l'Unità 5.3.08
Gaza, radiografia di una strage
di Umberto De Giovannangeli
Iyad e Jacqueline Muhammad Abu-Shbak. Erano sorella e fratello. Avevano 14 e 12 anni. Sono morti il primo di marzo a Jabaliya «mentre assistevano dietro i vetri della finestra di casa ai combattimenti». Muhammad al Buri. Aveva appena sei mesi. È morto nel bombardamento della sua abitazione «colpita nonostante non fosse un obiettivo militare».
Salwa e Samah Zedan. Erano sorelle. Aveavano rispettivamente 13 e 17 anni. Il 2 marzo sono state uccise nella loro casa alla periferia di Jabaliya. La famiglia Attalla è stata colpita da un missile di 1 tonnellata sparato da un F-16 israeliano.
IYAD, Jacqueline, Muhammad, Salwa, Samah. Sono alcuni dei bambini uccisi nell’offensiva militare israeliana a Jabaliya, nord di Gaza. Non sono solo numeri, sono volti, storie, giovani vite spezzate. Ricordarli è un modo per onorarne la memoria e perché un silenzio assordante non cali sulla tragedia di Gaza
Il missile ha distrutto la loro casa di due piani, alla periferia di Jabaliya, causando la morte di quattro membri della famiglia, tra i quali il piccolo Thabet, 11 anni. Zahira, 23 anni, è stata colpita al cuore da un proiettile mentre stava preparando la colazione ai suoi bambini. Un carro armato ha colpito la casa della famiglia Okel, uccidendo un bambino di 3 anni e la sua sorellina di 9. Quattro bambini colpiti da un razzo israeliano il 28 febbraio mentre giocavano a pallone alla periferia di Jabaliya. Radiografia di un massacro: quello che ha segnato il campo profughi di Jabaliya, nord di Gaza, investito per sei giorni dall’offensiva militare israeliana, nome in codice «Inverno caldo». In passato, l’Unità ha dato conto dell’angoscia, della paura, del trauma che scadenzano la quotidianità dei bambini israeliani di Sderot, la città frontaliera investita ogni giorno, da sette anni, da un martellante lancio di razzi Qassam. Oggi vogliamo raccontare la sofferenza di altri bambini e di una popolazione civile di 1milione e 400mila persone, quella della Striscia di Gaza, sottoposte ad una sofferenza senza fine. Radiografia di una tragedia, raccontata attraverso i rapporti, le testimonianze, i dati di associazioni umanitarie che non hanno mai taciuto di fronte agli attacchi contro civili israeliani, negli anni dell’«Intifada dei kamikaze», e non hanno mai lesinato parole di condanna per gli attacchi missilistici contro Sderot, Asqhelon, il sud d’Israele.
Organizzazioni come «Btselem», l’associazione israeliana per la difesa dei diritti umani nei Territitori. «Secondo i dati in nostro possesso - afferma Sarit Michaeli, direttore della comunicazione di Btselem - i morti palestinesi sono stati in sei giorni di scontro 111: fra questi 56 erano civili non coinvolti in azioni di combattimento, e 25 di questi erano minorenni». «Btselem» accusa le forze armate dello Stato ebraico di aver violato le norme di guerra che proibiscono di colpire obiettivi militari quando questi attacchi, per la vicinanza ai centri abitati, rischiano di provocare un numero sproporzionato di vittime anche fra i civili.
