giovedì 27 dicembre 2007

L'ultima moda negli Usa: aziende senza dipendenti

L'ultima moda negli Usa: aziende senza dipendenti

Corriere della Sera del 14 dicembre 2006, pag. 31

di Massimo Gaggi

«Piccolo è bello» è uno slogan non più di moda in Italia, da quan­do è emerso che le imprese minori sono redditizie, ma non hanno le risorse per presidiare i grandi mercati internazionali e per sostenere investimenti in ricerca e sviluppo. Negli Stati Uniti, invece, «picco­lo» va di moda: non solo in libreria, dove è appena uscito «Small is the new Big», di Seth Godin, un imprenditore diventato il guru del «microbusiness», ma anche nella realtà del tessuto aziendale. Le microa­ziende senza dipendenti sono, infatti, più di 20 milioni, secondo un'analisi della Small Business Administration, l'Agen­zia federale per le piccole imprese, con­dotta in collaborazione col quotidiano Usa Today. Parliamo di una situazione di­versa: all'America non mancano certo i grandi gruppi che spendono miliardi di dollari per la ricerca. A fianco di questo tèssuto — che rimane vitale, ma sta per­dendo occupati — negli ultimi anni sono però cresciute mille attività autonome: non solo professionisti e artigiani, ma an­che commercianti la cui vetrina è un per­sonal computer, gente che ha imparato a vendere on Une e consegnare la mercé usando spedizionieri come FedEx o Ups.



LA NUOVA FORMULA — Ma il fenomeno più in crescita riguarda le imprese che riesco­no a concepire, produrre e consegnare un prodotto senza avere dipendenti: il trion­fo dell’outsourcing. Cominciò tutto molti anni con industrie come quella automobi­listica che affidavano a imprese esterne la produzione di componenti. Oggi le grandi Case mondiali dell'auto fanno qua­si solo progettazione, assemblaggio fina­le e commercializzazione del prodotto.



Molti imprenditori che hanno scelto il «working solo» (una filosofia divenuta or­mai marchio, coi suoi giornali, i centri di orientamento, i blog) stanno battendo la stessa strada, aiutati dalle nuove tecnolo­gie della «rete». A spingerli è anche il desi­derio di evitare gli oneri (finanziari e buro­cratici) legati alla gestione di una forza-la­voro. Zero dipendenti significa delegare le principali funzioni aziendali a speciali­sti secondo il «modello Hollywood». Chi produce un film in genere mette insieme una squadra di attori, sceneggiatori, tec­nici, che si scioglie quando la pellicola è pronta per le sale cinematografiche. Qual­cosa di simile avviene anche in queste microimprese: chi ha l'idea di un prodotto o di un servizio innovativo trova, attraver­so i siti specializzati, i professionisti ne­cessari. E, sempre attraverso il web, rag­giunge i potenziali acquirenti.



PUBBLICITÀ' E VIDEO — È il caso di John Whiteside, un esperto di marketing di Houston che ha creato una ditta specializza­ta in campagne di lancio di nuovi prodot­ti. Non ha dipendenti, ma con lui collaborano altri tre esperti con base ad Alexandria, non lontano da Washington, a Bo­ston e a Syracuse. Poi c'è Nicolas Vantomme, regista globetrotter di video, che pro­duce programmi televisivi per il mercato Usa dal suo loft in Belgio, usando tecnici americani. É ancora «Billable Hour», so­cietà che produce oggetti «personalizza­ti», dagli orologi ai biglietti d'auguri, col lavoro di due persone. Il resto lo fanno un tecnico web di Buffalo, un grafico dello Utah, un designer di San Diego. Gli ogget­ti vengono importati o prodotti da forni­tori sempre diversi. In questo, come in al­tri casi, una delle chiavi principali sta nei programmi di editing disponibili su Inter­net, spesso gratuiti. Un settore che sta crescendo anche grazie allo sviluppo delle cosiddette «reti sociali», fenomeno che ha creato una disputa accademica: per Yochai Benkler, professore di Yale, la produzione di beni che hanno un contenuto di informazioni sta evolvendo da un mo­dello industriale basato sul capitale a una produzione «orizzontale» guidata dalla logica dello scambio di conoscenze: un modello imprenditoriale «collaborati­vo» perfino più produttivo di quello delle imprese tradizionali. Secondo Nicholas Carr, ex direttore della Harvard Business Review, invece, quello che sta nascendo dalle «reti sociali» non è un nuovo genere di lavoro, slegato dal sistema dei prezzi: ben presto anche per queste prestazioni volontarie verrà individuato il giusto com­penso e nascerà una nuova area di mercato.



POTENZA DELLA «RETE» — Intanto le grandi imprese da tempo beneficiano dei contri­buti della «rete» nella forma del cosiddet­to crowdsourcing: l'«intelligenza colletti­va» disponibile su Internet che aiuta a sviluppare nuovi prodotti o a risolvere un problema. Ma, man mano che questa intelligen­za matura, il rapporto cambia fi­no a capovolgersi. Lo sanno bene gruppi come Cisco e Microsoft: l'azienda di Bill Gates, con le sue tecnologie è stata all'origine del­la «polverizzazione democratica» delle conoscenze, ma ora si ritro­va attaccata da microaziende figlie di questa nuova cultura che, usando sistemi operativi ormai gratuiti e programmi «open source», riescono a sottrarre lembi di mercato ai giganti in alcuni settori come la distri­buzione delle e-mail o dei «pacchetti» di dati sulle reti telefoniche. Le imprese in questione, ad esempio Vyatta e Zimbra, sono piccole, ma qualche dipendente ce l'hanno. Un fenomeno che affianca quello delle imprese individuali che crescono al ritmo del 7%: quest'anno supereranno i mille miliardi di dollari di giro d'affari.

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