometri di distanza dal reattore di Chernobyl.
Saada ha chiesto che gli enti internazionali facciano
i passi necessari per obbligare Israele a "fermare lo
stoccaggio sotterraneo di scorie nelle zone abitate",
a "installare un impianto per monitorare le radiazioni
nucleari" e a "costruire un ospedale per curare le
malattie dovute alle radiazioni". Da parte sua Al
Hayat ha denunciato "la negligenza delle autorità
israeliane" che, secondo il quotidiano, "non avrebbe
preso alcun provvedimento per esaminare la presenza di
radiazioni della zona interessata".

Già due anni fa un gruppo di medici palestinesi aveva
denunciato l'aumento di cancri e aborti spontanei in
cinque villaggi a sud di Hebron, trovando sostegno nel
loro collega ed esperto israeliano Michael Shapira che
non aveva escluso, come causa delle malattie, proprio
la presenza dei depositi di scorie nucleari.
Affermazioni che meriterebbero una verifica che le
agenzie internazionali competenti, però, non sembrano
voler effettuare. In passato tuttavia il Programma per
la protezione dell'ambiente delle Nazioni unite (Unep)
ha in più occasioni messo in rilievo che il programma
atomico e di deposito delle scorie nucleari portato
avanti da decenni da Israele continua a svolgersi
senza alcun controllo. Non è insignificante peraltro
che qualche anno fa le autorità israeliane abbiano
distribuito farmaci per contenere il rischio delle
radiazioni in alcuni centri abitati del Neghev vicini
alla centrale di Dimona, dove Israele - secondo le
rivelazioni fatte nel 1986 dall'ex tecnico nucleare
Mordechai Vanunu e gli studi di esperti internazionali
- ha prodotto il plutonio per costruire tra i cento e
i duecento ordigni atomici che costituirebbero il suo
arsenale.

Le denunce sulle conseguenze delle radiazioni tuttavia
non inducono Israele a un ripensamento, anzi lo stato
ebraico intenderebbe dotarsi della prima centrale
nucleare civile (quella di Dimona ufficialmente è solo
un "centro di ricerche avanzate"). Indiscrezioni
riferite nelle scorse settimane dalla stampa locale e
internazionale parlano della scelta imminente del
governo israeliano di realizzare una centrale
elettrica atomica al fine di soddisfare, almeno
parzialmente, la crescente domanda nazionale di
elettricità. Dimona nel frattempo continuerà a
produrre bombe e tumori?


:: Article nr. s7475 sent on 19-oct-2007 17:28 ECT


www.uruknet.info?p=s7475

Link:
www.osservatorioiraq.it/modules.php?name=News&file=article&sid=5124

La guerra aerea segreta degli USA distrugge l'Afghanistan e l'Iraq

La guerra aerea segreta degli USA distrugge
l'Afghanistan e l'Iraq
di Conn Hallinan - 21/10/2007

Fonte: uruknet

17 ottobre 2007

Fonte: http://www.zmag.org - 16 settembre 2007

Secondo le testimonianze dei residenti di Datta Khel,
una città del Waziristan settentrionale pakistano, tre
missili sono stati lanciati dalla provincia afgana
Pakitka e gettati su una Madrassa, o scuola islamica,
lo scorso giugno. Quando il fumo si è dissolto erano
morte 30 persone, come riporta l'Asia Times.

I killer erano robot, General Atomics MQ-1 Predator. I
missili AGM-114 Hellfire usati nell'attacco erano
diretti da una base collocata nel deserto meridionale
del Nevada.

Non è la prima volta che i Predator colpiscono. L'anno
scorso un Predator della CIA ha tirato all'uomo numero
due di al-Qaeda, Ayaman al-Zawahiri, ma l'ha mancato.
Il missile però ha ucciso 18 persone. Secondo il
rapporto dell'Asia Times, almeno un altro sospettato
d'essere membro di al-Qaeda è stato assassinato da un
Predator nell'area di frontiera con il Pakistan
settentrionale, e nel 2002 un Predator ha ucciso altri
6 sospettati nello Yemen.

