Di medicina si guarisce ma anche si perisce o quasi
di Maria R.Calderoni
Liberazione del 05/02/2008
In libreria "Malati di farmaci" di Mario Di Leo, medico internista che mette in guardia dall'uso eccessivo di pasticche o sciroppi. E punta l'indice contro le case farmaceutiche che spesso, per profitto, omettono di segnalare i rischi dei loro prodotti
Lotronex, Apofin, Flexiban, Mylicin, Maalox Plus, Novantrone, Malarone, Zecovir, Zelitrex, Ponderal, Adipex, Periactin, Cardioaspirin.... Non t'aregghe più, canterebbe Rino Gaetano. Perduti nell'oceano delle medicine, qualche volta ci manca il fiato. E ci viene pure alle labbra la fastidiosa domanda: ma tutte 'ste medicine non mi faranno male?
Domanda tutt'altro che mal posta, soprattutto dopo aver letto le istruttive 140 pagine di questo libro di Mario Di Leo appena uscito per gli Editori Riuniti, titolo Malati di farmaci (pp. 141, euro 12,00), sottotitolo "Come difendere la propria salute dalle medicine inutili o pericolose". Proprio così, senza giri di parole, Inutili o pericolose. Tutto discende dal dilemma primario: malati o clienti? La storia infinita dei farmaci che ci sommergono ha inizio da qui. Naturalmente, guai a noi se non ci fossero, le strabenedette, fantastiche. portentose, sospette, mirabolanti e (quasi) miracolose medicine, loro sì in grado, molto più di una telefonata, di allungarti la vita. Sempre però, a quanto pare, che non si perda di vista il messaggio
"maneggiare con cura". Che è da intendersi rivolto ai medici, ma soprattutto alle case farmaceutiche e un po' anche a noi, malati-clienti-cavie. Il libro di Mauro Di Leo è un prontuario-thriller: di medicine si guarisce ma anche si perisce (o quasi). Le medicine sono sempre utili? Si può morire per un farmaco sbagliato? L'industria farmaceutica è sana? L'industria farmaceutica è spinta dal profitto? La responsabilità è anche del medico? E siamo sicuri, ad esempio, che i benefici di quella pasticca antipertensiva che prendiamo tutte le mattine valgano i fastidiosi effetti collaterali? E che la mia leggera patologia necessiti davvero di una terapia farmacologica? Sono queste alcune delle domande cui qui si cerca di rispondere: e il risultato non è dei più rassicuranti.
Una volta ci furono gli angeli del talidomide, il farmaco che prima di essere ritirato, negli anni 60, produsse 10 mila bambini focomelici. Nel 1992 la temafloxacina, un antibiotico, venne ritirato dopo soli sei mesi perché provocava una insufficienza renale così acuta da rendere necessaria la dialisi. «Molti altri farmaci sono stati ritirati dal commercio mondiale dopo essere stati giudicati pericolosi: 583 dal 1972 al 1994», ci informa gentilmente il libro. E ricordate certamente "l'incidente" del Vioxx, anni 2000, il farmaco che provocava morte improvvisa per infarto cardiaco dopo almeno un anno di quotidiana e salubre assunzione: ci sono ancora in corso 4000 cause contro la Merck Sharp&Dohme, la casa produttrice del prodotto, ritenuta responsabile per avere omesso di segnalare i rischi di un uso prolungato. Un caso di leggera dimenticanza... Io speriamo che me la cavo, fortunatamente le cose in generale non sono così catastrofiche. Ma alcuni "problemini" effettivamente esistono. Cominciamo dalla strapotenza delle major farmaceutiche, vere potenze
"imperalistiche", che dettano legge in nome della paura più atavica ed umana, la paura di morire. Più malati, più soldi, la nostra malattia è la loro vita. Già a occhio nudo, la cosa in sê è perversa, sembra il famoso "Comma 22": le medicine guariscono i malati, ma se non ci sono più i malati, le medicine non si vendono e le aziende non guadagnano e anche falliscono. Ci vuole una strategia. Una può essere la moltiplicazione all'ennesima potenza del farmaco di ogni tipo e specialità. «Per ogni sintomo una pillola. Per ogni malattia una cura e tante pastiglie diverse. E più esami fai, meglio credi di curare o di essere curato», elementare, Watson. «La medicina - scrive Paolo Cornaglia Ferraris nella prefazione - assorbe con velocità crescente un'offerta tecnologica e scientifica che non aveva mai raggiunto livelli tali. Chi offre vende ed ha fretta di recuperare l'investimento fatto per arrivare al prodotto finito, sia esso farmaco o strumento. La logica del mercato prevale su tutto». Anche questa è una strategia. Esistono i medici "fiancheggiatori", che prescrivono medicine a gogò, in qualche modo inclini a favorire le ragioni di marketing delle aziende farmaceutiche. In cambio di svariati e ricchi benefits, viaggi, vacanze, regali e cotillon.... Appunto, «malati o clienti»? Al nobile scopo di vendere il piu possibile, «il confine tra salute e malattia viene continuamente ridefinito, con l'obiettivo di convincere i cittadini (e loro medici) della necessità di curarsi anche se si sentono in buona salute». Una
"pillola" insomma non si nega a nessuno (almeno a noi del Primo Mondo); anzi ciò è assolutamente indispensabile «perché il mercato potenziale si trasformi in fatturato reale», ottima operazione.
