martedì 26 febbraio 2008

UNO STILE DI VITA CHE PORTA AL DISASTRO

La Repubblica 13 lug. ’07

UNO STILE DI VITA CHE PORTA AL DISASTRO

GUIDO VIALE
Siamo in larghissima parte fatti, oltre che di acqua, di carbonio: lo stesso
elemento che sta alla base del carbone, del petrolio e del metano, cioè degli
idrocarburi che da duecento, cento e cinquant'anni, rispettivamente, forniscono
l'energia alle società in cui viviamo. Questo forse dovrebbe farci sentire in
sintonia non solo con il mondo dei viventi, fatti anch'essi, come noi, di acqua
e carbonio, ma anche con la civiltà industriale, che ha fatto degli idrocarburi
il sangue che scorre lungo tutti i circuiti della produzione e del consumo. Ma
non è così.
I processi di ossidazione del carbonio che mantengono la nostra temperatura
corporea e ci forniscono l'energia per muoverci e pensare sono gli stessi che
forniscono calore ed energia alla macchina produttiva e alla vita civile del
pianeta; ma stanno tra loro come la fiamma di un fornello sta a un' esplosione
di tritolo. I primi sono controllati ed efficienti: il nostro corpo non
metabolizza più carbonio e non produce più calore ed energia di quanto gliene
serve; i secondi sono rapidi, altamente dissipatori e consumano una risorsa che
non si rinnova. Entrambi producono – ma i primi in misura infinitamente minore
dei secondi - anidride carbonica: un gas che, riassorbito ogni giorno dalla
vegetazione, mantiene la temperatura dell'ecosistema Terra in equilibrio; mentre
diffuso in quantità eccessive nell'atmosfera, rende progressivamente invivibile
il nostro pianeta: prima per gli stili di vita a cui siamo abituati; po'x per la
mera sopravvivenza degli organismi complessi. Se la vita, compresa la nostra, si
è sviluppata sul nostro pianeta, è perché per alcuni miliardi di anni miriadi di
organismi, come tanti spazzini, hanno "ripulito" l'atmosfera dall'anidride
carbonica che la soffocava, liberando l'ossigeno dalla stretta del carbonio e
poi inabissandosi con questo sotto i sedimenti e le colate di lava che hanno
plasmato nel tempo la crosta terrestre. L'ossigeno liberato lo assorbiamo con
l'aria che respiriamo e il respiro è vita, psiche, spirito.
Ora il sistema produttivo e gli stili di vita che si sono insediati nel mondo a
partire dalla rivoluzione industriale sono stati costruiti dissotterrando e
restituendo progressivamente all'atmosfera il bottino di quel lavoro di pulizia.
E' come se rendessimo la nostra casa inabitabile rovesciando per le stanze il
contenuto della pattumiera; o il nostro territorio invivibile, come tante città
della Campania, dissotterrando i rifiuti sepolti nelle discariche per spargerli
in strada. Con una differenza: mentre gli altri inquinanti emessi dalla
combustione sono da tempo fonte di allarme, perché rendono irrespirabile l'aria
delle città e delle autostrade - puzzano, annebbiano, sporcano, lasciano l'amaro
in bocca e ci rendono bronchitici, asmatici e cardiopatici fin da bambini -
l'anidride carbonica è inodore, insapore e incolore; la percezione dei suoi
danni può essere solo il risultato di calcoli e ragionamenti astratti. Le vere
conseguenze - i ghiacciai che si sciolgono, i fiumi che si prosciugano, i suoli
trasformati in croste di fango secco, le spiagge che si inabissano, le stagioni
che scompaiono e gli uragani che imperversano - sono legate agli scappamenti
delle nostre automobili, alle caldaie dei nostri riscaldamenti, alle spine dei
nostri elettrodomestici solo in modo indiretto. Tanto indiretto che si può
continuare a fare come se niente fosse.
Ora, però, dopo che anche Bush e il prof. Guido Visconti, esperto di
meteorologia del Corriere della sera, si sono finalmente convinti che l’effetto
serra esiste, sul pianeta Terra sono rimasti solo il romanziere Michael Crichton
e il consigliere economico di Berlusconi Renato Brunetta a pensare che sia
invece un complotto dell’Internazionale verde, o una favola imposta dalla
"dittatura planetaria degli ambientalisti". Tutti gli altri sono d'accordo che
bisogna correre ai ripari e mentre in Iraq come in Afghanistan gli eserciti
occupanti bruciano tutti i giorni tanto petrolio quanto forse basterebbe
risparmiarne per "rientrare" nei pur insufficienti parametri di Kyoto, la gente
si chiede "Che fare?". E i politici affamati di comparse in TV invidiano
AL Gore, che si è procurato un'audience fantastica (due miliardi di
telespettatori) cavalcando il problema; una riproposizione, anche in sedicesimo,
del suo successo, piacerebbe a tutti. Ma c'è un ma.
Da un lato correre ai ripari vuol dire consumare meno combustibili fossili: meno
petrolio, meno metano e soprattutto meno carbone; se se ne consumano meno, tutti
dovrebbero essere contenti. Dall'altro, senza petrolio, carbone e metano nessuno
ha idea di come far funzionare la macchina economica, cioè la "crescita" e lo
"sviluppo": l'aumento del Pil di qualche punto percentuale, o di qualche
frazione di punto, che per tutti i governi del mondo è ormai una questione di
vita o di morte. Le alternative ai combustibili fossili - l’eolico, il
fotovoltaico, i biocarburanti, ecc. - possono essere un business e i gruppi
industriali più accorti, con quelli italiani in coda, visi stanno gettando a
capofitto. Ma il petrolio continua e continuerà a far gola: tanto all’Eni quanto
a Bush, tanto al governo cinese quanto a quello australiano, un cui ministro
finalmente non ha avuto remore nel dire quello che tutti sanno; e cioè che in
Iraq ci si è andati a fare la guerra e ci si resta per rubare il petrolio.
L'Aie - l'Agenzia internazionale dell'energia, lobby dei paesi consumatori nata
per contrapporsi all'Opec, cartello dei paesi produttori - fino all'anno scorso
prevedeva una crescita del 50 per cento del consumo di petrolio nei prossimi 25
anni, sicura che le riserve del pianeta vi avrebbero fatto fronte. Ma ora è
costretta ad ammettere quello che gli esperti indipendenti riuniti nell'Aspo -
l'associazione di coloro che sostengono che l'estrazione di petrolio e gas è
prossima al suo picco - stanno ripetendo da tempo: cioè che di petrolio da
estrarre ce ne sarà sempre meno e che dobbiamo imparare a far senza. Dovrebbe
essere una buona notizia, invece è fonte di panico, anche se il petrolio residuo
è ancora sufficiente a trasformare il mondo in una fornace.
Un conto è infatti spiegare, durante un concerto in mondovisione o con un bel
film, che il tempo stringe e si deve cambiare. Un conto è aprire una trattativa
con la Confindustria o l'Unione petrolifera per definire un piano e degli
impegni precisi - con incentivi e penalità sostanziali – per ridurre in
trent'anni le emissioni di gas di serra di un fattore 10: cioè non del 10 per
cento, ma di dieci volte. E cominciando subito. Ve lo immaginate un governo
italiano - un governo, e non un ministro, perché i nostri ministri sono sempre
"in libera uscita" – che apre una trattativa di questo tipo? O il sindaco di una
grande città che spiega ai suoi elettori che dovranno staccare il sedere dalle
loro automobili e salire su un autobus sgangherato, già oggi affollato come una
scatola di sardine, o su un taxi collettivo, che nemmeno sa bene spiegare che
cosa sia?

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