Via l'indulto: il punto finale in Argentina. Ma questa volta all'impunità
Il Manifesto del 17 luglio 2007, pag. 4
di Sebastian Lacunza
La incostituzionalità dell'indulto ai responsabili di crimini di lesa umanità durante la dittatura militare del '76-'83, proclamata venerdì dalla Corte suprema argentina, segna per gli organismi di difesa dei diritti umani la fine di un processo paziente e ingegnoso che, poco a poco, ha smontato tutti i meccanismi legali di «perdono» tentati in questi anni per impedire che si facesse giustizia.
Con il voto, la Corte ha annullato l'indulto all'ex-generale Santiago Riveros, ex comandante della guarnigione di Campo de Mayo, alle porte di Buenos Aires, chiamato in causa per 40 casi di violazione dei diritti umani. Riveros, indultato nel '90, era agli arresti dal 2000 per il furto di neonati delle detenute desaparecidos. In quell'anno fu anche uno dei condannati all'ergastolo in contumacia nel processo di Roma per il sequestro e assassinio di alcuni desaparecidos di origine italiana.
L'annullamento del suo indulto fa giurisprudenza rispetto ad altri militari accusati di crimini analoghi indultati dall'ex-presidente conservator-peronista Carlos Menem. La lista è lunga: ammiragli e generali come Emilio Massera (per quanto oggi «non perseguibile» per «demenza senile»), Rafael Videla, Leopoldo Galtieri, Cristino Nicoalides, Juan Bautista Sasiain, José Montes, Andrés Ferrero, Adolfo Sigwald, Jorge Olivera Rovere e Albano Harguindeguy.
Nell'83, il radicale Raùl Alfonsin vinse le prime elezioni democratiche post-dittatura con l'impegno di mandare sotto processo i componenti delle tre giunte militari, mentre il peronismo aveva già accettato l'auto-amnistia che si erano concessa i militari. Sulla lorta strada restavano 30 mila desaparecidos, un'intera generazione sparita. Nel processo dell'85 il generale Videla e l'ammiraglio Massera furono condannati all'ergastolo e altri tre gerarchi a pene minori, mentre centinaia di cause si aprivano in tutto il paese. Poi però Alfonsin cedette alle pressioni e alle rivolte dei carapintadas e vennero, fra l'86 e l'87, le leggi del Punto finaì e della Obediencia debida che mandarono impuni assassini del calibro del capitano di fregata Alfredo Astiz. L'opera fu completata da Menem che con l'indulto del dicembre '90 liberò tutti. Alla fine dei '90, sotto la pressione internazionale, i familiari delle vittime - le «Madri», le «Nonne», i «Figli» -riuscirono a bucare per la prima volta la cortina dell'impunità: il furto di 400 bambini di desaparecidos manteneva la vigenza del reato e questo non era stato giudicato nei processi degli '80, per cui i massimi gerarchi dovevano tornare in (dorata) prigione. Nel 2003, poco dopo l'arrivo di Kirchner alla presidenza, il parlamento decretò l'incostituzionalità del Punto finale e dell'Obbedienza dovuta, perché non si poteva lasciare impuniti crimini di lesa umanità, «imprescrittìbili». Kirchner chiese pubblicamente perdono alle vittime in nome dello Stato per «l'impunità». Centinaia di cause furono riaperte e si arrivò alle prime condanne. Oggi sono 950 i «repressori» sotto processo, di cui 250 sono in carcere. Alcuni processi sono arrivati fino in fondo, come quello che ha condannato «per genocidio» l'ex-capo della polizia Miguel Etchecolatz e fra poco si avrà il verdetto contro il prete Cristian Von Wernich e un gruppo di 9 militari fra cui il generale Nicolaides.
Mancavano solo gli indulti di Menem. Grazie all'implacabile ostinazione delle Madri e delle Nonne anche quell'obbrobrio è stato cancellato.
Il Manifesto del 17 luglio 2007, pag. 4
di Sebastian Lacunza
La incostituzionalità dell'indulto ai responsabili di crimini di lesa umanità durante la dittatura militare del '76-'83, proclamata venerdì dalla Corte suprema argentina, segna per gli organismi di difesa dei diritti umani la fine di un processo paziente e ingegnoso che, poco a poco, ha smontato tutti i meccanismi legali di «perdono» tentati in questi anni per impedire che si facesse giustizia.
Con il voto, la Corte ha annullato l'indulto all'ex-generale Santiago Riveros, ex comandante della guarnigione di Campo de Mayo, alle porte di Buenos Aires, chiamato in causa per 40 casi di violazione dei diritti umani. Riveros, indultato nel '90, era agli arresti dal 2000 per il furto di neonati delle detenute desaparecidos. In quell'anno fu anche uno dei condannati all'ergastolo in contumacia nel processo di Roma per il sequestro e assassinio di alcuni desaparecidos di origine italiana.
L'annullamento del suo indulto fa giurisprudenza rispetto ad altri militari accusati di crimini analoghi indultati dall'ex-presidente conservator-peronista Carlos Menem. La lista è lunga: ammiragli e generali come Emilio Massera (per quanto oggi «non perseguibile» per «demenza senile»), Rafael Videla, Leopoldo Galtieri, Cristino Nicoalides, Juan Bautista Sasiain, José Montes, Andrés Ferrero, Adolfo Sigwald, Jorge Olivera Rovere e Albano Harguindeguy.
Nell'83, il radicale Raùl Alfonsin vinse le prime elezioni democratiche post-dittatura con l'impegno di mandare sotto processo i componenti delle tre giunte militari, mentre il peronismo aveva già accettato l'auto-amnistia che si erano concessa i militari. Sulla lorta strada restavano 30 mila desaparecidos, un'intera generazione sparita. Nel processo dell'85 il generale Videla e l'ammiraglio Massera furono condannati all'ergastolo e altri tre gerarchi a pene minori, mentre centinaia di cause si aprivano in tutto il paese. Poi però Alfonsin cedette alle pressioni e alle rivolte dei carapintadas e vennero, fra l'86 e l'87, le leggi del Punto finaì e della Obediencia debida che mandarono impuni assassini del calibro del capitano di fregata Alfredo Astiz. L'opera fu completata da Menem che con l'indulto del dicembre '90 liberò tutti. Alla fine dei '90, sotto la pressione internazionale, i familiari delle vittime - le «Madri», le «Nonne», i «Figli» -riuscirono a bucare per la prima volta la cortina dell'impunità: il furto di 400 bambini di desaparecidos manteneva la vigenza del reato e questo non era stato giudicato nei processi degli '80, per cui i massimi gerarchi dovevano tornare in (dorata) prigione. Nel 2003, poco dopo l'arrivo di Kirchner alla presidenza, il parlamento decretò l'incostituzionalità del Punto finale e dell'Obbedienza dovuta, perché non si poteva lasciare impuniti crimini di lesa umanità, «imprescrittìbili». Kirchner chiese pubblicamente perdono alle vittime in nome dello Stato per «l'impunità». Centinaia di cause furono riaperte e si arrivò alle prime condanne. Oggi sono 950 i «repressori» sotto processo, di cui 250 sono in carcere. Alcuni processi sono arrivati fino in fondo, come quello che ha condannato «per genocidio» l'ex-capo della polizia Miguel Etchecolatz e fra poco si avrà il verdetto contro il prete Cristian Von Wernich e un gruppo di 9 militari fra cui il generale Nicolaides.
Mancavano solo gli indulti di Menem. Grazie all'implacabile ostinazione delle Madri e delle Nonne anche quell'obbrobrio è stato cancellato.
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