Rigassificatori, la polemica arriva in Europa
L'Unità on line del 19 gennaio 2007
di Paola Zanca
La questione rigassificatori arriva in Europa. Parte da Brindisi un appello alle istituzioni dell´Ue perché «la democrazia e la legalità abbiano ragione sugli interessi privati». Il capoluogo pugliese è infatti l´emblema dello scontro in atto tra governo, istituzioni locali e interessi delle grandi compagnie su questa nuova fonte di energia che viene presentata come la panacea per tutti i mali della questione energetica in Italia. Il punto è che a Brindisi, il rigassificatore non lo vogliono. Non lo vuole l´Amministrazione comunale, non lo vuole la Provincia e non lo vuole nemmeno la Regione presieduta da Nichi Vendola. Ma nonostante tutto, i lavori sono già iniziati. «A Brindisi sta accadendo qualcosa di veramente assurdo», scrive in un comunicato il cartello di associazioni che va da Legambiente a Medicina Democratica, dalla Coldiretti all´Arci: «Come opera preparatoria, la società Brindisi LNG sta realizzando una immensa colmata in uno specchio d´acqua che l´ufficio pubblico di controllo (ARPA Puglia) ha trovato gravemente e pericolosamente inquinato». «A fronte della radicale opposizione degli enti locali, della Regione Puglia e delle popolazioni interessate – prosegue l´appello – e nonostante la decisione del Governo italiano di riaprire l´iter autorizzativo con la presa di posizione della Commissione Europea, la società costruttrice sta portando a termine i lavori della colmata con l´ostentato intento di iniziare la vera e propria costruzione dell´impianto». Della serie, "chi se ne frega".
Ma la polemica sugli impianti energetici che dovrebbero ovviare al problema del caropetrolio è viva più che mai non solo a Brindisi, ma in tutti i siti dove la grande opera è in cantiere. Un rigassificatore è un impianto che trasforma il metano liquido, trasportato in navi cisterna, in gas per poi distribuirlo attraverso condutture di rete. È un sistema che permette di ovviare all´assenza di gasdotti che colleghino i luoghi di produzione del gas naturale da quelli di utilizzo. Il problema di questi impianti non è tanto l´inquinamento, quanto l´alto rischio di gravi incidenti. Non a caso, i rigassificatori sono disciplinati attraverso la cosiddetta legge Seveso. Al di là delle tragiche evocazioni del nome, la Seveso è una direttiva europea che impone il censimento degli stabilimenti a rischio, con l'identificazione delle sostanze pericolose. Ma oltre ai rischi dell´impianto stesso, il decreto legislativo (334/99) che recepisce la direttiva comunitaria introduce anche il concetto di "effetto domino". Ovvero, se il rigassificatore venisse costruito nelle vicinanze di altri siti a rischio, anche se la sua sicurezza fosse garantita, potrebbe essere messa a repentaglio da altre cause esterne. È quanto temono gli abitanti di Taranto, un´altra delle città italiane dove il rigassificatore è in cantiere, poiché l´impianto sorgerebbe a poca distanza dall´Ilva e da uno stabilimento dell´Agip.
Il nodo della questione, insomma, è tutto qui. Se nemmeno Legambiente si dice pregiudizialmente contraria a questa nuova fonte energetica, i contro sono tutti focalizzati sul "dove" piazzarla. E sul parere della cittadinanza. Un´altra direttiva europea, la Seveso 3, rafforza il diritto dei cittadini interessati all'informazione sulle misure di sicurezza. Ma a quanto pare non tutti hanno voglia di applicarla. A Livorno, il comitato contro il rigassificatore ha denunciato la sordità dell´amministrazione, che ha ignorato le 7mila firme raccolte per la richiesta di un referendum consultivo. E se qui il caso è eclatante, ovunque i cittadini reclamano di non essere stati coinvolti.
E poi ci sono, come ovvio, gli interessi dei grandi gruppi che lavorano nel campo dell´energia. L´Eni, che dovrebbe essere la compagnia capofila delle cordate, aspira ad una distribuzione dell´energia per l´80% derivante dai rigassificatori, riuscendo così a non dipendere dai percorsi dei gasdotti e dagli scossoni politici internazionali. Una scelta che altri paesi hanno già fatto. Basti pensare che di rigassificatori in Spagna ce ne sono 12 e in Giappone 25. In Italia, attualmente ne è attivo solo uno, a Panigaglia, vicino La Spezia. Ma in cantiere ce ne sono altri 10: oltre ai già citati Brindisi e Taranto, dovrebbero vedere sorgere stabilimenti alti quanto un grattacielo di 17 piani anche Rovigo, Rosignano (LI), Grado (GO), Zaule (TS), Gioia Tauro (RC), Porto Empedocle (AG) e Priolo Gargallo (SR).
