4000 morti inutili, tranne che per Bush
di Matteo Bosco Bortolaso
Il Manifesto del 25/03/2008
Secondo il presidente, i soldati Usa caduti dall'inizio della guerra in Iraq, non sono morti per niente. E le vittime irachene, fra 100 mila e 1 milione?
Quei 4.000 soldati non sono morti per niente. Anzi, «hanno gettato le fondamenta per il futuro delle generazioni a venire». Parola del presidente George W. Bush, che ieri ha espresso «tristezza» per la cifra raggiunta dalle cosiddette casualties, che la domenica di Pasqua hanno superato le quattro migliaia.
Il giro di boa è servito ai candidati democratici alla Casa Bianca per chiedere, ancora una volta, di ritirare le truppe. Hillary Clinton ha ricordato non solo i morti, ma anche le «decine di migliaia di nostri uomini e donne coraggiose che portano ferite visibili e invisibili». «Come presidente - ha detto l'ex first lady - ho intenzione di onorarli, riportando le nostre truppe a casa».
Anche Obama ha reso omaggio alle vittime, sottolineando però che la guerra non sarebbe mai dovuta cominciare e che le truppe devono tornare presto negli Usa.
Da Israele, il vice presidente Dick Cheney ha detto che Bush «porta il peso maggiore» dei 4.000 morti, perché «è lui a decidere di impegnare giovani americani, anche se siamo fortunati ad avere un gruppo di uomini e donne, una forza interamente composta di volontari, che indossano volontariamente l'uniforme». Queste parole di Cheney, pronunciate ai microfoni della Abc, hanno fatto arrabbiare diversi commentatori di sinistra.
La portavoce della Casa Bianca ha detto che il presidente «prova tristezza per questo momento, ma piange ciascina delle vittime». Bush «ha la responsabilità per le decisioni prese - continua la portavoce - così come la reponsabilità per il successo».
Ieri il presidente ha avuto un colloquio in videoconferenza col comandante delle forze Usa in Iraq, il generale David Petraeus, e il suo omologo civile, l'ambasciatore David Crocker, che saranno a Washington l'8 e il 9 aprile per parlare al Congresso. Sarà un momento importante per capire la piega che prenderà la guerra da qui all'ingresso del prossimo presidente alla Casa Bianca, a gennaio 2009.
La quota 4.000 è arrivata pochi giorni dopo il quinto anniversario dell'inizio della guerra. La gran parte delle vittime - 3.863 - è morta dopo il famoso annuncio del presidente del maggio 2003: «Le operazioni di combattimento primarie sono terminate».
Secondo le ultime cifre pubblicate, i militari Usa morti quest'anno in Iraq sono circa un centinaio, meno rispetto agli anni precedenti, visto che su base annua - se la progressione rimane quella attuale - si sarà al di sotto delle 400 vittime.
L'anno più letale è stato il 2007, con 901 morti tra i militari americani. Non era andata molto meglio nel 2004, nel 2005 e nel 2006. Le vittime Usa erano state rispettivamente 849, 846 e 822. È molto elevato il numero dei feriti: ufficialmente appena meno di 30 mila, ma secondo alcune stime circa 100 mila. Molti di loro sarebbero morti nei conflitti precedenti, e devono la vita ai progressi compiuti dalla medicina.
Nelle precedenti guerre combattute dagli Stati Uniti, il numero delle vittime era stato decisamente superiore, come anche il coinvolgimento della popolazione, visto che attraverso la leva obbligatoria tutti o quasi avevano un familiare, un conoscente o un vicino di casa a combattere in Vietnam, a cavallo tra gli anni '60 e '70.
Nella guerra di Corea, tra il 1950 e il 1953, le vittime Usa sono state 12.300 l'anno in media, in quella del Vietnam (1963-75), una media di 4.850 l'anno. In base ai calcoli di Usa Today, tre quarti dei morti sono bianchi non ispanici. In Vietnam la percentuale era del 86%. A frugare tra i dati del Pentagono, si scopre anche che i cosiddetti improvised explosive device - le bombe artigianali - uccidono sempre di più: fino al 2007 avevano ammazzato il 44% dei caduti, ma ora la percentuale è salita al 55%. L'età media dei caduti è 27 anni: quasi la metà dei morti aveva tra i 22 e i 29. Una generazione di giovani mutiliata anche dalle ferite invisibili di cui parla Clinton.
