«Per il consumatore Usa il peggio deve ancora venire»
di Andrea Rocco
Il Manifesto del 14/03/2008
Intervista a Robert Manning, docente e ospite fisso di molte trasmissioni tv che analizzano la crisi immobiliare e creditizia negli Stati uniti
Robert Manning è forse il massimo esperto di debito dei consumatori e di carte di credito negli Stati Uniti. Professore e direttore del Center for Consumer Financial al Rochester Institute of Technology (nello Stato di New York), ha scritto, ormai 8 anni fa, un libro di grande successo, Credit Card Nation, e più recentemente Living with Debt (2005, disponibile dal sito www.LendingTree.com/livingwithdebt/). Sui suoi lavori è basato un ottimo documentario uscito nella scorsa primavera, In Debt We Trust, sottotitolo, «l'America prima dello scoppio della bolla». Ospite frequente dei maggiori talk-show nazionali e testimone in numerose audizioni del Congresso sullo stato del settore del credito statunitense, Bob Manning già nell'ottobre del 2005 aveva previsto il momento del collasso della bolla immobiliare e di una susseguente recessione che collocava nell'estate del 2008. Abbiamo inseguito il prof. Manning tra varie camere di albergo della East Coast per intervistarlo telefonicamente la settimana scorsa.
Come può descrivere in termini generali la situazione del debito dei consumatori americani, alla luce della crisi dei mutui immobiliari e delle restrizioni creditizie?
La cosa più interessante di quest'ultimo decennio è che nel passaggio pieno ad una economia post-industriale globalizzata e ad egemonia americana si è creata una forte pressione sul consumatore americano e sulla sua capacità di assorbire quote del commercio internazionale. Nel corso dell'ultima recessione, nel 2001, il consumo privato statunitense rappresentava un quinto del consumo mondiale. Il consumatore Usa era di fatto il principale motore dell'economia mondiale. Ma allo stesso tempo il modello dominante adottato negli Usa prevedeva una spinta crescente allo smantellamento del welfare per compensare i minori introiti dovuti all'alleggerimento della pressione fiscale sulle corporations. Ciò riduceva le risorse del consumatore e lo spingeva ad indebitarsi. Questo doveva servire da modello per gli altri paesi, ed è successo anche in Italia e in altri Paesi riluttanti ad adottare il sistema basato sulla diffusione delle carte di credito. Il problema-chiave sembra quindi essere la ridefinizione di che cosa è il debito «buono» e quello «cattivo» in un quadro dove la globalizzazione, sia direttamente, attraverso la riduzione dei redditi reali, sia indirettamente, attraverso la demolizione dello stato sociale, ha aumentato a dismisura la tendenza all'indebitamento degli americani.
Come si arriva alla situazione attuale?
Si è verificata quella che definisco «una sospensione della legge di gravità economica». Verso la fine degli anni '90 i salari reali in America erano in crescita, ma l'aumento dei valori immobiliari non si discostava dalla media storica, intorno al 2-3 % annuo. Con la recessione del 2001 redditi e salari declinano, ma nel quinquennio 2001-2005 il valore medio degli immobili nelle aree metropolitane raddoppia. C'è stata un'enorme rottura del ruolo del reddito come motore della crescita economica, le cui conseguenze sono gravi e per ora ancora incalcolabili, così come non è prevedibile il modo di riparare tutto questo. In sostanza abbiamo visto una massiccia redistribuzione della ricchezza dalla classe media ai molto ricchi.
Veniamo alla crisi dei mutui subprime e alla fine della bolla immobiliare...
E' interessante guardare alla fine della bolla dell'hi-tech degli anni '90 e a quella immobiliare che la sostituiva negli anni Duemila. Ci si domanda sempre se gli americani diventano comunque più ricchi o se hanno livelli più elevati di indebitamento. Il debito, soprattutto l'indebitamento immobiliare attraverso i mutui, negli ultimi dieci anni è in praticamente triplicato, e oggi arriva all'incredibile valore di 12 mila miliardi di dollari. Il motivo di questa enorme crescita è che nel mercato immobiliare è stata attirata gente che non aveva le risorse per starci. E poi c'è stata questa operazione concertata per spingere il consumatore indebitato a rifinanziare il debito al consumo accumulato sulle carte attraverso prestiti sul valore della casa che stava crescendo rapidamente. Tutto questo è durato fino alla fine del 2005. Il 2006 ha visto l'inizio del collasso del mercato immobiliare.