Il ministro per l´Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio rispondendo mercoledì ad un "question time" alla Camera ha ammesso la sua preoccupazione: «Non c'è dubbio che le domande per la realizzazione di rigassificatori siano superiori alla necessità reale, ma il ministero si è impegnato a valutare con rigore l´impatto ambientale per quanto riguarda i rischi». E ha aggiunto: «Faremo attenzione perché non ci siano impianti che non servano strettamente, ma garantendo nello stesso tempo che sia assicurato l'approvvigionamento energetico necessario al Paese».
Insomma, i rigassificatori servono. Anche Legambiente, in un suo comunicato, «assegna al gas il ruolo di energia fossile "di transizione" verso l'uscita dalla dipendenza dai combustibili fossili, naturalmente a valle di un forte e prioritario impegno per il miglioramento dell'efficienza energetica e per lo sviluppo delle fonti rinnovabili a cominciare dal solare e dall'eolico». Una condizione che al momento non sembra realizzarsi, se consideriamo che solo pochi giorni fa l´Unione Europea ci ha bacchettato per il nostro scarso investimento nelle fonti energetiche alternative: non solo siamo ancora lontani dall´«obiettivo vincolante» del 20% di energie rinnovabili posto dall´Ue, ma addirittura dal ´97 ad oggi abbiamo diminuito il nostro contributo dal 16% al 15,3.
Ma la battaglia in corso è soprattutto quella sulla collocazione degli impianti. Precisa ancora Legambiente: «In alcuni casi i singoli progetti risultano inaccettabili, come a Brindisi, dove il rigassificatore danneggerebbe gravemente le attività del porto turistico». O a Porto Empedocle, dove le prime case disterebbero solo 700 metri dall´impianto. O a Trieste, dove il governo sloveno ha detto di non accettare l´impatto ambientale transfrontaliero e il Wwf denuncia gravi rischi per la riserva marina del golfo del capoluogo friulano. Pecoraro Scanio dice che «l'Enel si è detta disposta a utilizzare come gas terminal le piattaforme abbandonate dell'Adriatico dove in passato si estraeva metano, che sono già allacciate ai metanodotti, e sono in mare aperto». Staremo a vedere.
L'Unità on line del 19 gennaio 2007
di Paola Zanca
La questione rigassificatori arriva in Europa. Parte da Brindisi un appello alle istituzioni dell´Ue perché «la democrazia e la legalità abbiano ragione sugli interessi privati». Il capoluogo pugliese è infatti l´emblema dello scontro in atto tra governo, istituzioni locali e interessi delle grandi compagnie su questa nuova fonte di energia che viene presentata come la panacea per tutti i mali della questione energetica in Italia. Il punto è che a Brindisi, il rigassificatore non lo vogliono. Non lo vuole l´Amministrazione comunale, non lo vuole la Provincia e non lo vuole nemmeno la Regione presieduta da Nichi Vendola. Ma nonostante tutto, i lavori sono già iniziati. «A Brindisi sta accadendo qualcosa di veramente assurdo», scrive in un comunicato il cartello di associazioni che va da Legambiente a Medicina Democratica, dalla Coldiretti all´Arci: «Come opera preparatoria, la società Brindisi LNG sta realizzando una immensa colmata in uno specchio d´acqua che l´ufficio pubblico di controllo (ARPA Puglia) ha trovato gravemente e pericolosamente inquinato». «A fronte della radicale opposizione degli enti locali, della Regione Puglia e delle popolazioni interessate – prosegue l´appello – e nonostante la decisione del Governo italiano di riaprire l´iter autorizzativo con la presa di posizione della Commissione Europea, la società costruttrice sta portando a termine i lavori della colmata con l´ostentato intento di iniziare la vera e propria costruzione dell´impianto». Della serie, "chi se ne frega".
