Come Clinton favorì la new economy
Il Riformista del 11 dicembre 2006, pag. 3
di Fabrizio Spagna
Gli Stati Uniti rappresentano senza dubbio il motore dell'economica mondiale. In molti casi i modelli di sviluppo nati negli Usa sono stati rapidamente esportati tanto da diventare fenomeni globali. Un esempio su tutti è rappresentato di sicuro dall'economia della conoscenza meglio nota come «new economy». Gli Stati Uniti, proprio grazie all'energia sprigionata da questo modello di sviluppo, hanno potuto godere di un decennio di forte crescita senza mai evidenziare alcun segnale di rallentamento. Un fenomeno senza precedenti che è coinciso con gli anni in cui Bill Clinton era alla Casa Bianca assieme al suo vice Al Gore.
Le domande che legittimamente si pongono sono: qual è il motore che genera queste innovazioni di pensiero, prima ancora che tecnologiche e di processo, e qual è il ruolo della politica in quest'ambito? Queste domande appaiono quanto mai di attualità se si considera che i Democratici hanno appena vinto le elezioni di medio termine negli Stati Uniti e si apprestano, secondo i più autorevoli sondaggi, a riconquistare tra due anni la Casa Bianca.
Va detto che le opinioni su questo argomento sono contrastanti. In Silicon Valley, proprio l'epicentro da cui si è propagato in tutto il pianeta il fenomeno della new economy, si tende in generale a minimizzare. Le scelte di politica economica rappresentano le regole del gioco all'interno delle quali è l'imprenditore che con le sue quattro C (creatività, competenza, caparbietà e coraggio) crea il vero sviluppo economico. Un ragionamento formalmente corretto che però sottovaluta l'importanza delle regole nel definire il quadro delle convenienze per quell'imprenditore che, comunque, deve poter contare su delle qualità superiori alla media per emergere.
Per tentare un ragionamento organico bisogna partire dai dati oggettivi. Per quanto attiene la ricerca e lo sviluppo, si stima che gli Stati Uniti coprano circa il 45 per cento delle spese totali nel mondo. Va considerato che il peso del Pil americano rispetto al Pil mondiale è di circa il 28 percento e, dunque, il primo elemento è che gli Stati Uniti spendono più degli altri Paesi in proporzione al loro peso economico in R&S attribuendo al comparto un valore determinante per lo sviluppo della loro economia. Per completare la statistica, si può notare come le spese Usa in R&S risultino superiori a quelle dei sei Paesi più industrializzati messi insieme: Giappone, Canada, Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna. Queste spese in R&S ammontano a circa il 3 percento del Pil statunitense mentre la media Ue si assesta al circa il 2 per cento. Fin qui sono cose note. Ma c'è di più.
Gli Stati Uniti indirizzano ingenti investimenti pubblici nel campo del R&S per realizzare una vera e propria politica economica a vantaggio delle industrie nazionali. In questi ultimi sei anni gli investimenti pubblici in R&S si sono indirizzati quasi esclusivamente al settore militare. Facendo il confronto con l'Europa, ad esempio, si può notare come i Paesi dell'Ue si muovano quasi sempre autonomamente. I fondi europei in R&S rappresentano il 5 per cento delle spese totali dei Paesi Ue mentre il 95 per cento delle risorse in R&S è erogato dai singoli Stati e allocato in base alle politiche di ciascun Paese dell'Ue.
Un altro fattore competitivo nel campo dell'innovazione, negli Stati Uniti, è rappresentato dal sistema delle università e dalla loro apertura verso quello che viene chiamato il meticciato culturale. Le università rappresentano una parte fondamentale della forza dell'economia Usa. Secondo il rapporto dell'Oecd sull'educazione, gli Stati Uniti spendono il 2,7 per cento del loro Pii per le università, contro l'I per cento di Francia, Germania e Gran Bretagna. Negli Usa, poi, il finanziamento universitario è privato al 50 per cento mentre in Europa i finanziamenti sono quasi esclusivamente pubblici. Grazie a questo sistema di incentivi e di finanziamenti, il 30 percento degli studenti delle università americane è straniero e oltre il 50 per cento dei dottorati di ricerca è dedicato a cittadini di origine non americana. Più della metà degli studenti iscritti alle facoltà scientifiche americane è straniera e come logica conseguenza più della metà delle start-up di Silicon Valley è guidata da neo-imprenditori stranieri, principalmente asiatici.