E di questo collasso abbiamo già visto il fondo o il peggio deve ancora venire?
Oh no, non abbiamo ancora visto nulla. Ma facciamo un passo indietro. Le carte di credito sono i prodotti più profittevoli dell' «industria del debito». Tenete presente che solo il 40% circa dei possessori di carte di credito pagano il saldo completo alla fine di ogni mese. Il restante 60%, che paga rate e interessi, è comunque un dato tenuto artificialmente basso grazie ai prestiti ottenuti sul valore della casa. Ma anche così il debito al consumo è ormai a livelli di saturazione ed assistiamo ad un'esplosione dei fallimenti personali. Non era mai successo nella storia: prima la gente andava in bancarotta a causa della perdita del lavoro, non quando ce l'aveva. Ma alla fine degli anni '90 i fallimenti personali sono arrivati a quota un milione, in una fase di quasi pieno impiego. Quando è arrivata la crisi del 2001, per non esacerbare la situazione, sono stati eliminati tutti i paletti che limitavano le concessioni di prestiti e mutui, portando nel mercato minoranze urbane, persone sotto-occupate, gente che non aveva davvero mezzi finanziari. Questa era la prima fase della crisi dei mutui subprime e l'ultima coda della bolla immobiliare; mutui concessi nel 2004, 2005 e inizio 2006. Si trattava di prestiti che venivano «impacchettati» da operatori di Wall Street e rivenduti ad investitori istituzionali. I mutui sottostanti erano chiamati mutui 2-28 o 3-27, che vuol dire che prevedevano interessi bassi, al 3-4%, per i primi 2 o 3 anni. Poi gli interessi sono scattati in alto e i titolari dei mutui, di solito senza altre risorse finanziarie da cui attingere, hanno immediatamente perso le loro case. Il fatto poi che queste case avessero un valore molto basso e che quindi le banche si siano trovate con proprietà non rivendibili, ha creato la crisi di liquidità dello scorso autunno, con una destabilizzazione profonda del sistema. Questa, ripeto, è la prima fase, che sta attraversando oggi gli Stati Uniti. La gente pensa, a torto, che siamo vicini al fondo e che una ripresa non è lontana. In realtà è come un uragano, e noi siamo nell'occhio. Arriverà una seconda tempesta che coinvolgerà non più poveracci e minoranze ma un gran numero di persone a reddito medio che vivono in belle casette suburbane, gente che avrebbe dovuto ottenere mutui da 250-300 mila dollari, ma che ne ha avuti da 600 o 800 mila. Questa è gente con un po' di risorse, ma si trovano ad avere mutui da 600 mila dollari su case che ora ne valgono 500 mila. Cercheranno di pagare il mutuo indebitandosi sulle carte di credito, finchè possono, sperando in una ripresa del mercato, che però non arriverà prima di due anni. Questa seconda fase si manifesterà in pieno tra un anno e mezzo. Poi ci sono le illegalità commesse dalle istituzioni finanziarie per vendere questi mutui. Molte cause presto arriveranno in tribunale. Le banche saranno costrette a ricomprare quei mutui, ma non potranno farlo. Citibank tecnicamente è già insolvente e potrebbe non sopravvivere.
Che conseguenze avrà tutto questo sul piano politico ed elettorale?
Prima di tutto c'è la incapacità dell'attuale amministrazione di affrontare la questione per un problema di deficit totale di credibilità. Ho previsto che il peggio della crisi dovrebbe arrivare tra settembre e ottobre, in pien campagna elettorale, alimentata anche dalle prime serie perdite di impiego, che si stanno manifestando a macchie in Michigan, Ohio, Indiana, Florida, parte della California. Nei prossimi mesi la crisi economica si manifesterà in modo molto tangibile. Già ora si vede come i tagli drastici dei tassi di interesse non hanno quasi effetto. Le banche li usano per limitare le perdite delle loro divisioni mutui, ma per i consumatori in debito non ci sarà molta differenza. E infatti tra l'autunno e gennaio si è verificata una progressiva contrazione dei consumi, che colpirà in modo sensibile le compagnie automobilistiche e molte strutture distributive. Ma il peggio, ripeto, deve ancora venire. Non serviranno a molto i programmi di rimborso fiscale passati da Casa Bianca e Congresso. Quando arriveranno gli assegni ci sarà una breve e modesta ripresa, poi si tornerà in recessione.
