mercoledì 26 dicembre 2007

"Il Mediterraneo è già un mare tropicale"

"Il Mediterraneo è già un mare tropicale"

La Stampa.it del 30 gennaio 2007

di Domenico Quirico
«Il problema ormai è nelle mani dei politici non più degli scienziati, la situazione è grave anche se non è ancora il momento di pensare a politiche di razionamento per ridurre l'effetto serra»: Eric Brun, climatologo, direttore del settore ricerche di «Météo France», è uno degli scienziati che hanno collaborato al rapporto dell’IPCC.

A partire da quale innalzamento di temperatura si può parlare di situazione grave?
«La risposta dipende da quello che si intende per grave perché il riscaldamento climatico può avere conseguenze di diverso grado per alcuni perfino positivi. Quello che si è convenuto anche a livello di politiche dei governi è che due gradi sono il limite che non deve essere assolutamente superato».

A questo punto scatterebbero scenari catastrofici come moltiplicazione di eventi climatici estremi e degradazione della biodiversità?
«Bisogna distinguere. La biodiversità è il problema maggiore perché si è certi che turbare il clima vuol dire turbare l’ecosistema. La maggior parte degli ecosistemi sulla terra sono in delicato equilibrio con vari fattori e uno di questi è l’ambiente climatico. Si possono immaginare alcune conseguenze. Ad esempio ci sono specie di pesci che hanno cominciato a migrare, alcune ad esempio nel mare del Nord alla ricerca di acque più fredde, mentre nel Mediterraneo compaiono varietà di pesci tropicali mai visti prima».

Che impatto avranno questi fenomeni?
«Molto forte, e in alcuni casi catastrofico poiché il mare è una macchina delicata e ci saranno delle reazioni a catena terribili. Ci possono immaginare effetti anche non direttamente legati alla temperatura: se cresce l’anidride carbonica l’oceano diventa più acido, come testimonierà anche il rapporto dell’IPCC. E un oceano più acido distruge il plancton (rischio di rottura della catena alimentare) che a sua volta assorbe l’anidride carbonica».

E la possibilità di siccità terribili, inondazioni, uragani?
«A livello climatico invece è difficile prefigurare grandi catastrofi. La sola cosa certa è il ripetersi della canicola in Europa. Poiché se ne conoscono già le conseguenze sulla salute e sull’economnia è un disastro che diventarè ancora più forte e per periodi più lunghi».

Sono misurabili i costi economici di un mancato intervento sull’effetto serra?
«Faccio un esempio, semplice: l’agricoltura, settore molto sensibile ai cambiamenti climatici. Il mais ha bisogno di molto acqua, ci sono regioni dove oggi la coltivazione è possibile e tra trenta, quaranta anni non lo sarà più perché non ci sarà abbastanza acqua. Bisognarà in occidente cambiare colture o usare sementi geneticamente modificate che consumano meno acqua come già si fa per il riso. Ma ci sono paesi in Africa dell’est dove meno pioggia vuol dire fame e catastrofe economica».

Il riscaldamento della terra è dunque ormai un problema non più scientifico ma politico?
«Sì, il problema è posto ai politici. È un tema su cui intervengono ormai al di là delle frontiere tra i partiti, non è più proprietà dei Verdi, della sinistra o della destra. Ma solo pochi anni fa i politici esibivano molta difficoltà a discutere di effetto serra, questo è radicalmente cambiato e in questa rivoluzione hanno giocato un ruolo chiave i rapporti dell’IPCC. La riunione di Parigi ha un’attenzione mediatica mai registrata per quelle precedenti. È la prova che la società è attenta e quindi i politici non possono tirarsi indietro».

La soluzione è in politiche di razionamento?
«No, ci sono mezzi più accessibili anche nella pratica quotidiana che possono dare risultati importanti, esempio l’isolamento di case e edifici pubblici che ha effetti ed è indolore. Non è ancora arrivato il momemto di politiche di razionamento dei carburanti. Usiamo altri mezzi. A causa della globalizzazione gli oggetti che compriamo ad esempio in Europa fanno tre volte il giro del mondo prima di arrivare nei negozi. Se si sopprime questo, se si fabbricano le cose più vicino a dove le si vendono, forse costeranno un poco di più ma si ridurrà l’emissione di anidride carbonica. E si aiuteranno i giovani e i senza lavoro».

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