Se finisce il cibo nel mondo
La Repubblica del 30 agosto 2007, pag. 1
di Carlo Petrini
Nel giro di qualche mese la questione biocarburanti è diventata eminentemente una questione di prezzi. Non sono sicuro che le dinamiche siano così semplici: diminuzione della superficie dedicata alla produzione agricola per l'alimentazione — diminuzione delle quantità di materie prime alimentari in commercio — aumento dei loro prezzi — rincaro dei prodotti trasformati — spinta inflazionistica — problemi sociali. Ad un primo acchito sembrerebbe filare tutto liscio.
Ma tendo a diffidare dei ragionamenti che filano via troppo lisci— è meglio che qualcosa si inceppi ogni tanto, reclamando unrabbocco di attenzione, daparte di chi parla e daparte di chi ascolta.
Però facciamo finta che le cose siano davvero così e proviamo ad accomodarci in questo scenario.
Gli Usa (o il Brasile) producono biofuel togliendo superficie al mais, se ne produce di meno e costa di più. Quindi aumenta, in Italia, il prezzo delle uova, prodotte dalle galline che mangiano mais. Alt. Vuol dire che le galline italiane mangiano mais Usa (o brasiliano)? Beh, vorrà dire che uno degli elementi utili per tracciare una filiera al momento non tracciata è quello di fare attenzione alle uova che non aumentano, che evidentemente arriveranno da galline che mangiano mais italiano (peraltro non Ogm). In generale se il consumo agroalimentare sposta il suo focus dal global al local allora può succedere che il caro prezzi si contrasti anche così. Consumando cibo prevalentemente locale, che non ha dovuto combattersi spanna dopo spanna il terreno con l'etanolo, che non ha attraversato i mari e i monti, che non ha aggiunto costi alla sua produzione, che non ha perso troppe battaglie — inclusa quella della qualità — prima di arrivare sulle nostre tavole. Non vorrei dare la sensazione di avere la sindrome di Pollyanna, che faceva saltare i nervi al suo prossimo vedendo solo il lato positivo delle cose, ma forse tutto questo ci offre finalmente la possibilità di distinguere tra prodotti e commodities, ovvero tra cibo inteso come roba che si mangia e cibo inteso come roba che si vende. Senza dimenticare però, e qui occorre ritornare dal local al global, che le grandi estensioni di "colture energetiche" saranno un perfetto veicolo di chimica e Ogm, i cui danni non si fermano alle dogane.
La Repubblica del 30 agosto 2007, pag. 1
di Carlo Petrini
Nel giro di qualche mese la questione biocarburanti è diventata eminentemente una questione di prezzi. Non sono sicuro che le dinamiche siano così semplici: diminuzione della superficie dedicata alla produzione agricola per l'alimentazione — diminuzione delle quantità di materie prime alimentari in commercio — aumento dei loro prezzi — rincaro dei prodotti trasformati — spinta inflazionistica — problemi sociali. Ad un primo acchito sembrerebbe filare tutto liscio.
Ma tendo a diffidare dei ragionamenti che filano via troppo lisci— è meglio che qualcosa si inceppi ogni tanto, reclamando unrabbocco di attenzione, daparte di chi parla e daparte di chi ascolta.
Però facciamo finta che le cose siano davvero così e proviamo ad accomodarci in questo scenario.
Gli Usa (o il Brasile) producono biofuel togliendo superficie al mais, se ne produce di meno e costa di più. Quindi aumenta, in Italia, il prezzo delle uova, prodotte dalle galline che mangiano mais. Alt. Vuol dire che le galline italiane mangiano mais Usa (o brasiliano)? Beh, vorrà dire che uno degli elementi utili per tracciare una filiera al momento non tracciata è quello di fare attenzione alle uova che non aumentano, che evidentemente arriveranno da galline che mangiano mais italiano (peraltro non Ogm). In generale se il consumo agroalimentare sposta il suo focus dal global al local allora può succedere che il caro prezzi si contrasti anche così. Consumando cibo prevalentemente locale, che non ha dovuto combattersi spanna dopo spanna il terreno con l'etanolo, che non ha attraversato i mari e i monti, che non ha aggiunto costi alla sua produzione, che non ha perso troppe battaglie — inclusa quella della qualità — prima di arrivare sulle nostre tavole. Non vorrei dare la sensazione di avere la sindrome di Pollyanna, che faceva saltare i nervi al suo prossimo vedendo solo il lato positivo delle cose, ma forse tutto questo ci offre finalmente la possibilità di distinguere tra prodotti e commodities, ovvero tra cibo inteso come roba che si mangia e cibo inteso come roba che si vende. Senza dimenticare però, e qui occorre ritornare dal local al global, che le grandi estensioni di "colture energetiche" saranno un perfetto veicolo di chimica e Ogm, i cui danni non si fermano alle dogane.
Nessun commento:
Posta un commento