di Andrea Rocco
Il Manifesto del 14/03/2008
Intervista a Robert Manning, docente e ospite fisso di molte trasmissioni tv che analizzano la crisi immobiliare e creditizia negli Stati uniti
Robert Manning è forse il massimo esperto di debito dei consumatori e di carte di credito negli Stati Uniti. Professore e direttore del Center for Consumer Financial al Rochester Institute of Technology (nello Stato di New York), ha scritto, ormai 8 anni fa, un libro di grande successo, Credit Card Nation, e più recentemente Living with Debt (2005, disponibile dal sito www.LendingTree.com/livingwithdebt/). Sui suoi lavori è basato un ottimo documentario uscito nella scorsa primavera, In Debt We Trust, sottotitolo, «l'America prima dello scoppio della bolla». Ospite frequente dei maggiori talk-show nazionali e testimone in numerose audizioni del Congresso sullo stato del settore del credito statunitense, Bob Manning già nell'ottobre del 2005 aveva previsto il momento del collasso della bolla immobiliare e di una susseguente recessione che collocava nell'estate del 2008. Abbiamo inseguito il prof. Manning tra varie camere di albergo della East Coast per intervistarlo telefonicamente la settimana scorsa.
Come può descrivere in termini generali la situazione del debito dei consumatori americani, alla luce della crisi dei mutui immobiliari e delle restrizioni creditizie?
La cosa più interessante di quest'ultimo decennio è che nel passaggio pieno ad una economia post-industriale globalizzata e ad egemonia americana si è creata una forte pressione sul consumatore americano e sulla sua capacità di assorbire quote del commercio internazionale. Nel corso dell'ultima recessione, nel 2001, il consumo privato statunitense rappresentava un quinto del consumo mondiale. Il consumatore Usa era di fatto il principale motore dell'economia mondiale. Ma allo stesso tempo il modello dominante adottato negli Usa prevedeva una spinta crescente allo smantellamento del welfare per compensare i minori introiti dovuti all'alleggerimento della pressione fiscale sulle corporations. Ciò riduceva le risorse del consumatore e lo spingeva ad indebitarsi. Questo doveva servire da modello per gli altri paesi, ed è successo anche in Italia e in altri Paesi riluttanti ad adottare il sistema basato sulla diffusione delle carte di credito. Il problema-chiave sembra quindi essere la ridefinizione di che cosa è il debito «buono» e quello «cattivo» in un quadro dove la globalizzazione, sia direttamente, attraverso la riduzione dei redditi reali, sia indirettamente, attraverso la demolizione dello stato sociale, ha aumentato a dismisura la tendenza all'indebitamento degli americani.
Come si arriva alla situazione attuale?
Si è verificata quella che definisco «una sospensione della legge di gravità economica». Verso la fine degli anni '90 i salari reali in America erano in crescita, ma l'aumento dei valori immobiliari non si discostava dalla media storica, intorno al 2-3 % annuo. Con la recessione del 2001 redditi e salari declinano, ma nel quinquennio 2001-2005 il valore medio degli immobili nelle aree metropolitane raddoppia. C'è stata un'enorme rottura del ruolo del reddito come motore della crescita economica, le cui conseguenze sono gravi e per ora ancora incalcolabili, così come non è prevedibile il modo di riparare tutto questo. In sostanza abbiamo visto una massiccia redistribuzione della ricchezza dalla classe media ai molto ricchi.
Veniamo alla crisi dei mutui subprime e alla fine della bolla immobiliare...
E' interessante guardare alla fine della bolla dell'hi-tech degli anni '90 e a quella immobiliare che la sostituiva negli anni Duemila. Ci si domanda sempre se gli americani diventano comunque più ricchi o se hanno livelli più elevati di indebitamento. Il debito, soprattutto l'indebitamento immobiliare attraverso i mutui, negli ultimi dieci anni è in praticamente triplicato, e oggi arriva all'incredibile valore di 12 mila miliardi di dollari. Il motivo di questa enorme crescita è che nel mercato immobiliare è stata attirata gente che non aveva le risorse per starci. E poi c'è stata questa operazione concertata per spingere il consumatore indebitato a rifinanziare il debito al consumo accumulato sulle carte attraverso prestiti sul valore della casa che stava crescendo rapidamente. Tutto questo è durato fino alla fine del 2005. Il 2006 ha visto l'inizio del collasso del mercato immobiliare.
