Biocarburante, quanto ci costi
Il Sole 24 Ore del 15 febbraio 2008, pag. 1
di Leonardo Maugeri
Non stiamo vivendo soltanto uno shock petrolifero. In modo più subdolo e meno appariscente, nel mondo sta montando uno shock da biocarburanti. È solo meno visibile, perché è ancora ai suoi albori e i suoi primi effetti colpiscono soprattutto le popolazioni più povere della Terra.
Figlia della ricerca di alternative al petrolio, la corsa alla produzione di biocarburanti sta intaccando i fondamentali del mercato mondiale di alcuni prodotti essenziali per la catena alimentare umana - principalmente cereali e oli vegetali. Anche quando molti di questi beni non entrano direttamente nella nostra dieta lo fanno indirettamente, poiché sono essenziali come mangimi per animali: per cui, se aumenta il costo dell'alimentazione animale, aumenta necessariamente il prezzo della carne che finirà sulle nostre tavole.
Il problema è relativamente semplice. Molti coltivatori preferiscono destinare i loro terreni alla coltivazione di colture in grado di produrre etanolo (sostituto della benzina, che si può ottenere da canna da zucchero, mais, barbabietola) o biodiesel (sostituito del gasolio, che si ottiene da oli vegetali come l'olio di palma, soia, colza). Data la crescente domanda di biocarburanti e i forti sussidi pubblici garantiti da molti Governi - primo fra tutti quello degli Stati Uniti - per quei coltivatori risulta molto più conveniente abbandonare il mercato alimentare e buttarsi su quello dell'energia. Così facendo, tuttavia, sottraggono le loro produzioni al primo, in cui la domanda di quegli stessi beni è pure in forte crescita.
Gran parte del mondo in via di sviluppo richiede più proteine e calorie, segno inequivocabile di un'espansione economica che migliora il tenore di vita: un cinese consumava 20 kg di carne l'anno nel 1985, ma nel 2007 il consumo pro-capite del Paese ha superato i 50 kg. L'effetto combinato di questa doppia domanda sui prezzi è immediato, anche perché un chilo di carne di manzo richiede otto chili di cereali (in fase di alimentazione dell'animale) ma rilascia un numero di calorie uguale a quello del semplice chilo di cereali. Molti analisti hanno rintuzzato gli avvertimenti preoccupati sulla potenziale competizione tra usi alimentari e energetici di molte produzioni agricole. Per loro la crescita dei prezzi dell'ultimo biennio è dovuta soltanto a un balzo inatteso della domanda alimentare che si è scontrato con una produzione insufficiente, basse scorte e eventi climatici sfavorevoli - oltre che a fenomeni speculativi. Ma le cose stanno così solo in parte.
I picchi dei prezzi di cereali e oli vegetali nel 2007 sono arrivati in una fase di produzione record. Per i cereali, per esempio, la produzione del 2007 si è attestata su circa 1,7 miliardi di tonnellate, un livello mai raggiunto nella storia. Record analoghi sono stati toccati da olio di palma e soia. Eppure questo non è bastato, tanto che le scorte di cereali sono calate di oltre 50 milioni di tonnellate - segno della pressione fortissima di una domanda in crescita. Ma domanda di che? Bene, solo negli Usa 30 milioni di tonnellate di mais in più rispetto al 2006 sono andate alla produzione di biocarburanti, cui si aggiungono altri 10 milioni di tonnellate spostate su quel tipo di produzioni in altre parti del mondo. In sostanza, gran parte del drenaggio di scorte di cereali ha avuto per responsabile la produzione di energia alternativa.