Sebbene i dati riportati rappresentino soltanto una piccola parte di quanto gli Stati Uniti hanno fatto e stanno facendo per mantenere alto il loro livello di competitività sui settori più strategici ad alta intensità di conoscenza, si può già tentare di tirare alcune conclusioni. Nonostante le regole del mercato, la disponibilità di capitali e un sistema più efficiente rappresentino sicuramente elementi chiave del successo economico Usa, il ruolo della politica, inteso come capacità di prevedere i grandi cambiamenti a livello mondiale e predisporre un sistema Paese in grado di affrontare le sfide della competitività con gli strumenti adeguati, è altrettanto importante per il successo di un grande Paese come gli Stati Uniti.
Nel 1993 quando Bill Clinton arrivò per la prima volta alla Casa Bianca, il presidente iniziò a sostenere un progetto, noto come National information infrastructure (Infrastruttura nazionale informativa), che si collocava all'interno di un più generale piano per la costruzione di una infrastruttura mondiale dell'informazione. I punti cardine di questo piano erano: promuovere gli investimenti nel settore privato, estendere il concetto di servizio universale al fine di assicurare che le risorse informative siano disponibili a tutti a prezzi abbordabili, agire come catalizzatore per la promozione dell'innovazione tecnologica e delle nuove applicazioni, assicurare la sicurezza delle informazioni e l'affidabilità della reti, offrire accesso all'informazione governativa, tutelare i diritti di proprietà intellettuale. Tutti elementi che hanno contribuito in modo determinante al successo di quella che tutti ormai chiamano economia della conoscenza. Ora, a distanza di tredici anni, i Democratici tornano ad avere un ruolo fondamentale nelle scelte economiche degli Stati Uniti e la mente economica è ancora la stessa, Robert Rubin, colui che allora fu il ministro dell'Economia americano. Il rilancio sembra assicurato.
Il Riformista del 11 dicembre 2006, pag. 3
di Fabrizio Spagna
Gli Stati Uniti rappresentano senza dubbio il motore dell'economica mondiale. In molti casi i modelli di sviluppo nati negli Usa sono stati rapidamente esportati tanto da diventare fenomeni globali. Un esempio su tutti è rappresentato di sicuro dall'economia della conoscenza meglio nota come «new economy». Gli Stati Uniti, proprio grazie all'energia sprigionata da questo modello di sviluppo, hanno potuto godere di un decennio di forte crescita senza mai evidenziare alcun segnale di rallentamento. Un fenomeno senza precedenti che è coinciso con gli anni in cui Bill Clinton era alla Casa Bianca assieme al suo vice Al Gore.
Le domande che legittimamente si pongono sono: qual è il motore che genera queste innovazioni di pensiero, prima ancora che tecnologiche e di processo, e qual è il ruolo della politica in quest'ambito? Queste domande appaiono quanto mai di attualità se si considera che i Democratici hanno appena vinto le elezioni di medio termine negli Stati Uniti e si apprestano, secondo i più autorevoli sondaggi, a riconquistare tra due anni la Casa Bianca.
Va detto che le opinioni su questo argomento sono contrastanti. In Silicon Valley, proprio l'epicentro da cui si è propagato in tutto il pianeta il fenomeno della new economy, si tende in generale a minimizzare. Le scelte di politica economica rappresentano le regole del gioco all'interno delle quali è l'imprenditore che con le sue quattro C (creatività, competenza, caparbietà e coraggio) crea il vero sviluppo economico. Un ragionamento formalmente corretto che però sottovaluta l'importanza delle regole nel definire il quadro delle convenienze per quell'imprenditore che, comunque, deve poter contare su delle qualità superiori alla media per emergere.
