mercoledì 26 marzo 2008

"Non avevamo le maschere ci hanno nascosto la verità"

31/12/2000 LA REPUBBLICA
"Non avevamo le maschere ci hanno nascosto la verità"

Un carabiniere amico di Rinaldo: "I proiettili all'uranio fondevano i carri armati"

dal nostro inviato ANNALISA CAMORANI

SAMARATE (Varese) - "Rinaldo in divisa, perfetto nel suo metro e novanta e Valentina in abito bianco davanti all'altare. Neanche due anni dopo, la bara portata a spalla dai militari. Nella stessa chiesa a San Macario di Samarate". Due immagini troppo vicine nel tempo che Valentino non riesce a togliersi dalla testa. L'uomo, suocero di Rinaldo Colombo, ripete come un automa: "L'8 novembre mi è morto un figlio". Ma quell'accostamento di immagini non se lo scorda neanche don Giancarlo, il parroco di Sant'Anna a Busto Arsizio (Varese) che per quindici anni è stato amico del militare. "Il 12 dicembre 1998 ho celebrato il matrimonio di Rinaldo. L'11 novembre 2000 il suo funerale". Il parroco, ricordando la malattia del giovane, non pronuncia mai la parola "uranio impoverito", ma alle missioni ci pensa: "Qualche dubbio l'ha avuto. Da malato se l'è chiesto se c'era un nesso tra il melanoma che lo divorava e la Bosnia".
Forse anche Rinaldo ha fatto le stesse considerazioni che oggi fa un altro carabiniere reduce delle missioni di pace e che preferisce l'anonimato: "Non avevamo maschere né guanti. Le uniche tute le ho viste addosso ai genieri dell'esercito perché c'erano le televisioni a filmare. C'erano i ponti bombardati con munizioni radioattive e noi lì davanti a fare la guardia. Ho visto gli effetti dei proiettili all'uranio impoverito sui carri armati colpiti: le carni fuse col metallo delle corazze. E noi lì davanti. Nessuno ci ha messo in guardia sui rischi di una contaminazione. Ci hanno presi in giro tutti, dai generali ai carabinieri semplici".
Il militare era stato in missione due volte, in Bosnia-Erzegovina dal dicembre '96 a marzo '97 e in Albania da aprile ad agosto '97. Quasi un anno dopo si era scoperto un'escrescenza sottocutanea al cuoio capelluto. Poi la biopsia e la scoperta della natura maligna. "La seconda operazione alla gola è stata quella che lo ha buttato veramente giù", ricorda il suocero. "Era un ragazzone alto un metro e novanta, lo abbiamo visto precipitare, un po' alla volta. Sono stati due anni di calvario". Rinaldo e Valentina vivevano a San Macario, frazione di Samarate nella stessa casa dei genitori di lei. Al dolore per la perdita, il padre della vedova somma la preoccupazione per la figlia. "Ha 27 anni - si sfoga l'uomo, gli occhi rossi - e ha bisogno di reagire, di trovare una forza che io, anziano come sono, non riesco a trasmetterle. Per Capodanno voleva stare in casa, da sola. Sono stato io a insistere perché partisse per un po' , ha bisogno di stare con gente giovane". E così Valentina si è rifugiata per qualche giorno da alcuni amici conosciuti nei ritrovi di Cl. Ma don Giancarlo è fiducioso: "Valentina è dolce, sembrerebbe fragile. Invece è una donna consistente, forte".
Anche il padre e la madre di Rinaldo non hanno parole: "E' morto l'8 novembre e per noi è ancora come se fosse qui. La ferita della sua scomparsa è ancora troppo recente. Più avanti forse parleremo, ma in questo momento siamo ancora sotto choc".

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