domenica 17 febbraio 2008

Lo psichiatra. Per spiegare il comportamento non bastano due molecole.

Corriere della Sera 17.2.08
Lo psichiatra. Per spiegare il comportamento non bastano due molecole.
Ma è utile approfondire queste ricerche
L'opinione di Vittorino Andreoli

Desiderio
Secondo Sigmund Freud, ogni uomo ha desiderato di ammazzare almeno una volta nella vita

Le motivazioni che portano ad ammazzare sono molteplici. Si può uccidere per vendetta e allora la voglia di ammazzare si seda dopo aver eliminato la vittima designata. Si può uccidere serialmente (i serial killer) e allora le vittime sono degli anonimi che rientrano dentro una logica «sessuale» anche se con azioni indirette che giungono fino a usare il cadavere. Si può uccidere per piacere come gesto di un desiderio di mostrare il proprio potere totale sulla vittima. Si può uccidere, come nel caso di Smerdiakov nei Fratelli Karamazov,
per esprimere la massima libertà. Si può ammazzare su richiesta della organizzazione criminale di cui si è parte e che ordina un morto. Si può uccidere per guadagno, su commissione. Si può uccidere in guerra e il gesto ha un sapore persino eroico. Si può uccidere per un meccanismo darwiniano, per far sopravvivere la specie a cui si appartiene. Si può uccidere per odio, ma persino per amore.
Sigmund Freud sosteneva che ogni uomo almeno una volta nella vita ha desiderato di ammazzare e riteneva che lo potesse fare non solo per un vantaggio o per saldare uno sgarbo, ma persino per una banalità. Questo desiderio «universale» non diventa cronaca nella maggior parte dei casi poiché vengono attivati i freni inibitori. Si tratta di imperativi proprio dell'Io (internalizzati) oppure derivanti da una legge che condanna o da una norma etica che ha effetti nel cielo.
Da questo punto di vista l'uccidere, come comportamento agito, dipende dalla combinazione tra voglia di ammazzare e divieti a farlo. I freni inibitori possono essere forti o deboli e così la voglia, la pulsione a uccidere. Negli ultimi due decenni si è capovolto il dogma di Cesare Lombroso il quale riteneva che questo comportamento fosse da attribuire ad una degenerazione del cervello (nel senso di Morel) e dunque ad una anomalia stabile. Aveva formulato la teoria del criminale (e quindi dell'omicida) nato. Si è visto, invece, che sono molti i casi di criminali che non rientrano in alcuna delle categorie psichiatriche e ciò ha portato a concludere che l'uccidere è compatibile con la normalità. Del resto non risulta che il contributo all'uccidere sia statisticamente maggiore nella follia che nella normalità.
È certamente dimostrato che i due meccanismi ricordati, la pulsione a uccidere (voglia di eliminare) e l'attivazione dei freni inibitori, hanno una dimensione anatomica in circuiti specifici e neuromediatori ben identificati. È certo che stimolandoli o inibendoli, si può aumentare o diminuire il comportamento omicida negli animali di laboratorio.
Ma è impossibile con due mediatori ad assetto contrapposto spiegare la fenomenologia così differente delle motivazioni e le varie tipologie dell'uccidere. Se si vuole ridurre la complessità a due molecole, semplicemente si delira. Se si vuol affermare che non c'entrano le molecole, si fa dello spiritualismo o dell'animismo di marca medievale.
La biochimica che si manifesta nel comportamento omicida è interessante e va approfondita. È utile, purché non si arroghi il desiderio onnipotente di voler oggi, con quello che sappiamo, spiegare il perché si uccide, sia pure rimandando ad un gene che confeziona le zone anatomiche in cui quei modulatori operano. Più modestamente occorre dire che sappiamo ancora troppo poco e che dunque ci resta il dubbio. Il dubbio che è il motore per continuare a ricercare e per sperare di capire.

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