Per tentare un ragionamento organico bisogna partire dai dati oggettivi. Per quanto attiene la ricerca e lo sviluppo, si stima che gli Stati Uniti coprano circa il 45 per cento delle spese totali nel mondo. Va considerato che il peso del Pil americano rispetto al Pil mondiale è di circa il 28 percento e, dunque, il primo elemento è che gli Stati Uniti spendono più degli altri Paesi in proporzione al loro peso economico in R&S attribuendo al comparto un valore determinante per lo sviluppo della loro economia. Per completare la statistica, si può notare come le spese Usa in R&S risultino superiori a quelle dei sei Paesi più industrializzati messi insieme: Giappone, Canada, Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna. Queste spese in R&S ammontano a circa il 3 percento del Pil statunitense mentre la media Ue si assesta al circa il 2 per cento. Fin qui sono cose note. Ma c'è di più.
Gli Stati Uniti indirizzano ingenti investimenti pubblici nel campo del R&S per realizzare una vera e propria politica economica a vantaggio delle industrie nazionali. In questi ultimi sei anni gli investimenti pubblici in R&S si sono indirizzati quasi esclusivamente al settore militare. Facendo il confronto con l'Europa, ad esempio, si può notare come i Paesi dell'Ue si muovano quasi sempre autonomamente. I fondi europei in R&S rappresentano il 5 per cento delle spese totali dei Paesi Ue mentre il 95 per cento delle risorse in R&S è erogato dai singoli Stati e allocato in base alle politiche di ciascun Paese dell'Ue.
Un altro fattore competitivo nel campo dell'innovazione, negli Stati Uniti, è rappresentato dal sistema delle università e dalla loro apertura verso quello che viene chiamato il meticciato culturale. Le università rappresentano una parte fondamentale della forza dell'economia Usa. Secondo il rapporto dell'Oecd sull'educazione, gli Stati Uniti spendono il 2,7 per cento del loro Pii per le università, contro l'I per cento di Francia, Germania e Gran Bretagna. Negli Usa, poi, il finanziamento universitario è privato al 50 per cento mentre in Europa i finanziamenti sono quasi esclusivamente pubblici. Grazie a questo sistema di incentivi e di finanziamenti, il 30 percento degli studenti delle università americane è straniero e oltre il 50 per cento dei dottorati di ricerca è dedicato a cittadini di origine non americana. Più della metà degli studenti iscritti alle facoltà scientifiche americane è straniera e come logica conseguenza più della metà delle start-up di Silicon Valley è guidata da neo-imprenditori stranieri, principalmente asiatici.
Sebbene i dati riportati rappresentino soltanto una piccola parte di quanto gli Stati Uniti hanno fatto e stanno facendo per mantenere alto il loro livello di competitività sui settori più strategici ad alta intensità di conoscenza, si può già tentare di tirare alcune conclusioni. Nonostante le regole del mercato, la disponibilità di capitali e un sistema più efficiente rappresentino sicuramente elementi chiave del successo economico Usa, il ruolo della politica, inteso come capacità di prevedere i grandi cambiamenti a livello mondiale e predisporre un sistema Paese in grado di affrontare le sfide della competitività con gli strumenti adeguati, è altrettanto importante per il successo di un grande Paese come gli Stati Uniti.
Nel 1993 quando Bill Clinton arrivò per la prima volta alla Casa Bianca, il presidente iniziò a sostenere un progetto, noto come National information infrastructure (Infrastruttura nazionale informativa), che si collocava all'interno di un più generale piano per la costruzione di una infrastruttura mondiale dell'informazione. I punti cardine di questo piano erano: promuovere gli investimenti nel settore privato, estendere il concetto di servizio universale al fine di assicurare che le risorse informative siano disponibili a tutti a prezzi abbordabili, agire come catalizzatore per la promozione dell'innovazione tecnologica e delle nuove applicazioni, assicurare la sicurezza delle informazioni e l'affidabilità della reti, offrire accesso all'informazione governativa, tutelare i diritti di proprietà intellettuale. Tutti elementi che hanno contribuito in modo determinante al successo di quella che tutti ormai chiamano economia della conoscenza. Ora, a distanza di tredici anni, i Democratici tornano ad avere un ruolo fondamentale nelle scelte economiche degli Stati Uniti e la mente economica è ancora la stessa, Robert Rubin, colui che allora fu il ministro dell'Economia americano. Il rilancio sembra assicurato.
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