mercoledì 16 gennaio 2008

Gli orsi polari mettono gli Inuit contro i verdi

Marina Forti
Gli orsi polari mettono gli Inuit contro i verdi
“il manifesto”, 15 gennaio 2008
E' un vero e proprio conflitto di interessi - e forse anche un diverso modo di intendere l'ecologia. Tre organizzazioni ambientaliste degli Stati uniti hanno minacciato di perseguire in giustizia il loro governo se non includerà al più presto l'orso polare nell'elenco delle specie minacciate: il riscaldamento globale del clima sta provocando lo scioglimento delle placche di ghiaccio artico su cui gli orsi vivono e si procurano il cibo. Il governo di Washington però ha chiesto ulteriore tempo per analizzarte i dati sulla popolazione degli orsi polari, e rinvia una decisione: così gli ambientalisti minacciano azioni legali.
L'iniziativa dei gruppi ambientalisti però ha suscitato la levata di scudi degli Inuit, popolazioni indigene dell'Artico: cacciare l'orso polare è un'antica tradizione in quelle terre ghiacciate. Di recente è diventata anche una buona fonte di reddito, con facoltosi cacciatori americani che pagano per “safari” sull'Artico. Mary Simon, presidente degli Inuit Tapiriit - una popolazione inuit dell'Artico canadese - si è spinta a dire che i gruppi verdi usano la questione degli orsi per un attacco politico all'amministrazione Bush circa il problema più generale del clima. “Gli Inuit fondalmentalmente dissentono da questa tattica”, ha detto Simon: “Per gli Inuit canadesi l'orso polare è una questione molto importante di sussistenza, economica, culturale, di diritti, di conservazione, di gestione delle risorse”. E' questione complessa, a molti livelli, continua la signora Simon: “Ma i media, i gruppi ambientalisti e il pubblico guardano solo in modo semplicistico, in bianco e nero”.
Gli Inuit sono tra le popolazioni del pianeta più vulnerabili al cambiamento del clima. Nella regione artica infatti il riscaldamento globale significa scioglimento dei ghiacci, problemi per la pesca, scioglimento del permafrost (lo strato di terra perennemente ghiacciata che fa da fondamenta a strade e costruzioni: che infatti cominciano a sprofondare), erosione delle coste. Non per nulla la Nazione Inuit, insieme al Consiglio Artico (Arctic Council, che riunisce le otto nazioni affacciate sull'oceano che ricopre il polo nord: Canada, Danimarca, finlandia, Svezia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati uniti) aveva commissionato una importante ricerca scientifica: il Arctic Climate assessment diffuso nell'autunno del 2004 aveva lanciato uno degli allarmi più dettagliati sulla trasformazioni provocate dal riscaldamento globale nella regione.
Gli scienziati ora stimano che la popolazione mondiale di orsi polari conti circa 25mila individui, di cui due terzi vivono in Canada, quasi tutti nel territorio artico sovrano di Nunavut. Il Us Geological Survey stimava l'anno scorso che due terzi degli orsi polari mondiali saranno scomparsi entro il 2050, se le previsioni sullo scioglimento dei ghiacci artici saranno confermate. I funzionari del Nonavut stimano al contrario che benché la situazione generale sia allarmante, che gli orsi se la passino bene. Ottimismo non condiviso dal Wwf Canada: il direttore del programma sulla conservazione delle specie, Peter Ewins, ha dichiarato ieri all'agenzia Reuter che “il trend è allarmante per queste popolazioni di orsi polari”, e che i dati mostrano popolazioni in calo o stagnanti.
Dall'altro lato c'è la caccia. Dal 1 luglio 2006 al 30 giugno 2007 nel Nunavut sono stati uccisi 498 orsi, di cui 120 sparati da “cacciatori sportivi”, che pagano fino a 30mila dollari per questo “piacere”: in tutto i cacciatori spendono all'incirca 3,5 milioni di dollari all'anno nel Nunavut, dove per altro la disoccupazione è alta e il costo della vita anche. Gli Inuit dunque non vogliono rinunciare a questo reddito e considerano strumentale la campagna degli ambientalisti Usa. La caccia è regolamentatain modo stretto, spiega alla Reuter Duane Smith, presidente della sezione canadese del Circolo Circumpolare Inuit: “I nostri cacciatori e le guide beneficiano economicamente della caccia, che continua la nostra cultura, e assicurano che sia condotta in modo sostenibile”.

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