lunedì 18 febbraio 2008

Come Clinton favorì la new economy

Come Clinton favorì la new economy

Il Riformista del 11 dicembre 2006, pag. 3

di Fabrizio Spagna

Gli Stati Uniti rappresentano senza dubbio il motore dell'eco­nomica mondiale. In molti casi i modelli di sviluppo nati negli Usa sono stati rapidamente esportati tanto da diventare fenomeni glo­bali. Un esempio su tutti è rap­presentato di sicuro dall'econo­mia della conoscenza meglio no­ta come «new economy». Gli Stati Uniti, proprio grazie all'e­nergia sprigionata da questo modello di sviluppo, hanno potuto godere di un decennio di forte crescita senza mai evidenziare al­cun segnale di rallentamento. Un fenomeno senza pre­cedenti che è coinciso con gli anni in cui Bill Clinton era alla Casa Bianca assieme al suo vice Al Gore.



Le domande che legittimamente si pongono sono: qual è il motore che gene­ra queste innovazioni di pensie­ro, prima ancora che tecnologi­che e di processo, e qual è il ruo­lo della politica in quest'ambi­to? Queste domande appaiono quanto mai di attualità se si con­sidera che i Democratici hanno appena vinto le elezioni di me­dio termine negli Stati Uniti e si apprestano, secondo i più auto­revoli sondaggi, a riconquistare tra due anni la Casa Bianca.



Va detto che le opinioni su questo argomento sono contra­stanti. In Silicon Valley, proprio l'epicentro da cui si è propagato in tutto il pianeta il fenomeno della new economy, si tende in generale a minimizzare. Le scelte di politica economica rappresen­tano le regole del gioco all'inter­no delle quali è l'imprenditore che con le sue quattro C (creati­vità, competenza, caparbietà e coraggio) crea il vero sviluppo economico. Un ragionamento formalmente corretto che però sottovaluta l'importanza delle regole nel definire il quadro delle conve­nienze per quell'imprenditore che, comunque, deve poter con­tare su delle qualità superiori al­la media per emergere.



Per tentare un ragionamento organico bisogna partire dai dati oggettivi. Per quanto attiene la ri­cerca e lo sviluppo, si stima che gli Stati Uniti coprano circa il 45 per cento delle spese totali nel mondo. Va considerato che il pe­so del Pil americano rispetto al Pil mondiale è di circa il 28 per­cento e, dunque, il primo elemen­to è che gli Stati Uniti spendono più degli altri Paesi in proporzio­ne al loro peso economico in R&S attribuendo al comparto un valore determinante per lo svi­luppo della loro economia. Per completare la statistica, si può notare come le spese Usa in R&S risultino superiori a quelle dei sei Paesi più industrializzati messi insieme: Giappone, Cana­da, Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna. Queste spese in R&S ammontano a circa il 3 per­cento del Pil statunitense mentre la media Ue si assesta al circa il 2 per cento. Fin qui sono cose note. Ma c'è di più.



Gli Stati Uniti indirizzano in­genti investimenti pubblici nel campo del R&S per realizzare una vera e propria politica eco­nomica a vantaggio delle indu­strie nazionali. In questi ultimi sei anni gli investimenti pubblici in R&S si sono indirizzati quasi esclusivamente al settore milita­re. Facendo il confronto con l'Eu­ropa, ad esempio, si può notare come i Paesi dell'Ue si muovano quasi sempre autonomamente. I fondi europei in R&S rappresen­tano il 5 per cento delle spese totali dei Paesi Ue mentre il 95 per cento delle risorse in R&S è erogato dai singoli Stati e allocato in base alle politiche di ciascun Paese dell'Ue.



Un altro fattore competitivo nel campo dell'innovazione, negli Stati Uniti, è rappresentato dal sistema delle università e dalla loro apertura verso quello che viene chiamato il meticciato cul­turale. Le università rappresenta­no una parte fondamentale della forza dell'economia Usa. Secon­do il rapporto dell'Oecd sull'edu­cazione, gli Stati Uniti spendono il 2,7 per cento del loro Pii per le università, contro l'I per cento di Francia, Germania e Gran Breta­gna. Negli Usa, poi, il finanzia­mento universitario è privato al 50 per cento mentre in Europa i finanziamenti sono quasi esclusi­vamente pubblici. Grazie a que­sto sistema di incentivi e di finan­ziamenti, il 30 percento degli stu­denti delle università americane è straniero e oltre il 50 per cento dei dottorati di ricerca è dedicato a cittadini di origine non ameri­cana. Più della metà degli studen­ti iscritti alle facoltà scientifiche americane è straniera e come lo­gica conseguenza più della metà delle start-up di Silicon Valley è guidata da neo-imprenditori stra­nieri, principalmente asiatici.



Sebbene i dati riportati rap­presentino soltanto una piccola parte di quanto gli Stati Uniti hanno fatto e stanno facendo per mantenere alto il loro livello di competitività sui set­tori più strategici ad alta intensità di cono­scenza, si può già tentare di tirare alcune conclusioni. Nono­stante le regole del mercato, la disponi­bilità di capitali e un sistema più efficiente rappresentino sicuramente ele­menti chiave del successo eco­nomico Usa, il ruolo della politi­ca, inteso come capacità di pre­vedere i grandi cambiamenti a livello mondiale e predisporre un sistema Paese in grado di af­frontare le sfide della competiti­vità con gli strumenti adeguati, è altrettanto importante per il successo di un grande Paese co­me gli Stati Uniti.



Nel 1993 quando Bill Clinton arrivò per la prima volta alla Ca­sa Bianca, il presidente iniziò a sostenere un progetto, noto come National information infrastructure (Infrastruttura nazionale informativa), che si collocava al­l'interno di un più generale piano per la costruzione di una infra­struttura mondiale dell'informa­zione. I punti cardine di questo piano erano: promuovere gli in­vestimenti nel settore privato, estendere il concetto di servizio universale al fine di assicurare che le risorse informative siano disponibili a tutti a prezzi abbor­dabili, agire come catalizzatore per la promozione dell'innovazione tec­nologica e delle nuo­ve applicazioni, assi­curare la sicurezza delle informazioni e l'affidabilità della re­ti, offrire accesso al­l'informazione go­vernativa, tutelare i diritti di proprietà intellettuale. Tutti elementi che hanno contri­buito in modo determinante al successo di quella che tutti ormai chiamano economia della cono­scenza. Ora, a distanza di tredici anni, i Democratici tornano ad avere un ruolo fondamentale nelle scelte economiche degli Stati Uniti e la mente economica è ancora la stessa, Robert Rubin, colui che allora fu il ministro del­l'Economia americano. Il rilancio sembra assicurato.

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