Anche molti oli vegetali hanno subito la stessa sorte. In Occidente la cosa passa quasi sotto silenzio, ma non va dimenticato che l'olio di palma e soia è essenziale della dieta di centinaia di milioni di persone in Asia e in Africa, poiché senza di essi non si può cucinare. E questo è quanto si sta verificando in Indonesia, Malaysia e India, a causa di un'impennata nei prezzi dell'olio di palma e soia. È pur vero che i rincari dicereali e oli vegetali, nonché di molti altri beni alimentari, hanno risentito di forti fenomeni speculativi - simili a quelli che si stanno osservando nel settore petrolifero - alimentati da meccanismi di finanza derivata. Ed è anche vero che le capacità produttive di beni agricoli di intere aree del mondo - a partire dalla Cina - sono sottosfruttate e basate su tecnologie e metodologie obsolete. Ma è pur vero che i vasti programmi di sussidi e altri incentivi pubblici che in molte parti del mondo si stanno indirizzando verso le produzioni di biocarburanti tenderanno a determinare uno spiazzamento che sarà difficile recuperare nei prossimi dieci anni, poiché il recupero tecnologico e produttivo dei Paesi meno avanzati richiederà tempi molto lunghi.
Nel frattempo, secondo la Fao rivolte per l'aumento del prezzo degli oli vegetali sono già esplose negli ultimi mesi in Guinea, Mauritania, Messico, Marocco, Senegal, Uzbekistan e Yemen. E questo è ancor più preoccupante, perché la produzione di biocarburanti è ancora a uno stato fetale ma si svilupperà drasticamente nei prossimi anni a causa di incentivi e obiettivi stringenti imposti dalle autorità di mezzo mondo. E quello sviluppo sottrarrà immense porzioni di territorio alle produzioni agricole, poiché - è bene ricordarlo - servono enormi produzioni di cereali e oli vegetali per ottenere modeste quantità di carburanti, dato che il contenuto energetico di questi ultimi è molto basso. Questo senza considerare le ambiguità che ancora circondano l'effettivo bilancio energetico dei biocarburanti (cioè l'energia effettivamente resa al netto di quella consumata per produrli) e quello ambientale.
A questo proposito, l'ultimo numero di Science riporta i risultati degli studi compiuti da due università statunitensi, secondo cui i gas serra prodotti dall'etanolo produrrebbero un tasso di surriscaldamento globale due volte superiore a quello prodotto da benzina e gasolio. Ma in tema ambientale molti altri problemi rimangono aperti sui carburanti biologici, a partire da quello dell'enorme consumo di acqua (la cui disponibilità rappresenterà un fattore critico del nostro secolo), dell'impoverimento dei suoli, dell'uso massiccio di fertilizzanti richiesti dalla coltivazione di immense quantità di materie prime da destinare alla produzione di energia.
Forse il rimedio (i biocarburanti) è peggiore del male (il petrolio), come ha sentenziato un recente rapporto della Fao. E, soprattutto, non è comunque un rimedio, perché a causa del bassissimo contenuto di energia ricavabile dalla colture agricole i biocarburanti non potranno mai essere un candidato credibile a sostituire i carburanti tradizionali. La strada difficile per sostituire in parte (e solo in parte) i derivati del petrolio nel trasporto passa dalla ricerca di frontiera applicata a colture non tradizionali (dalle alghe, ai batteri, ai funghi) e a scarti ligneo-cellulosici. Ma è una strada complementare alla via maestra, che richiede un abbattimento dei consumi di petrolio incentrato su vasti piani di efficienza energetica. Fortunatamente, negli ultimi tempi si sono levate più voci critiche sulla produzione di biocarburanti da colture tradizionali (dall'Onu alla Fao). Ma questo non è bastato a frenare la corsa alla loro produzione.
Sviluppare le produzioni agricole è certamente una prospettiva fondamentale per molte popolazioni della Terra. In alcuni casi specifici, parte di quelle produzioni - in futuro - potrebbero anche andare alla produzione di biocarburanti, se le condizioni di mercato e la convenienza per i Paesi lo consentiranno. Ma vincolare quei raccolti alla produzione di energia attraverso incentivi e sussidi è qualcosa che potremo pagare a caro prezzo in futuro.