Medicalizzazione spinta e precoce, allora; e per di più in regime di oramai consolidato e potente trust. In sostanza, se in passato il settore farmaceutico «era costituito da molte piccole società, negli ultimi anni c'è stato un fenomeno di concentrazione oligopolistica, con fusioni e alleanze: il numero delle case farmaceutiche si è ridotto, ma quelle rimaste sono così grandi da garantirsi una guida strategica del mercato». Tanto per chiarirci ancora più le idee, risulta che le case farmaceutiche «investono molto di più per la commercializzazione che per la ricerca e lo sviluppo» (solo negli Stati Uniti, ad esempio, la pubblicità per i farmaci costa 21000 miliardi di dollari l'anno). Insomma, ci tengono in pugno, le magnifiche 20, le grandi industrie farmaceutiche che oggi dominano il mercato mondiale (dalla Pfizer alla Bayer, Roche, Menarini, Glaxo, Squibb, ecc.). La benemerita aspirina ha compiuto 100 anni, molti ringraziamenti. Ma è sempre bene ricordarlo, «nessuna famiglia prende meno farmaci di quella del medico, eccetto quella del farmacista» (ben sapranno loro perché...) Due sole parole sull'autore. Mauro Di Leo è medico internista ed opera al Policlinico Gemelli. Segni particolari: fa parte dell'Associazione medici "No grazie, pago io". L'Associazione dei medici che rifiutano i costosi "regali" delle case farmaceutiche. Appunto quelli elargiti in cambio di ricetta facile.
di Maria R.Calderoni
Liberazione del 05/02/2008
In libreria "Malati di farmaci" di Mario Di Leo, medico internista che mette in guardia dall'uso eccessivo di pasticche o sciroppi. E punta l'indice contro le case farmaceutiche che spesso, per profitto, omettono di segnalare i rischi dei loro prodotti
Lotronex, Apofin, Flexiban, Mylicin, Maalox Plus, Novantrone, Malarone, Zecovir, Zelitrex, Ponderal, Adipex, Periactin, Cardioaspirin.... Non t'aregghe più, canterebbe Rino Gaetano. Perduti nell'oceano delle medicine, qualche volta ci manca il fiato. E ci viene pure alle labbra la fastidiosa domanda: ma tutte 'ste medicine non mi faranno male?
Domanda tutt'altro che mal posta, soprattutto dopo aver letto le istruttive 140 pagine di questo libro di Mario Di Leo appena uscito per gli Editori Riuniti, titolo Malati di farmaci (pp. 141, euro 12,00), sottotitolo "Come difendere la propria salute dalle medicine inutili o pericolose". Proprio così, senza giri di parole, Inutili o pericolose. Tutto discende dal dilemma primario: malati o clienti? La storia infinita dei farmaci che ci sommergono ha inizio da qui. Naturalmente, guai a noi se non ci fossero, le strabenedette, fantastiche. portentose, sospette, mirabolanti e (quasi) miracolose medicine, loro sì in grado, molto più di una telefonata, di allungarti la vita. Sempre però, a quanto pare, che non si perda di vista il messaggio
"maneggiare con cura". Che è da intendersi rivolto ai medici, ma soprattutto alle case farmaceutiche e un po' anche a noi, malati-clienti-cavie. Il libro di Mauro Di Leo è un prontuario-thriller: di medicine si guarisce ma anche si perisce (o quasi). Le medicine sono sempre utili? Si può morire per un farmaco sbagliato? L'industria farmaceutica è sana? L'industria farmaceutica è spinta dal profitto? La responsabilità è anche del medico? E siamo sicuri, ad esempio, che i benefici di quella pasticca antipertensiva che prendiamo tutte le mattine valgano i fastidiosi effetti collaterali? E che la mia leggera patologia necessiti davvero di una terapia farmacologica? Sono queste alcune delle domande cui qui si cerca di rispondere: e il risultato non è dei più rassicuranti.
