mercoledì 19 marzo 2008

Nuovo tracollo bancario collassa la Bear Stearns

Nuovo tracollo bancario collassa la Bear Stearns

di Galapagos

Il Manifesto del 15/03/2008

La Fed salva, con un prestito temporaneo, la quarta banca d'investimento degli Stati uniti. E' stata travolta dalla crisi dei mutui subprime. Profondo rosso in tutte le borse mondiali

Un passo indietro. Il 28 febbraio Ben Bernanke nel corso di una audizione al Congresso Usa afferma che c'è il forte rischio che molti istituti di credito minori sono a rischio di fallimento. Ieri la profezia del presidente della Fed ha trovato la prima conferma: la Bear Stearns è sull'orlo del fallimento. E non si tratta di una «banchetta» qualsiasi, ma della quarta banca d'investimento degli Stati uniti. La reazione dei mercati è stata immediata: le borse europee hanno invertito la tendenza e sono precipitate in una nuova giornata nera. Al pari delle borse statunitensi i cui indici hanno chiuso sotto di oltre un punto e mezzo percentuale. Poca roba rispetto al -40% dei titoli della Bear. Che prima di ieri avevano perso il 29,7% del proprio valore dall'inizio del 2008 e addirittura il 62% dallo scorso aprile. E il tracollo della Bear ha trascinato al ribasso le quotazioni di tutti i titoli delle più grandi banche Usa.
Il fallimento della Bear per ora è stato evitato grazie a un finanziamento ponte concesso dalla Jp Morgan, la prima banca Usa, con l'ausilio della Fed. L'importo del prestito (che teoricamente dovrebbe essere restituito tra 28 giorni) è sconosciuto, ma secondo stime degli esperti, per tamponare la crisi di liquidità sono necessari parecchi miliardi di dollari. Ma come nasce la crisi della Bears? Semplice: la responsabilità e soprattutto del tracollo dei mutui subprime sui quali la banca è fortemente esposta. Negli anni passati, infatti, la Bear Stearns è stata in prima fila nella concessione di questi mutui ad alto rischio, come anche di mutui «ordinari». I mutui, dopo che venivano concessi, venivano cartolarizzati, trasformati in obbligazioni collocate presso il pubblico. E con i soldi ottenuti dal collocamento delle obbligazioni, la banca concedeva nuovi mutui in una catena di Sant' Antonio senza fine.
Ovviamente le obbligazioni erano appetibili: offrivano un alto rendimento che pagavano gli sfortunati proprietari della case costretti a tassi da usura sui mutui ottenuti. Le obbligazioni, altro particolare importante, venivano inserite nei portafogli dei clienti per i quali la banca aveva la gestione dei patrimoni. L'aumento dei tassi indicizzati sui mutui e il rallentamento dell'economia Usa (dal quale deriva una minore capacità di reddito di milioni di cittadini) hanno comportato un crescita esponenziale delle sofferenze sui mutui e una crescita dei pignoramenti. Il valore delle case pignorate, però, non copre mai il valore del prestito concesso, visto che nel frattempo il prezzo degli immobili è crollato.
Le banche (non solo la Bear) si sono così trovate in forte difficoltà a pagare gli interessi sulle obbligazioni emesse, non potendo più contare sull'afflusso delle rate di mutuo. A complicare le cose e a creare allarme, il fatto che chi voleva vendere le obbligazioni che aveva trovato, di fatto non poteva perché nessuno voleva acquistarle. Cinque giorni fa la Bears aveva perso in borsa il 6% sull'onda di «voci» di una crisi finanziari, ma Alan Schwartz, l'amministratore delegato della banca, aveva smentito: nessuna crisi. Ieri Schwartz ha dovuto fare una parziale marcia indietro e per giustificare la bugia dell'inizio settimana ha parlato di «difficoltà finanziarie insorte nelle ultime 24 ore». In realtà le difficoltà della Bear erano evidenti fin da agosto quando erano salati due hedge fund controllati dalla banca che era stata costretta a iscrivere 2 miliardi di dollari di perdite in bilancio. A far precipitare la situazione ha poi contribuito il declassamento - deciso giovedì da Moody's - di 163 obbligazioni e 15 cartolarizzazioni. E questo comporta un aumento enorme dei costi dei credit defalult swap, cioè le delle assicurazioni che garantiscono contro i rischi di default, cioè di fallimento e di non rimborso dei prestiti. Secondo gli esperti la situazione della Bear è disperata: il prestito ponte può solo far da tampone, ma serve una forte ricapitalizzazione della banca che può essere effettuata solo da altre banche meno coinvolte nella crisi dei subprime. Ma non è semplice: sicuramente servirà un intervento del «prestatore di ultima istanza», cioè della Fed. Alla quale molti chiedono di ridurre ulteriormente i tassi, anche se contro questa ipotesi, definita inutile e dannosa, sono schierati molti economisti. E, come ha scritto ieri la Cnn, sostengono - un po' spietati - che «la recessione potrebbe essere la migliore medicina».

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