sabato 16 febbraio 2008

Storia dell’elettroshock dal macello al manicomio

l’Unità 16.2.08
Storia dell’elettroshock dal macello al manicomio
di Cristian Fuschetto

UN GRUPPO DI PSICHIATRI chiede alla ministro della Sanità, Livia Turco, di riabilitare la terapia elettro-convulsivante. Inventata da Cerletti nel ’38, ha avuto grande fortuna negli Stati Uniti grazie alle assicurazioni sanitarie

«Sdoganare» l’elettroshock. Questa in estrema sintesi è la richiesta che il prossimo 21 febbraio a Roma, in occasione dell’inaugurazione del loro congresso nazionale, gli psichiatri italiani ufficializzeranno al Ministro della Salute Livia Turco. Intanto tra gli specialisti, capeggiati da nomi di prim’ordine, come quelli di Giovan Battista Cassano, Giulio Perugi, Mario Guazzelli, Paolo Girardi, Roberto Delle Chiaie, Giuseppe Bersani, Alessandro Rossi, Giovanni Muscettola, Athanasios Koukopoulos, Carlo Magini e Marcello Nardini, è già partita una petizione per chiedere fondamentalmente due cose, una di ordine strutturale l’altra di ordine culturale: la prima è l’aumento dei centri clinici autorizzati a praticare l’elettroshock (oggi in Italia sono nove le strutture dove è possibile praticarlo, sei pubbliche e tre private); la seconda è un cambiamento di rotta nella percezione pubblica della cosiddetta terapia elettroconvulsivante (Tec). In effetti, se è vero che nell’alveo delle scienze mediche quella psichiatrica rappresenta probabilmente il sapere più discusso, non c’è dubbio alcuno che di questo sapere l’elettroshock rappresenta la pratica assolutamente più controversa.
Del resto, pur non volendo scomodare Michel Foucault e le sue celebri analisi sul «potere psichiatrico» e sulle sue pratiche di «normalizzazione», la letteratura e la filmografia hanno sistematicamente narrato negli ultimi decenni storie di folli, o presunti tali, (mal)trattati da psichiatri-aguzzini che brandiscono elettrodi come strumenti di tortura, fortificando così nell’immaginazione collettiva l’elettroshock come una sorta di icona dell’arbitrio esercitato dalla società nei confronti di chi non riesce o, magari, di chi non vuole «normalizzarsi» alle sue regole. Tant’è vero che risulta quasi impossibile narrare la storia di questa terapia psichiatrica senza incrociare le infinite letture che via via sono state fatte sui suoi ambigui effetti sociali, nonché su quelli, non meno ambigui, sulla dignità del paziente.
Ebbene, l’idea di utilizzare l’elettricità per generare delle convulsioni nel cervello di un malato psichiatrico è di un italiano. Fu il professore Ugo Cerletti, docente di neuropsichiatria a Genova e poi a Roma, a sperimentare per la prima volta nell’aprile del 1938, insieme al suo collega Lucio Bini, la terapia elettro-convulsivante su un paziente affetto da schizofrenia con sintomi di delirio, allucinazione e confusione. In effetti è la stessa genesi di questa terapia a contribuire alla sua cattivissima fama: l’idea di utilizzare la Tec su pazienti neuropsichiatrici gli venne dopo aver osservato alcuni maiali che venivano anestetizzati con una scarica elettrica prima di essere condotti al macello. È per questo che per descrivere gli esperimenti del neuropsichiatria la formula più usata è «dal mattatoio ai manicomi». Comunque, anche grazie a Bini, negli anni successivi la tecnica dell’elettroshock fu affinata e resa più affidabile, soprattutto per il trattamento delle psicosi maniaco-depressiva e dei casi più gravi di depressione. Il lavoro di Cerletti e dei suoi allievi ebbero un’influenza notevole, tanto che l’uso della terapia si diffuse velocemente in tutto il mondo. Inizialmente la terapia veniva praticata su pazienti coscienti, senza uso alcuno di anestesia o di rilassanti muscolari. Per questo non erano rari, anzi tutt’altro, i casi in cui i pazienti perdevano conoscenza durate la seduta subendo, inoltre, anche delle fratture a causa delle violente contrazioni muscolari incontrollate.
Grazie al miglioramento del trattamento farmacologico delle malattie mentali e, soprattutto, sotto i colpi della contestazione del movimento di riforma psichiatrica capeggiato da Franco Basaglia, che vedeva nell’elettroshock solo uno strumento di degradazione del malato psichiatrico, uno dei metodi più efficaci per trasformare il malato da «persona a cosa», la Tec cade progressivamente in disuso negli anni Sessanta e Settanta.
Curioso e significativo al tempo stesso è la sua rivalutazione negli anni Ottanta, quando la terapia ha conosciuto una fase di espansione e di rivalutazione soprattutto in America. Curioso perché a dettare l’inversione di tendenza non furono progressi medici. Significativo perché questa inversione fu invece dettata da trovate assicurative. Le compagnie di assicurazione, infatti, introdussero nei contratti una clausola in base alla quale esse avrebbero pagato agli assicurati il ricovero per non più di sette giorni, decorsi i quali la copertura assicurativa sarebbe scattata solo nel caso di necessità di interventi maggiori, quali per esempio quelli chirurgici. Il fatto è che in psichiatria l’unico intervento maggiore che avrebbe giustificato la prestazione assicurativa anche oltre i primi sette giorni di ricovero era appunto l’elettroshock. Oggi è impiegato nel trattamento dei casi in cui ha dimostrato un’utilità certa (casi tra i quali non figura la schizofrenia) previa somministrazione di anestetici e rilassanti muscolari per controllare le convulsioni.
Nel 1996 l’allora ministro della Sanità Rosy Bindi, con una circolare che venne soffocata dalle polemiche, provò a reintrodurla nella prassi dei trattamenti terapeutici. Ma senza risultati di rilievo. Così come non ha prodotto alcuna conseguenza importante, nemmeno nell’ambito del più ampio dibattito culturale, il parere positivo espresso sull’impiego della Tec dal Consiglio Nazionale per la Bioetica, che nel 1995 affermava che «pur auspicando la prosecuzione della “ricerca di vie alternative” ad una terapia “storica” come la terapia elettroconvulsivante, il Cnb, richiamando la particolare rilevanza etica dei principi generali in materia di consenso informato, ritiene che non vi siano motivazioni bioetiche per porre in dubbio la liceità della terapia elettroconvulsivante nelle indicazioni documentate nella letteratura scientifica».
Vedremo se a determinare l’inversione di tendenza tanto auspicata da questa nuova generazione di psichiatri riuscirà la petizione appena presentata al Ministro Turco. Di certo, a prescindere da ogni conclusione, quel che appare indubbiamente condivisibile è che su questi temi si riesca a costruire un autentico dibattito pubblico.

1 commento:

corrado ha detto...

l'informazione di fondo è quasi corretta, ma l'articolo ha delle derive pericolose, filo-psichiatriche.


Gli psicofarmaci funzionano ? Ma sono delle droghe che fanno malissimo e gli effetti dannosi sono sepsso permanenti.
Consiglio ad esempio alcuni articoli sull'argomento

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l'olocausto psichiatrico