venerdì 14 marzo 2008

«Saddam non utilizzò gruppi terroristi contro gli Usa e Israele»

«Saddam non utilizzò gruppi terroristi contro gli Usa e Israele»

Il Messaggero del 14 marzo 2008, pag. 11

di Anna Guaita

Nel marzo del 2003,quando l'Amministrazione Bush si preparava a invadere l'Iraq, il 70 per cento degli americani era convinto che Saddam Hussein avesse partecipato alla preparazione e al finanziamento degli attentati dell'11 Settembre 2001. La Commissione indipendente nominata dal Congresso per indagare sugli attentati riferì poi nel 2004 che non erano state trovate tracce di «rapporti di collaborazione» fra il dittatore iracheno e i terroristi di al Qaeda. Ma nella mente di almeno il 30 per cento degli americani, quelle prime convinzioni sono comunque rimaste, indelebili. Adesso arriva un nuovo rapporto, questa volta dedicato interamente a chiarire una volta per tutte se Saddam Hussein avesse avuto o no legami con il terrorismo. Il rapporto, realizzato dal Pentagono dopo aver studiato 600 mila documenti requisiti durante l'invasione, conferma che il dittatore fece uso del terrorismo, e reclutò anche gruppi islamici e palestinesi. Ma non allo scopo di colpire gli Stati Uniti e Israele. L'unico suo interesse era di rafforzare il proprio potere, e questi contatti gli servivano solo per colpire gli esuli iracheni all'estero. Ironia della sorte: l'addestramento terroristico che Saddam fece impartire ai suoi soldati ha permesso a questi uomini di gettare la divisa e trasformarsi in spietate macchine della morte contro le truppe di invasione alleate.



Il rapporto doveva essere reso pubblico ieri, ma all'ultimo minuto il Pentagono ha fatto marcia indietro. I giornalisti che lo vorranno, lo riceveranno per posta. E la scelta di tenerlo nel cassetto ha naturalmente generato non poche critiche. L'Amministrazione Bush è stata accusata più volte di aver manipolato l'intelligence contro Saddam per portare il Paese in una guerra che non c'era bisogno di fare. E questo rapporto sembra confermarlo.



Purtroppo per l'Amministrazione, il rapporto arriva in un momento estremamente delicato, mentre Bush cominciava a sperare di risollevarsi nella popolarità e di convincere un numero crescente di americani a mantenere alto l'impegno militare in Iraq. Nonostante ci avviciniamo al quinto anniversario della guerra, infatti, il fronte iracheno è sempre meno presente sulle pagine dei giornali - solo il 3 per cento delle storie pubblicate tratta dell'Iraq oggi - e il numero dei caduti fra le forze militari Usa è molto diminuito. Anche se Bagdad non ha ancora trovato la stabilità politica, la controffensiva militare lanciata da Bush un anno fa sembra aver ottenuto una relativa pacificazione. E i sondaggi dimostrano che l'opinione pubblica si sente meno preoccupata circa l'esito della guerra, e che un buon 53 per cento pensa che essa possa essere ancora vinta e che l'Iraq possa diventare un Paese stabile e affidabile. Questo cambiamento di prospettiva dovrebbe rafforzare la posizione dei repubblicani, e soprattutto del loro candidato alla presidenza, il senatore John McCain. E dovrebbe invece indebolire i due candidati democratici, Hillary Clinton e Barack Obama, che sul pronto ritiro dall'Iraq basano buona parte della loro campagna.


Ma l'arrivo del rapporto rischia di riaprire il mai risolto dibattito sulle origini della guerra. E' un argomento sempre caldo, soprattutto alla luce del fatto che i caduti americani stanno per superare quota 4 mila. Il doppio di quanti ne furono uccisi dai terroristi di Osama bin Laden nelle Torri Gemelle e al Pentagono a Washington. Il 60 per cento degli americani pensa che entrare in guerra sia stato sbagliato. Rileggere che Saddam Hussein non aveva mai complottato con Osama per uccidere americani o israeliani potrebbe cancellare in un sol colpo le impressioni positive sul successo della controffensiva e far riprecipitare la popolarità di Bush.

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