E di questo collasso abbiamo già visto il fondo o il peggio deve ancora venire?
Oh no, non abbiamo ancora visto nulla. Ma facciamo un passo indietro. Le carte di credito sono i prodotti più profittevoli dell' «industria del debito». Tenete presente che solo il 40% circa dei possessori di carte di credito pagano il saldo completo alla fine di ogni mese. Il restante 60%, che paga rate e interessi, è comunque un dato tenuto artificialmente basso grazie ai prestiti ottenuti sul valore della casa. Ma anche così il debito al consumo è ormai a livelli di saturazione ed assistiamo ad un'esplosione dei fallimenti personali. Non era mai successo nella storia: prima la gente andava in bancarotta a causa della perdita del lavoro, non quando ce l'aveva. Ma alla fine degli anni '90 i fallimenti personali sono arrivati a quota un milione, in una fase di quasi pieno impiego. Quando è arrivata la crisi del 2001, per non esacerbare la situazione, sono stati eliminati tutti i paletti che limitavano le concessioni di prestiti e mutui, portando nel mercato minoranze urbane, persone sotto-occupate, gente che non aveva davvero mezzi finanziari. Questa era la prima fase della crisi dei mutui subprime e l'ultima coda della bolla immobiliare; mutui concessi nel 2004, 2005 e inizio 2006. Si trattava di prestiti che venivano «impacchettati» da operatori di Wall Street e rivenduti ad investitori istituzionali. I mutui sottostanti erano chiamati mutui 2-28 o 3-27, che vuol dire che prevedevano interessi bassi, al 3-4%, per i primi 2 o 3 anni. Poi gli interessi sono scattati in alto e i titolari dei mutui, di solito senza altre risorse finanziarie da cui attingere, hanno immediatamente perso le loro case. Il fatto poi che queste case avessero un valore molto basso e che quindi le banche si siano trovate con proprietà non rivendibili, ha creato la crisi di liquidità dello scorso autunno, con una destabilizzazione profonda del sistema. Questa, ripeto, è la prima fase, che sta attraversando oggi gli Stati Uniti. La gente pensa, a torto, che siamo vicini al fondo e che una ripresa non è lontana. In realtà è come un uragano, e noi siamo nell'occhio. Arriverà una seconda tempesta che coinvolgerà non più poveracci e minoranze ma un gran numero di persone a reddito medio che vivono in belle casette suburbane, gente che avrebbe dovuto ottenere mutui da 250-300 mila dollari, ma che ne ha avuti da 600 o 800 mila. Questa è gente con un po' di risorse, ma si trovano ad avere mutui da 600 mila dollari su case che ora ne valgono 500 mila. Cercheranno di pagare il mutuo indebitandosi sulle carte di credito, finchè possono, sperando in una ripresa del mercato, che però non arriverà prima di due anni. Questa seconda fase si manifesterà in pieno tra un anno e mezzo. Poi ci sono le illegalità commesse dalle istituzioni finanziarie per vendere questi mutui. Molte cause presto arriveranno in tribunale. Le banche saranno costrette a ricomprare quei mutui, ma non potranno farlo. Citibank tecnicamente è già insolvente e potrebbe non sopravvivere.
Che conseguenze avrà tutto questo sul piano politico ed elettorale?
Prima di tutto c'è la incapacità dell'attuale amministrazione di affrontare la questione per un problema di deficit totale di credibilità. Ho previsto che il peggio della crisi dovrebbe arrivare tra settembre e ottobre, in pien campagna elettorale, alimentata anche dalle prime serie perdite di impiego, che si stanno manifestando a macchie in Michigan, Ohio, Indiana, Florida, parte della California. Nei prossimi mesi la crisi economica si manifesterà in modo molto tangibile. Già ora si vede come i tagli drastici dei tassi di interesse non hanno quasi effetto. Le banche li usano per limitare le perdite delle loro divisioni mutui, ma per i consumatori in debito non ci sarà molta differenza. E infatti tra l'autunno e gennaio si è verificata una progressiva contrazione dei consumi, che colpirà in modo sensibile le compagnie automobilistiche e molte strutture distributive. Ma il peggio, ripeto, deve ancora venire. Non serviranno a molto i programmi di rimborso fiscale passati da Casa Bianca e Congresso. Quando arriveranno gli assegni ci sarà una breve e modesta ripresa, poi si tornerà in recessione.
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