La scoria siamo noi
Il Manifesto del 17 luglio 2007, pag. 1
di Guglielmo Ragozzino
Il primo comunicato di Tepco (Tokyo Eelctric Power Plant) poche ore dopo il terremoto che ha devastato l'area di Kashiwazaki in Giappone era tranquillizzante. Nessuna conseguenza ai reattori nucleari. Usciva del fumo e si vedevano fiamme, ma era solo -dicevano - un trasformatore del reattore n°3 da 1.100 Megawatt, che aveva preso fuoco. Più tardi un secondo comunicato, ancor più tranquillizzante. Dal reattore n° 6, 1.356 Megawatt, era colata acqua con materiale radioattivo. Ma, nessuna paura, si trattava solo di 1,5 litri, una «bottiglia di minerale», finita in mare, «senza conseguenze ambientali».
I terremoti sono fatti naturali. In Giappone come in California - o in Italia - si convive con essi da migliaia di anni. Ci si difende, ci si prepara, quando si può, come si può. Ma l'energia nucleare, da 60 anni, ha cambiato tutto, per sempre. Gli umani, da Hiroshima e Nagasaki, hanno trasformato la natura in un mostruoso pericolo. E hanno paura, da apprendisti stregoni. È il progresso.
Tepco è il primo produttore di elettricità dell'Asia. Come non fidarsi? Il suo impianto nucleare di Kashiwazaki-Kariwa è il maggiore del mondo, con una capacità di 8 mila Megawatt. Anche in questa occasione particolare - il terremoto - ci si vanta che un quinto delle utenze di Tokyo dipendono dalla sua produzione. Se la centrale chiude, servirà olio combustibile e gas nei tradizionali impianti termoelettrici per evitare che Tokyo rallenti. Ma la realtà è diversa.
Quattro reattori si sono chiusi «automaticamente». Altri 4 erano già bloccati, in manutenzione, da prima del sisma, forse perché in Giappone hanno ben poca fiducia nel nucleare. Già nel 2003 vi fu lo «scandalo della sicurezza» che costrinse Tepco a chiudere tutti gli impianti nucleari. La sicurezza e la manutenzione degli impianti non erano quelle promesse. E si scoprì che le imprese falsificavano i documenti. Nel 2004 un altro terremoto nella zona con decine di vittime e centinaia di feriti.
Anni prima, nel 2001, proprio a Kariwa, la località sulla quale sorgono i reattori nucleari, si tenne un referendum. Era un tempo lontanissimo, prima ancora dell'11 settembre ma era pur sempre in questo decennio, in questo nostro secolo. La popolazione, sia pure con una stretta maggioranza del 53,4%, votò contro un impianto di riprocessamento Mox (ossidi misti di uranio e plutonio). Allora i materiali esausti andavano in Europa e poi tornavano facendo il giro del mondo con la nave. L'impianto Mox lo si fece, in Giappone, a Rokkasho-Mura. Ben presto venne fermato per una perdita di liquido al plutonio. 40 litri, tutti insieme.
Molti in Giappone, nel 2001, criticarono l'atteggiamento del tipo «non nel mio cortile» dei cittadini di Kariwa che oltretutto avevano già sul groppone ì loro 8 mila Megawatt. Che bisogno c'era di protestare per il Mox? Ma cosa sarebbe avvenuto all'impianto Mox per il terremoto? Forse avevano ragione i kariwiani. Forse abbiamo ragione qui in Italia, tra un terremoto e l'altro, a dire: nucleare, meglio astenersi.
Il Manifesto del 17 luglio 2007, pag. 1
di Guglielmo Ragozzino
Il primo comunicato di Tepco (Tokyo Eelctric Power Plant) poche ore dopo il terremoto che ha devastato l'area di Kashiwazaki in Giappone era tranquillizzante. Nessuna conseguenza ai reattori nucleari. Usciva del fumo e si vedevano fiamme, ma era solo -dicevano - un trasformatore del reattore n°3 da 1.100 Megawatt, che aveva preso fuoco. Più tardi un secondo comunicato, ancor più tranquillizzante. Dal reattore n° 6, 1.356 Megawatt, era colata acqua con materiale radioattivo. Ma, nessuna paura, si trattava solo di 1,5 litri, una «bottiglia di minerale», finita in mare, «senza conseguenze ambientali».
I terremoti sono fatti naturali. In Giappone come in California - o in Italia - si convive con essi da migliaia di anni. Ci si difende, ci si prepara, quando si può, come si può. Ma l'energia nucleare, da 60 anni, ha cambiato tutto, per sempre. Gli umani, da Hiroshima e Nagasaki, hanno trasformato la natura in un mostruoso pericolo. E hanno paura, da apprendisti stregoni. È il progresso.
Tepco è il primo produttore di elettricità dell'Asia. Come non fidarsi? Il suo impianto nucleare di Kashiwazaki-Kariwa è il maggiore del mondo, con una capacità di 8 mila Megawatt. Anche in questa occasione particolare - il terremoto - ci si vanta che un quinto delle utenze di Tokyo dipendono dalla sua produzione. Se la centrale chiude, servirà olio combustibile e gas nei tradizionali impianti termoelettrici per evitare che Tokyo rallenti. Ma la realtà è diversa.
Quattro reattori si sono chiusi «automaticamente». Altri 4 erano già bloccati, in manutenzione, da prima del sisma, forse perché in Giappone hanno ben poca fiducia nel nucleare. Già nel 2003 vi fu lo «scandalo della sicurezza» che costrinse Tepco a chiudere tutti gli impianti nucleari. La sicurezza e la manutenzione degli impianti non erano quelle promesse. E si scoprì che le imprese falsificavano i documenti. Nel 2004 un altro terremoto nella zona con decine di vittime e centinaia di feriti.
Anni prima, nel 2001, proprio a Kariwa, la località sulla quale sorgono i reattori nucleari, si tenne un referendum. Era un tempo lontanissimo, prima ancora dell'11 settembre ma era pur sempre in questo decennio, in questo nostro secolo. La popolazione, sia pure con una stretta maggioranza del 53,4%, votò contro un impianto di riprocessamento Mox (ossidi misti di uranio e plutonio). Allora i materiali esausti andavano in Europa e poi tornavano facendo il giro del mondo con la nave. L'impianto Mox lo si fece, in Giappone, a Rokkasho-Mura. Ben presto venne fermato per una perdita di liquido al plutonio. 40 litri, tutti insieme.
Molti in Giappone, nel 2001, criticarono l'atteggiamento del tipo «non nel mio cortile» dei cittadini di Kariwa che oltretutto avevano già sul groppone ì loro 8 mila Megawatt. Che bisogno c'era di protestare per il Mox? Ma cosa sarebbe avvenuto all'impianto Mox per il terremoto? Forse avevano ragione i kariwiani. Forse abbiamo ragione qui in Italia, tra un terremoto e l'altro, a dire: nucleare, meglio astenersi.
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