I dati di «Btselem», per ciò che concerne i minorenni uccisi nei sei giorni di combattimenti, trovano conferma nel rapporto dell’Unicef, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia. L’Unicef evidenzia che «la Convenzione sui diritti dell’infanzia sottolinea la necessità di prendere tutte le misure possibili per garantire la protezione e assistenza ai bambini colpiti da un conflitto armato. Oltre a quelli che ne sono vittime dirette, tutti i bambini sono colpiti dall’impatto terrificante di questo conflitto. I bambini costituiscono oltre la metà della popolazione di Gaza e subiscono l’urto della crisi». Bambini che «soffrono già a causa di una serie di restrizioni, fra cui il blocco della maggior parte delle derrate imposto sin dal giugno 2007». L’ultimo ciclo di uccisioni e distruzione, rimarca a sua volta Amnesty International, «giunge mentre il milione e mezzo di abitanti di Gaza sta soffrendo una crisi umanitaria a seguito dei sempre più rigidi blocchi imposti da Israele». Gli ospedali e le strutture sanitarie, già alle prese con la mancanza di elettricità, carburante, attrezzature e parti di ricambio stanno lottando per fare fronte alla nuova ondata di feriti causata dall’offensiva israeliana. «Coi confini di Gaza sigillati - rileva il direttore del Programma Medio Oriente e Africa di Amnesty, Malcom Smart - molti pazienti che hanno bisogno disperato di cure mediche non disponibili in loco, non possono essere trasferiti in ospedali all’estero e rischiano di perdere la vita» Tra questi, c’è Ahlam Abu Auda, 13 anni. Intisar Abu Auda, 48 anni, mamma di Ahlam racconta: «Cinque dei miei figli sono morti perché malati, non hanno potuto ricevere cure adeguate. Ora, il mio timore più grande e che, a causa dell’assedio, possa perdere anche la sesta». «L’assedio di Gaza - dice la piccola Ahlam - ha peggiorato molto le mie condizioni, e forse ha accelerato i tempi in cui troverò la morte. Basta un black-out elettriche, le macchine per la dialisi si fermano...». Solo negli ultimi due mesi - ricorda ancora Amnesty - le forze israeliane hanno ucciso quasi 200 palestinesi a Gaza, un terzo dei quali erano civili disarmati ed estranei agli scontri. Altre centinaia di persone sono rimaste ferite, molte delle quali in modo permanente. Nello stesso periodo, un civile israeliano è rimasto ucciso e diversi altri sono stati feriti dai razzi lanciati dai gruppi armati palestinesi di Gaza, che hanno colpito Sderot e altre zone del sud di Israele. La tragedia di Gaza è in una quotidianità che impone solo un obiettivo: la sopravvivenza. Sempre più difficile. Sempre più dipendente dagli aiuti umanitari. Oggi, rileva un recente rapporto del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam), il 70% della popolazione di Gaza è priva di sicurezza alimentare e la grande maggioranza dipende dall’assistenza dell’Onu per i bisogni basilari.
Gaza, radiografia di una strage
di Umberto De Giovannangeli
Iyad e Jacqueline Muhammad Abu-Shbak. Erano sorella e fratello. Avevano 14 e 12 anni. Sono morti il primo di marzo a Jabaliya «mentre assistevano dietro i vetri della finestra di casa ai combattimenti». Muhammad al Buri. Aveva appena sei mesi. È morto nel bombardamento della sua abitazione «colpita nonostante non fosse un obiettivo militare».
Salwa e Samah Zedan. Erano sorelle. Aveavano rispettivamente 13 e 17 anni. Il 2 marzo sono state uccise nella loro casa alla periferia di Jabaliya. La famiglia Attalla è stata colpita da un missile di 1 tonnellata sparato da un F-16 israeliano.
IYAD, Jacqueline, Muhammad, Salwa, Samah. Sono alcuni dei bambini uccisi nell’offensiva militare israeliana a Jabaliya, nord di Gaza. Non sono solo numeri, sono volti, storie, giovani vite spezzate. Ricordarli è un modo per onorarne la memoria e perché un silenzio assordante non cali sulla tragedia di Gaza
Il missile ha distrutto la loro casa di due piani, alla periferia di Jabaliya, causando la morte di quattro membri della famiglia, tra i quali il piccolo Thabet, 11 anni. Zahira, 23 anni, è stata colpita al cuore da un proiettile mentre stava preparando la colazione ai suoi bambini. Un carro armato ha colpito la casa della famiglia Okel, uccidendo un bambino di 3 anni e la sua sorellina di 9. Quattro bambini colpiti da un razzo israeliano il 28 febbraio mentre giocavano a pallone alla periferia di Jabaliya. Radiografia di un massacro: quello che ha segnato il campo profughi di Jabaliya, nord di Gaza, investito per sei giorni dall’offensiva militare israeliana, nome in codice «Inverno caldo». In passato, l’Unità ha dato conto dell’angoscia, della paura, del trauma che scadenzano la quotidianità dei bambini israeliani di Sderot, la città frontaliera investita ogni giorno, da sette anni, da un martellante lancio di razzi Qassam. Oggi vogliamo raccontare la sofferenza di altri bambini e di una popolazione civile di 1milione e 400mila persone, quella della Striscia di Gaza, sottoposte ad una sofferenza senza fine. Radiografia di una tragedia, raccontata attraverso i rapporti, le testimonianze, i dati di associazioni umanitarie che non hanno mai taciuto di fronte agli attacchi contro civili israeliani, negli anni dell’«Intifada dei kamikaze», e non hanno mai lesinato parole di condanna per gli attacchi missilistici contro Sderot, Asqhelon, il sud d’Israele.
