Il Manifesto 23.02.08
Un «posto in prima fila» per dire no alla Tav
Compra un posto in prima fila. Ovvero la nuova resistenza della val Susa. Il coordinamento dei comitati No Tav riunito a Bussoleno il 5 febbraio scorso ha infatti varato un’iniziativa inedita: il processo di acquisto in proprietà indivisa (un metro quadro a testa, al costo di 15 euro, da parte di migliaia di persone no Tav) dei terreni della zona Colombera di Chiomonte. Cioè quei terreni che dovrebbero essere espropriati per realizzare la nuova uscita del tunnel, secondo il «progetto governativo» contenuto nel dossier presentato dal ministro di Pietro all’Ue. In altre parole, i cittadini no Tav acquisteranno una quota dei terreni dove dovrebbero essere aperti i nuovi cantieri. Mille, 5 mila, 10 mila proprietari di terreni scelti a macchia di leopardo che avranno il diritto di trovarsi su quei terreni «in qualunque momento e nonostante qualunque forza di polizia o esercito».
Sono passati oltre due anni ormai da quando il governo Prodi ha presentato alla Ue un progetto di tracciato per ottenere i finanziamenti necessari alla realizzazione internazionale della Torino-Lyon. La Ue ha stanziato 671 milioni di euro spalmati su cinque anni per gli studi di questa tratta che il governo Prodi ha deciso di far passare in destra Dora con uscita del tunnel di base a Chiomonte anziché a Venaus. Perché a Venaus la resistenza della popolazione ha avuto successo e alla fine i cantieri non sono mai stati aperti. Ma anche la nuova proposta non incontra molti favori.
Il popolo no Tav ha raccolto oltre 32mila firme in due mesi per dire no a qualunque ipotesi di nuovo tunnel, a qualunque ipotesi di nuova linea Torino-Lyon. Per sottolineare la sua contrarietà a ogni nuovo progetto la valle ha scelto la strategia del posto in prima fila. La settimana scorsa si è riunito ancora una volta il tavolo istituzionale di Palazzo Chigi che nei fatti ripropone la fattibilità del progetto di alta velocità. Unica voce dissonante quella della sindaca di San Didero, Loredana Bellone, che al tavolo ha rappresentato gli 87 amministratori valsusini contrari a proseguire l’esperienza di un coinvolgimento a livello governativo.
Tra l’altro dal dossier di candidatura è possibile identificare la potenziale illegittimità del finanziamento europeo visto che nel dossier si ripete che l’attivazione dell’osservatorio ha permesso di avviare una fase di confronto con gli oppositori al progetto e una «concertazione» in realtà non c’è mai stata.
C’è poi il problema della ripartizione dei costi sulla tratta internazionale, prevista nel 63% per l’Italia e 37% per la Francia (su un percorso che insiste per il 60% sul territorio francese). Infine rimangono molto dubbi sul fatto che a gestire l’operazione sia una Sas (società per azioni semplificata) soggetta alla giurisdizione francese e che venga dichiarato nello stesso dossier che il finanziamento sarà assicurato quasi totalmente da fondi pubblici «reperiti nell’ambito delle prossime leggi finanziarie».
Orsola Casagrande
Un «posto in prima fila» per dire no alla Tav
Compra un posto in prima fila. Ovvero la nuova resistenza della val Susa. Il coordinamento dei comitati No Tav riunito a Bussoleno il 5 febbraio scorso ha infatti varato un’iniziativa inedita: il processo di acquisto in proprietà indivisa (un metro quadro a testa, al costo di 15 euro, da parte di migliaia di persone no Tav) dei terreni della zona Colombera di Chiomonte. Cioè quei terreni che dovrebbero essere espropriati per realizzare la nuova uscita del tunnel, secondo il «progetto governativo» contenuto nel dossier presentato dal ministro di Pietro all’Ue. In altre parole, i cittadini no Tav acquisteranno una quota dei terreni dove dovrebbero essere aperti i nuovi cantieri. Mille, 5 mila, 10 mila proprietari di terreni scelti a macchia di leopardo che avranno il diritto di trovarsi su quei terreni «in qualunque momento e nonostante qualunque forza di polizia o esercito».
Sono passati oltre due anni ormai da quando il governo Prodi ha presentato alla Ue un progetto di tracciato per ottenere i finanziamenti necessari alla realizzazione internazionale della Torino-Lyon. La Ue ha stanziato 671 milioni di euro spalmati su cinque anni per gli studi di questa tratta che il governo Prodi ha deciso di far passare in destra Dora con uscita del tunnel di base a Chiomonte anziché a Venaus. Perché a Venaus la resistenza della popolazione ha avuto successo e alla fine i cantieri non sono mai stati aperti. Ma anche la nuova proposta non incontra molti favori.
Il popolo no Tav ha raccolto oltre 32mila firme in due mesi per dire no a qualunque ipotesi di nuovo tunnel, a qualunque ipotesi di nuova linea Torino-Lyon. Per sottolineare la sua contrarietà a ogni nuovo progetto la valle ha scelto la strategia del posto in prima fila. La settimana scorsa si è riunito ancora una volta il tavolo istituzionale di Palazzo Chigi che nei fatti ripropone la fattibilità del progetto di alta velocità. Unica voce dissonante quella della sindaca di San Didero, Loredana Bellone, che al tavolo ha rappresentato gli 87 amministratori valsusini contrari a proseguire l’esperienza di un coinvolgimento a livello governativo.
Tra l’altro dal dossier di candidatura è possibile identificare la potenziale illegittimità del finanziamento europeo visto che nel dossier si ripete che l’attivazione dell’osservatorio ha permesso di avviare una fase di confronto con gli oppositori al progetto e una «concertazione» in realtà non c’è mai stata.
C’è poi il problema della ripartizione dei costi sulla tratta internazionale, prevista nel 63% per l’Italia e 37% per la Francia (su un percorso che insiste per il 60% sul territorio francese). Infine rimangono molto dubbi sul fatto che a gestire l’operazione sia una Sas (società per azioni semplificata) soggetta alla giurisdizione francese e che venga dichiarato nello stesso dossier che il finanziamento sarà assicurato quasi totalmente da fondi pubblici «reperiti nell’ambito delle prossime leggi finanziarie».
Orsola Casagrande
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