Il Sole 24 Ore del 15 febbraio 2008, pag. 1
di Leonardo Maugeri
Non stiamo vivendo soltanto uno shock petrolifero. In modo più subdolo e meno appariscente, nel mondo sta montando uno shock da biocarburanti. È solo meno visibile, perché è ancora ai suoi albori e i suoi primi effetti colpiscono soprattutto le popolazioni più povere della Terra.
Figlia della ricerca di alternative al petrolio, la corsa alla produzione di biocarburanti sta intaccando i fondamentali del mercato mondiale di alcuni prodotti essenziali per la catena alimentare umana - principalmente cereali e oli vegetali. Anche quando molti di questi beni non entrano direttamente nella nostra dieta lo fanno indirettamente, poiché sono essenziali come mangimi per animali: per cui, se aumenta il costo dell'alimentazione animale, aumenta necessariamente il prezzo della carne che finirà sulle nostre tavole.
Il problema è relativamente semplice. Molti coltivatori preferiscono destinare i loro terreni alla coltivazione di colture in grado di produrre etanolo (sostituto della benzina, che si può ottenere da canna da zucchero, mais, barbabietola) o biodiesel (sostituito del gasolio, che si ottiene da oli vegetali come l'olio di palma, soia, colza). Data la crescente domanda di biocarburanti e i forti sussidi pubblici garantiti da molti Governi - primo fra tutti quello degli Stati Uniti - per quei coltivatori risulta molto più conveniente abbandonare il mercato alimentare e buttarsi su quello dell'energia. Così facendo, tuttavia, sottraggono le loro produzioni al primo, in cui la domanda di quegli stessi beni è pure in forte crescita.
Gran parte del mondo in via di sviluppo richiede più proteine e calorie, segno inequivocabile di un'espansione economica che migliora il tenore di vita: un cinese consumava 20 kg di carne l'anno nel 1985, ma nel 2007 il consumo pro-capite del Paese ha superato i 50 kg. L'effetto combinato di questa doppia domanda sui prezzi è immediato, anche perché un chilo di carne di manzo richiede otto chili di cereali (in fase di alimentazione dell'animale) ma rilascia un numero di calorie uguale a quello del semplice chilo di cereali. Molti analisti hanno rintuzzato gli avvertimenti preoccupati sulla potenziale competizione tra usi alimentari e energetici di molte produzioni agricole. Per loro la crescita dei prezzi dell'ultimo biennio è dovuta soltanto a un balzo inatteso della domanda alimentare che si è scontrato con una produzione insufficiente, basse scorte e eventi climatici sfavorevoli - oltre che a fenomeni speculativi. Ma le cose stanno così solo in parte.
I picchi dei prezzi di cereali e oli vegetali nel 2007 sono arrivati in una fase di produzione record. Per i cereali, per esempio, la produzione del 2007 si è attestata su circa 1,7 miliardi di tonnellate, un livello mai raggiunto nella storia. Record analoghi sono stati toccati da olio di palma e soia. Eppure questo non è bastato, tanto che le scorte di cereali sono calate di oltre 50 milioni di tonnellate - segno della pressione fortissima di una domanda in crescita. Ma domanda di che? Bene, solo negli Usa 30 milioni di tonnellate di mais in più rispetto al 2006 sono andate alla produzione di biocarburanti, cui si aggiungono altri 10 milioni di tonnellate spostate su quel tipo di produzioni in altre parti del mondo. In sostanza, gran parte del drenaggio di scorte di cereali ha avuto per responsabile la produzione di energia alternativa.