Organizzazioni come «Btselem», l’associazione israeliana per la difesa dei diritti umani nei Territitori. «Secondo i dati in nostro possesso - afferma Sarit Michaeli, direttore della comunicazione di Btselem - i morti palestinesi sono stati in sei giorni di scontro 111: fra questi 56 erano civili non coinvolti in azioni di combattimento, e 25 di questi erano minorenni». «Btselem» accusa le forze armate dello Stato ebraico di aver violato le norme di guerra che proibiscono di colpire obiettivi militari quando questi attacchi, per la vicinanza ai centri abitati, rischiano di provocare un numero sproporzionato di vittime anche fra i civili.
I dati di «Btselem», per ciò che concerne i minorenni uccisi nei sei giorni di combattimenti, trovano conferma nel rapporto dell’Unicef, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia. L’Unicef evidenzia che «la Convenzione sui diritti dell’infanzia sottolinea la necessità di prendere tutte le misure possibili per garantire la protezione e assistenza ai bambini colpiti da un conflitto armato. Oltre a quelli che ne sono vittime dirette, tutti i bambini sono colpiti dall’impatto terrificante di questo conflitto. I bambini costituiscono oltre la metà della popolazione di Gaza e subiscono l’urto della crisi». Bambini che «soffrono già a causa di una serie di restrizioni, fra cui il blocco della maggior parte delle derrate imposto sin dal giugno 2007». L’ultimo ciclo di uccisioni e distruzione, rimarca a sua volta Amnesty International, «giunge mentre il milione e mezzo di abitanti di Gaza sta soffrendo una crisi umanitaria a seguito dei sempre più rigidi blocchi imposti da Israele». Gli ospedali e le strutture sanitarie, già alle prese con la mancanza di elettricità, carburante, attrezzature e parti di ricambio stanno lottando per fare fronte alla nuova ondata di feriti causata dall’offensiva israeliana. «Coi confini di Gaza sigillati - rileva il direttore del Programma Medio Oriente e Africa di Amnesty, Malcom Smart - molti pazienti che hanno bisogno disperato di cure mediche non disponibili in loco, non possono essere trasferiti in ospedali all’estero e rischiano di perdere la vita» Tra questi, c’è Ahlam Abu Auda, 13 anni. Intisar Abu Auda, 48 anni, mamma di Ahlam racconta: «Cinque dei miei figli sono morti perché malati, non hanno potuto ricevere cure adeguate. Ora, il mio timore più grande e che, a causa dell’assedio, possa perdere anche la sesta». «L’assedio di Gaza - dice la piccola Ahlam - ha peggiorato molto le mie condizioni, e forse ha accelerato i tempi in cui troverò la morte. Basta un black-out elettriche, le macchine per la dialisi si fermano...». Solo negli ultimi due mesi - ricorda ancora Amnesty - le forze israeliane hanno ucciso quasi 200 palestinesi a Gaza, un terzo dei quali erano civili disarmati ed estranei agli scontri. Altre centinaia di persone sono rimaste ferite, molte delle quali in modo permanente. Nello stesso periodo, un civile israeliano è rimasto ucciso e diversi altri sono stati feriti dai razzi lanciati dai gruppi armati palestinesi di Gaza, che hanno colpito Sderot e altre zone del sud di Israele. La tragedia di Gaza è in una quotidianità che impone solo un obiettivo: la sopravvivenza. Sempre più difficile. Sempre più dipendente dagli aiuti umanitari. Oggi, rileva un recente rapporto del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam), il 70% della popolazione di Gaza è priva di sicurezza alimentare e la grande maggioranza dipende dall’assistenza dell’Onu per i bisogni basilari.
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