La Repubblica 13 lug. ’07
UNO STILE DI VITA CHE PORTA AL DISASTRO
GUIDO VIALE
Siamo in larghissima parte fatti, oltre che di acqua, di carbonio: lo stesso
elemento che sta alla base del carbone, del petrolio e del metano, cioè degli
idrocarburi che da duecento, cento e cinquant'anni, rispettivamente, forniscono
l'energia alle società in cui viviamo. Questo forse dovrebbe farci sentire in
sintonia non solo con il mondo dei viventi, fatti anch'essi, come noi, di acqua
e carbonio, ma anche con la civiltà industriale, che ha fatto degli idrocarburi
il sangue che scorre lungo tutti i circuiti della produzione e del consumo. Ma
non è così.
I processi di ossidazione del carbonio che mantengono la nostra temperatura
corporea e ci forniscono l'energia per muoverci e pensare sono gli stessi che
forniscono calore ed energia alla macchina produttiva e alla vita civile del
pianeta; ma stanno tra loro come la fiamma di un fornello sta a un' esplosione
di tritolo. I primi sono controllati ed efficienti: il nostro corpo non
metabolizza più carbonio e non produce più calore ed energia di quanto gliene
serve; i secondi sono rapidi, altamente dissipatori e consumano una risorsa che
non si rinnova. Entrambi producono – ma i primi in misura infinitamente minore
dei secondi - anidride carbonica: un gas che, riassorbito ogni giorno dalla
vegetazione, mantiene la temperatura dell'ecosistema Terra in equilibrio; mentre
diffuso in quantità eccessive nell'atmosfera, rende progressivamente invivibile
il nostro pianeta: prima per gli stili di vita a cui siamo abituati; po'x per la
mera sopravvivenza degli organismi complessi. Se la vita, compresa la nostra, si
è sviluppata sul nostro pianeta, è perché per alcuni miliardi di anni miriadi di
organismi, come tanti spazzini, hanno "ripulito" l'atmosfera dall'anidride
carbonica che la soffocava, liberando l'ossigeno dalla stretta del carbonio e
poi inabissandosi con questo sotto i sedimenti e le colate di lava che hanno
plasmato nel tempo la crosta terrestre. L'ossigeno liberato lo assorbiamo con
l'aria che respiriamo e il respiro è vita, psiche, spirito.
Ora il sistema produttivo e gli stili di vita che si sono insediati nel mondo a
partire dalla rivoluzione industriale sono stati costruiti dissotterrando e
restituendo progressivamente all'atmosfera il bottino di quel lavoro di pulizia.
E' come se rendessimo la nostra casa inabitabile rovesciando per le stanze il
contenuto della pattumiera; o il nostro territorio invivibile, come tante città
della Campania, dissotterrando i rifiuti sepolti nelle discariche per spargerli
in strada. Con una differenza: mentre gli altri inquinanti emessi dalla
combustione sono da tempo fonte di allarme, perché rendono irrespirabile l'aria
delle città e delle autostrade - puzzano, annebbiano, sporcano, lasciano l'amaro
in bocca e ci rendono bronchitici, asmatici e cardiopatici fin da bambini -
l'anidride carbonica è inodore, insapore e incolore; la percezione dei suoi
danni può essere solo il risultato di calcoli e ragionamenti astratti. Le vere
conseguenze - i ghiacciai che si sciolgono, i fiumi che si prosciugano, i suoli
trasformati in croste di fango secco, le spiagge che si inabissano, le stagioni
che scompaiono e gli uragani che imperversano - sono legate agli scappamenti
delle nostre automobili, alle caldaie dei nostri riscaldamenti, alle spine dei
nostri elettrodomestici solo in modo indiretto. Tanto indiretto che si può
continuare a fare come se niente fosse.
Ora, però, dopo che anche Bush e il prof. Guido Visconti, esperto di
meteorologia del Corriere della sera, si sono finalmente convinti che l’effetto
serra esiste, sul pianeta Terra sono rimasti solo il romanziere Michael Crichton
e il consigliere economico di Berlusconi Renato Brunetta a pensare che sia
invece un complotto dell’Internazionale verde, o una favola imposta dalla
"dittatura planetaria degli ambientalisti". Tutti gli altri sono d'accordo che
bisogna correre ai ripari e mentre in Iraq come in Afghanistan gli eserciti
occupanti bruciano tutti i giorni tanto petrolio quanto forse basterebbe
risparmiarne per "rientrare" nei pur insufficienti parametri di Kyoto, la gente
si chiede "Che fare?". E i politici affamati di comparse in TV invidiano
AL Gore, che si è procurato un'audience fantastica (due miliardi di
telespettatori) cavalcando il problema; una riproposizione, anche in sedicesimo,
del suo successo, piacerebbe a tutti. Ma c'è un ma.
Da un lato correre ai ripari vuol dire consumare meno combustibili fossili: meno
petrolio, meno metano e soprattutto meno carbone; se se ne consumano meno, tutti
dovrebbero essere contenti. Dall'altro, senza petrolio, carbone e metano nessuno
ha idea di come far funzionare la macchina economica, cioè la "crescita" e lo
"sviluppo": l'aumento del Pil di qualche punto percentuale, o di qualche
frazione di punto, che per tutti i governi del mondo è ormai una questione di
vita o di morte. Le alternative ai combustibili fossili - l’eolico, il
fotovoltaico, i biocarburanti, ecc. - possono essere un business e i gruppi
industriali più accorti, con quelli italiani in coda, visi stanno gettando a
capofitto. Ma il petrolio continua e continuerà a far gola: tanto all’Eni quanto
a Bush, tanto al governo cinese quanto a quello australiano, un cui ministro
finalmente non ha avuto remore nel dire quello che tutti sanno; e cioè che in
Iraq ci si è andati a fare la guerra e ci si resta per rubare il petrolio.
L'Aie - l'Agenzia internazionale dell'energia, lobby dei paesi consumatori nata
per contrapporsi all'Opec, cartello dei paesi produttori - fino all'anno scorso
prevedeva una crescita del 50 per cento del consumo di petrolio nei prossimi 25
anni, sicura che le riserve del pianeta vi avrebbero fatto fronte. Ma ora è
costretta ad ammettere quello che gli esperti indipendenti riuniti nell'Aspo -
l'associazione di coloro che sostengono che l'estrazione di petrolio e gas è
prossima al suo picco - stanno ripetendo da tempo: cioè che di petrolio da
estrarre ce ne sarà sempre meno e che dobbiamo imparare a far senza. Dovrebbe
essere una buona notizia, invece è fonte di panico, anche se il petrolio residuo
è ancora sufficiente a trasformare il mondo in una fornace.
Un conto è infatti spiegare, durante un concerto in mondovisione o con un bel
film, che il tempo stringe e si deve cambiare. Un conto è aprire una trattativa
con la Confindustria o l'Unione petrolifera per definire un piano e degli
impegni precisi - con incentivi e penalità sostanziali – per ridurre in
trent'anni le emissioni di gas di serra di un fattore 10: cioè non del 10 per
cento, ma di dieci volte. E cominciando subito. Ve lo immaginate un governo
italiano - un governo, e non un ministro, perché i nostri ministri sono sempre
"in libera uscita" – che apre una trattativa di questo tipo? O il sindaco di una
grande città che spiega ai suoi elettori che dovranno staccare il sedere dalle
loro automobili e salire su un autobus sgangherato, già oggi affollato come una
scatola di sardine, o su un taxi collettivo, che nemmeno sa bene spiegare che
cosa sia?