Anche molti oli vegetali hanno subito la stessa sorte. In Occidente la cosa passa quasi sotto silenzio, ma non va dimenticato che l'olio di palma e soia è essenziale della dieta di centinaia di milioni di persone in Asia e in Africa, poiché senza di essi non si può cucinare. E questo è quanto si sta verificando in Indonesia, Malaysia e India, a causa di un'impennata nei prezzi dell'olio di palma e soia. È pur vero che i rincari dicereali e oli vegetali, nonché di molti altri beni alimentari, hanno risentito di forti fenomeni speculativi - simili a quelli che si stanno osservando nel settore petrolifero - alimentati da meccanismi di finanza derivata. Ed è anche vero che le capacità produttive di beni agricoli di intere aree del mondo - a partire dalla Cina - sono sottosfruttate e basate su tecnologie e metodologie obsolete. Ma è pur vero che i vasti programmi di sussidi e altri incentivi pubblici che in molte parti del mondo si stanno indirizzando verso le produzioni di biocarburanti tenderanno a determinare uno spiazzamento che sarà difficile recuperare nei prossimi dieci anni, poiché il recupero tecnologico e produttivo dei Paesi meno avanzati richiederà tempi molto lunghi.
Nel frattempo, secondo la Fao rivolte per l'aumento del prezzo degli oli vegetali sono già esplose negli ultimi mesi in Guinea, Mauritania, Messico, Marocco, Senegal, Uzbekistan e Yemen. E questo è ancor più preoccupante, perché la produzione di biocarburanti è ancora a uno stato fetale ma si svilupperà drasticamente nei prossimi anni a causa di incentivi e obiettivi stringenti imposti dalle autorità di mezzo mondo. E quello sviluppo sottrarrà immense porzioni di territorio alle produzioni agricole, poiché - è bene ricordarlo - servono enormi produzioni di cereali e oli vegetali per ottenere modeste quantità di carburanti, dato che il contenuto energetico di questi ultimi è molto basso. Questo senza considerare le ambiguità che ancora circondano l'effettivo bilancio energetico dei biocarburanti (cioè l'energia effettivamente resa al netto di quella consumata per produrli) e quello ambientale.
A questo proposito, l'ultimo numero di Science riporta i risultati degli studi compiuti da due università statunitensi, secondo cui i gas serra prodotti dall'etanolo produrrebbero un tasso di surriscaldamento globale due volte superiore a quello prodotto da benzina e gasolio. Ma in tema ambientale molti altri problemi rimangono aperti sui carburanti biologici, a partire da quello dell'enorme consumo di acqua (la cui disponibilità rappresenterà un fattore critico del nostro secolo), dell'impoverimento dei suoli, dell'uso massiccio di fertilizzanti richiesti dalla coltivazione di immense quantità di materie prime da destinare alla produzione di energia.
Forse il rimedio (i biocarburanti) è peggiore del male (il petrolio), come ha sentenziato un recente rapporto della Fao. E, soprattutto, non è comunque un rimedio, perché a causa del bassissimo contenuto di energia ricavabile dalla colture agricole i biocarburanti non potranno mai essere un candidato credibile a sostituire i carburanti tradizionali. La strada difficile per sostituire in parte (e solo in parte) i derivati del petrolio nel trasporto passa dalla ricerca di frontiera applicata a colture non tradizionali (dalle alghe, ai batteri, ai funghi) e a scarti ligneo-cellulosici. Ma è una strada complementare alla via maestra, che richiede un abbattimento dei consumi di petrolio incentrato su vasti piani di efficienza energetica. Fortunatamente, negli ultimi tempi si sono levate più voci critiche sulla produzione di biocarburanti da colture tradizionali (dall'Onu alla Fao). Ma questo non è bastato a frenare la corsa alla loro produzione.
Sviluppare le produzioni agricole è certamente una prospettiva fondamentale per molte popolazioni della Terra. In alcuni casi specifici, parte di quelle produzioni - in futuro - potrebbero anche andare alla produzione di biocarburanti, se le condizioni di mercato e la convenienza per i Paesi lo consentiranno. Ma vincolare quei raccolti alla produzione di energia attraverso incentivi e sussidi è qualcosa che potremo pagare a caro prezzo in futuro.
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