Una volta ci furono gli angeli del talidomide, il farmaco che prima di essere ritirato, negli anni 60, produsse 10 mila bambini focomelici. Nel 1992 la temafloxacina, un antibiotico, venne ritirato dopo soli sei mesi perché provocava una insufficienza renale così acuta da rendere necessaria la dialisi. «Molti altri farmaci sono stati ritirati dal commercio mondiale dopo essere stati giudicati pericolosi: 583 dal 1972 al 1994», ci informa gentilmente il libro. E ricordate certamente "l'incidente" del Vioxx, anni 2000, il farmaco che provocava morte improvvisa per infarto cardiaco dopo almeno un anno di quotidiana e salubre assunzione: ci sono ancora in corso 4000 cause contro la Merck Sharp&Dohme, la casa produttrice del prodotto, ritenuta responsabile per avere omesso di segnalare i rischi di un uso prolungato. Un caso di leggera dimenticanza... Io speriamo che me la cavo, fortunatamente le cose in generale non sono così catastrofiche. Ma alcuni "problemini" effettivamente esistono. Cominciamo dalla strapotenza delle major farmaceutiche, vere potenze
"imperalistiche", che dettano legge in nome della paura più atavica ed umana, la paura di morire. Più malati, più soldi, la nostra malattia è la loro vita. Già a occhio nudo, la cosa in sê è perversa, sembra il famoso "Comma 22": le medicine guariscono i malati, ma se non ci sono più i malati, le medicine non si vendono e le aziende non guadagnano e anche falliscono. Ci vuole una strategia. Una può essere la moltiplicazione all'ennesima potenza del farmaco di ogni tipo e specialità. «Per ogni sintomo una pillola. Per ogni malattia una cura e tante pastiglie diverse. E più esami fai, meglio credi di curare o di essere curato», elementare, Watson. «La medicina - scrive Paolo Cornaglia Ferraris nella prefazione - assorbe con velocità crescente un'offerta tecnologica e scientifica che non aveva mai raggiunto livelli tali. Chi offre vende ed ha fretta di recuperare l'investimento fatto per arrivare al prodotto finito, sia esso farmaco o strumento. La logica del mercato prevale su tutto». Anche questa è una strategia. Esistono i medici "fiancheggiatori", che prescrivono medicine a gogò, in qualche modo inclini a favorire le ragioni di marketing delle aziende farmaceutiche. In cambio di svariati e ricchi benefits, viaggi, vacanze, regali e cotillon.... Appunto, «malati o clienti»? Al nobile scopo di vendere il piu possibile, «il confine tra salute e malattia viene continuamente ridefinito, con l'obiettivo di convincere i cittadini (e loro medici) della necessità di curarsi anche se si sentono in buona salute». Una
"pillola" insomma non si nega a nessuno (almeno a noi del Primo Mondo); anzi ciò è assolutamente indispensabile «perché il mercato potenziale si trasformi in fatturato reale», ottima operazione.
Medicalizzazione spinta e precoce, allora; e per di più in regime di oramai consolidato e potente trust. In sostanza, se in passato il settore farmaceutico «era costituito da molte piccole società, negli ultimi anni c'è stato un fenomeno di concentrazione oligopolistica, con fusioni e alleanze: il numero delle case farmaceutiche si è ridotto, ma quelle rimaste sono così grandi da garantirsi una guida strategica del mercato». Tanto per chiarirci ancora più le idee, risulta che le case farmaceutiche «investono molto di più per la commercializzazione che per la ricerca e lo sviluppo» (solo negli Stati Uniti, ad esempio, la pubblicità per i farmaci costa 21000 miliardi di dollari l'anno). Insomma, ci tengono in pugno, le magnifiche 20, le grandi industrie farmaceutiche che oggi dominano il mercato mondiale (dalla Pfizer alla Bayer, Roche, Menarini, Glaxo, Squibb, ecc.). La benemerita aspirina ha compiuto 100 anni, molti ringraziamenti. Ma è sempre bene ricordarlo, «nessuna famiglia prende meno farmaci di quella del medico, eccetto quella del farmacista» (ben sapranno loro perché...) Due sole parole sull'autore. Mauro Di Leo è medico internista ed opera al Policlinico Gemelli. Segni particolari: fa parte dell'Associazione medici "No grazie, pago io". L'Associazione dei medici che rifiutano i costosi "regali" delle case farmaceutiche. Appunto quelli elargiti in cambio di ricetta facile.
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