Se i dati sui caduti Usa sono seguiti con attenzione dalla stampa, le cifre sui morti civili iracheni sono incertissime. Sicuramente sono almeno 100 mila, più di venti volte quelle dei soldati a stelle e strisce Ma c'è anche chi parla di un milione.
di Matteo Bosco Bortolaso
Il Manifesto del 25/03/2008
Secondo il presidente, i soldati Usa caduti dall'inizio della guerra in Iraq, non sono morti per niente. E le vittime irachene, fra 100 mila e 1 milione?
Quei 4.000 soldati non sono morti per niente. Anzi, «hanno gettato le fondamenta per il futuro delle generazioni a venire». Parola del presidente George W. Bush, che ieri ha espresso «tristezza» per la cifra raggiunta dalle cosiddette casualties, che la domenica di Pasqua hanno superato le quattro migliaia.
Il giro di boa è servito ai candidati democratici alla Casa Bianca per chiedere, ancora una volta, di ritirare le truppe. Hillary Clinton ha ricordato non solo i morti, ma anche le «decine di migliaia di nostri uomini e donne coraggiose che portano ferite visibili e invisibili». «Come presidente - ha detto l'ex first lady - ho intenzione di onorarli, riportando le nostre truppe a casa».
Anche Obama ha reso omaggio alle vittime, sottolineando però che la guerra non sarebbe mai dovuta cominciare e che le truppe devono tornare presto negli Usa.
Da Israele, il vice presidente Dick Cheney ha detto che Bush «porta il peso maggiore» dei 4.000 morti, perché «è lui a decidere di impegnare giovani americani, anche se siamo fortunati ad avere un gruppo di uomini e donne, una forza interamente composta di volontari, che indossano volontariamente l'uniforme». Queste parole di Cheney, pronunciate ai microfoni della Abc, hanno fatto arrabbiare diversi commentatori di sinistra.
La portavoce della Casa Bianca ha detto che il presidente «prova tristezza per questo momento, ma piange ciascina delle vittime». Bush «ha la responsabilità per le decisioni prese - continua la portavoce - così come la reponsabilità per il successo».
Ieri il presidente ha avuto un colloquio in videoconferenza col comandante delle forze Usa in Iraq, il generale David Petraeus, e il suo omologo civile, l'ambasciatore David Crocker, che saranno a Washington l'8 e il 9 aprile per parlare al Congresso. Sarà un momento importante per capire la piega che prenderà la guerra da qui all'ingresso del prossimo presidente alla Casa Bianca, a gennaio 2009.
La quota 4.000 è arrivata pochi giorni dopo il quinto anniversario dell'inizio della guerra. La gran parte delle vittime - 3.863 - è morta dopo il famoso annuncio del presidente del maggio 2003: «Le operazioni di combattimento primarie sono terminate».
Secondo le ultime cifre pubblicate, i militari Usa morti quest'anno in Iraq sono circa un centinaio, meno rispetto agli anni precedenti, visto che su base annua - se la progressione rimane quella attuale - si sarà al di sotto delle 400 vittime.
L'anno più letale è stato il 2007, con 901 morti tra i militari americani. Non era andata molto meglio nel 2004, nel 2005 e nel 2006. Le vittime Usa erano state rispettivamente 849, 846 e 822. È molto elevato il numero dei feriti: ufficialmente appena meno di 30 mila, ma secondo alcune stime circa 100 mila. Molti di loro sarebbero morti nei conflitti precedenti, e devono la vita ai progressi compiuti dalla medicina.
Nelle precedenti guerre combattute dagli Stati Uniti, il numero delle vittime era stato decisamente superiore, come anche il coinvolgimento della popolazione, visto che attraverso la leva obbligatoria tutti o quasi avevano un familiare, un conoscente o un vicino di casa a combattere in Vietnam, a cavallo tra gli anni '60 e '70.
Nella guerra di Corea, tra il 1950 e il 1953, le vittime Usa sono state 12.300 l'anno in media, in quella del Vietnam (1963-75), una media di 4.850 l'anno. In base ai calcoli di Usa Today, tre quarti dei morti sono bianchi non ispanici. In Vietnam la percentuale era del 86%. A frugare tra i dati del Pentagono, si scopre anche che i cosiddetti improvised explosive device - le bombe artigianali - uccidono sempre di più: fino al 2007 avevano ammazzato il 44% dei caduti, ma ora la percentuale è salita al 55%. L'età media dei caduti è 27 anni: quasi la metà dei morti aveva tra i 22 e i 29. Una generazione di giovani mutiliata anche dalle ferite invisibili di cui parla Clinton.
Se i dati sui caduti Usa sono seguiti con attenzione dalla stampa, le cifre sui morti civili iracheni sono incertissime. Sicuramente sono almeno 100 mila, più di venti volte quelle dei soldati a stelle e strisce Ma c'è anche chi parla di un milione.
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