Questi assalti sono parte di quel che è meglio tenere
segreto dei conflitti in Iraq e Afghanistan: l'enorme
intensificazione dei bombardamenti statunitensi in
questi e altri paesi dell'area, il crescente numero di
vittime civili accidentali che tale strategia
coinvolge, e il crescente ruolo dei killer privi di
piloti umani nel conflitto.

Secondo l' Associated Press, il numero di bombe
lanciate in Iraq negli ultimi 6 mesi del 2007 è
quintuplicato rispetto allo stesso periodo nell'anno
precedente. Più di 30 tonnellate delle quali armi a
grappolo, che hanno un impatto distruttivo maggiore
sui civili.

La marina statunitense ha aggiunto una portaerei alle
forze sul golfo Persico e l'Air Force ha portato gli
F-16 nella base aerea Balad, a nord di Baghdad.

Balad, che attualmente gestisce 10.000 operazioni
aeree a settimana, rinforza le piste per gestire
l'aumento dell'attività aerea. Il colonnello David
Reynolds ha detto ad AP "vogliamo realizzare un campo
come Langley" il campo Langley, in Virginia è uno dei
più grandi e sofisticati campi d'aviazione dell'Air
Force, che indubbiamente appare prepararsi per una
guerra lunga. "finché potremo determinare che gli
iracheni abbiano una forza militare aerea di una
qualche significativa capacità" ha detto il
luogotenente generale Gary North, il comandante
regionale delle forze aeree, "penso che la coalizione
sarà qui a sostenere lo sforzo".

La forza aerea irachena è virtualmente inesistente.
Non ha aerei da combattimento, e solo una manciata di
aerei da trasporto.
Migliorare le piste ha dato la possibilità all'Air
Force di portare i bombardieri B1-B da Diego Garcia
nell'Oceano Indiano a Balad, dove i grandi aerei hanno
effettuato attacchi quotidiani. Un B1-B può portare 24
tonnellate di bombe.
La scelta di rafforzare gli attacchi aerei è parte di
una riflessione di quanto abbattute e sovrautilizzate
siano le truppe di terra statunitensi. Mentre le unità
dell'esercito hanno turni di 15 mesi, quelli dell'Air
Force sono solo di 4, e talvolta della metà del tempo.
E gli insorti in Iraq e Afghanistan non hanno
possibilità di interferire sul volo di aerei che si
muovono a 20000 piedi e usano laser e armi
satellitari, in contrasto ai seri danni che hanno
potuto infliggere alle truppe di terra statunitensi.
Oltre a far crescere gli attacchi aerei degli F-16,
dei B1-B e degli A-10, le ore di volo dei Predator su
entrambi i paesi sono raddoppiate dal 2005. "il
Predator si sta dimostrando un'arma seria e non solo
una di riconoscimento della piattaforma", vanta il
maggiore Jon Dagley, comandante del 46° Expeditionary
Reconnaissance Squadron.
L'Air Force sta inoltre impiegando una versione più
grande, veloce e forte del Predator, l'MQ-9, il
"Reaper" (mietitore) - piuttosto macabro - un robot
capace di portare quattro missili Hellfire, oltre le
500 libre di bombe.

I Predator e i Reaper hanno diverse caratteristiche
vantaggiose, la più ovvia delle quali è che non
necessitano dei piloti. "Con più Reaper posso mandare
i veicoli pilotati da esseri umani a casa" afferma
North.

Al costo di 8,5 milioni di dollari ad aereo -il più
piccolo Predator costava 4,5 milioni di dollari al
pezzo - sono anche considerevolmente economici
rispetto agli F-16 (19 milioni di dollari), dei B1-B
(200 miliioni di dollari) e persino degli A-10 (9,8
milioni di dollari).

Secondo i piani dell'Air Force saranno approntati 170
Predator e 70 Reaper nei prossimi tre anni. "È
possibile che nel corso della nostra vita saremo in
grado di combattere una guerra senza lasciare gli USA"
afferma il luogotenente colonnello David Branham,
intervistato dal New York Times. Il risultato
dell'accresciuta guerra aerea, secondo
l'organizzazione Iraq Body Count, che ha sede a
Londra, è un aumento delle vittime civili. Uno studio
Lancet delle "morti in eccesso", causate dalla guerra
contro l'Iraq ha stabilito che gli attacchi aerei
siano stati responsabili del 13% delle morti - 76000
al giugno del 2006 - e del 50% delle morti dei bambini
al di sotto dei 15 anni.
Il numero dei civili morti in Afghanistan a causa
degli attacchi aerei ha determinato una riduzione
delle forze tra il North Atlantic Treaty Organization
e gli Stati Uniti. " Un comandante britannico" secondo
il New York Times, ha pressato le Special Forces (SF)
statunitensi a lasciare l'Afghanistan meridionale
perché il loro uso della potenza aerea stava alienando
la popolazione locale. Le SF lavorano in piccoli
gruppi e dipendono dalla forza aerea. Le stesse hanno
effettuato un attacco nello scorso Novembre che ha
ucciso 32 nomadi, vicino a Kandahar. In Aprile, un
simile attacco nell'Afghanistan occidentale ha ucciso
57 abitanti di un villaggio, la metà dei quali
composta da donne e bambini. Le forze di coalizione
stanno uccidendo più civili che talebani in
Afghanistan. La crescita delle vittime ha portato il
governo di Hamid Karzai alla crisi e i governi della
NATO al turbamento. "Dobbiamo capire che prevenire le
morti dei civili è di cruciale importanza nel sostegno
alla popolazione," afferma Des Browne, il ministro
della difesa britannico al Financial Times.

Gli alleati sono anche stati esposti all'accusa di
crimini di guerra. In un recente attacco aereo nel sud
dell'Afghanistan sono stati uccisi 25 civili e il
portavoce della NATO, il luogotenente colonnello Mike
Smith ha detto che i talebani fossero i responsabili
di queste morti, perché nascosti tra la popolazione
civile.
Ma l'articolo 48 della convenzione di Ginevra afferma
chiaramente: "le parti in conflitto devono distinguere
in qualsiasi momento tra la popolazione civile e i
combattenti". L'articolo 50 impone che "la presenza di
individui, tra la popolazione civile, che non possano
essere definiti civili, non muta la definizione della
stessa."
La crescita della guerra aerea in entrambi i paesi ha
meno a che fare con una decisione strategica militare
che il fatto reale che le occupazioni si stanno
rivelando fragili.
Tutti gli intenti e i propositi dell'esercito
statunitense in Iraq sono falliti, le vittime dei
turni, le forze inadeguate e il tipo di guerra che si
è rivelato l'attacco all'Iraq: un conflitto di ombre,
di bombe a tecnologia insufficiente ma con un alto
impatto collaterale, in cui la popolazione è ostile
all'occupazione o almeno simpatizza per la resistenza.

La situazione è simile in Afghanistan. Lord Inge, l'ex
capo dello staff britannico, ha detto recentemente:
"La situazione in Afghanistan è decisamente peggiore
di quanto molti vogliano riconoscere.. è molto più
seria di quanto si voglia riconoscere". Una fonte
militare di alto grado ha rivelato all'Observer "Se si
parla ufficiosamente ai generali si scopre che sono
molto preoccupati". Dovendo affrontare la sconfitta o
sanguinosi punti di stallo, gli alleati si sono
rivolti alle forze aeree, come principalmente gli USA
in Vietnam. Ma, come in Vietnam, il terribile prezzo
inflitto ai civili dalle bombe non garantisce nulla se
non il fallimento sul lungo termine.
"Lungi dall'alleggerire l'opposizione" ha detto
all'Asia Times Phillip Gordon, del Brookings
Institute, "i bombardamenti tendono a far radunare la
gente dietro i propri leader e causano il loro
barricarsi contro gli stranieri, che, qualsiasi sia la
giustificazione del proprio agire, distruggono il loro
paese".
Note:

Traduzione a cura di Irene Barbera per
www.peacelink.it Il testo e' liberamente utilizzabile
a scopi non commerciali citando la fonte, l'autore e
il traduttore.

Link al testo originale in inglese:
http://www.zmag.org/content/print_article.cfm?itemID=13790&s
ectionID=15