Ma la polemica sugli impianti energetici che dovrebbero ovviare al problema del caropetrolio è viva più che mai non solo a Brindisi, ma in tutti i siti dove la grande opera è in cantiere. Un rigassificatore è un impianto che trasforma il metano liquido, trasportato in navi cisterna, in gas per poi distribuirlo attraverso condutture di rete. È un sistema che permette di ovviare all´assenza di gasdotti che colleghino i luoghi di produzione del gas naturale da quelli di utilizzo. Il problema di questi impianti non è tanto l´inquinamento, quanto l´alto rischio di gravi incidenti. Non a caso, i rigassificatori sono disciplinati attraverso la cosiddetta legge Seveso. Al di là delle tragiche evocazioni del nome, la Seveso è una direttiva europea che impone il censimento degli stabilimenti a rischio, con l'identificazione delle sostanze pericolose. Ma oltre ai rischi dell´impianto stesso, il decreto legislativo (334/99) che recepisce la direttiva comunitaria introduce anche il concetto di "effetto domino". Ovvero, se il rigassificatore venisse costruito nelle vicinanze di altri siti a rischio, anche se la sua sicurezza fosse garantita, potrebbe essere messa a repentaglio da altre cause esterne. È quanto temono gli abitanti di Taranto, un´altra delle città italiane dove il rigassificatore è in cantiere, poiché l´impianto sorgerebbe a poca distanza dall´Ilva e da uno stabilimento dell´Agip.
Il nodo della questione, insomma, è tutto qui. Se nemmeno Legambiente si dice pregiudizialmente contraria a questa nuova fonte energetica, i contro sono tutti focalizzati sul "dove" piazzarla. E sul parere della cittadinanza. Un´altra direttiva europea, la Seveso 3, rafforza il diritto dei cittadini interessati all'informazione sulle misure di sicurezza. Ma a quanto pare non tutti hanno voglia di applicarla. A Livorno, il comitato contro il rigassificatore ha denunciato la sordità dell´amministrazione, che ha ignorato le 7mila firme raccolte per la richiesta di un referendum consultivo. E se qui il caso è eclatante, ovunque i cittadini reclamano di non essere stati coinvolti.
E poi ci sono, come ovvio, gli interessi dei grandi gruppi che lavorano nel campo dell´energia. L´Eni, che dovrebbe essere la compagnia capofila delle cordate, aspira ad una distribuzione dell´energia per l´80% derivante dai rigassificatori, riuscendo così a non dipendere dai percorsi dei gasdotti e dagli scossoni politici internazionali. Una scelta che altri paesi hanno già fatto. Basti pensare che di rigassificatori in Spagna ce ne sono 12 e in Giappone 25. In Italia, attualmente ne è attivo solo uno, a Panigaglia, vicino La Spezia. Ma in cantiere ce ne sono altri 10: oltre ai già citati Brindisi e Taranto, dovrebbero vedere sorgere stabilimenti alti quanto un grattacielo di 17 piani anche Rovigo, Rosignano (LI), Grado (GO), Zaule (TS), Gioia Tauro (RC), Porto Empedocle (AG) e Priolo Gargallo (SR).
Il ministro per l´Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio rispondendo mercoledì ad un "question time" alla Camera ha ammesso la sua preoccupazione: «Non c'è dubbio che le domande per la realizzazione di rigassificatori siano superiori alla necessità reale, ma il ministero si è impegnato a valutare con rigore l´impatto ambientale per quanto riguarda i rischi». E ha aggiunto: «Faremo attenzione perché non ci siano impianti che non servano strettamente, ma garantendo nello stesso tempo che sia assicurato l'approvvigionamento energetico necessario al Paese».
Insomma, i rigassificatori servono. Anche Legambiente, in un suo comunicato, «assegna al gas il ruolo di energia fossile "di transizione" verso l'uscita dalla dipendenza dai combustibili fossili, naturalmente a valle di un forte e prioritario impegno per il miglioramento dell'efficienza energetica e per lo sviluppo delle fonti rinnovabili a cominciare dal solare e dall'eolico». Una condizione che al momento non sembra realizzarsi, se consideriamo che solo pochi giorni fa l´Unione Europea ci ha bacchettato per il nostro scarso investimento nelle fonti energetiche alternative: non solo siamo ancora lontani dall´«obiettivo vincolante» del 20% di energie rinnovabili posto dall´Ue, ma addirittura dal ´97 ad oggi abbiamo diminuito il nostro contributo dal 16% al 15,3.
Ma la battaglia in corso è soprattutto quella sulla collocazione degli impianti. Precisa ancora Legambiente: «In alcuni casi i singoli progetti risultano inaccettabili, come a Brindisi, dove il rigassificatore danneggerebbe gravemente le attività del porto turistico». O a Porto Empedocle, dove le prime case disterebbero solo 700 metri dall´impianto. O a Trieste, dove il governo sloveno ha detto di non accettare l´impatto ambientale transfrontaliero e il Wwf denuncia gravi rischi per la riserva marina del golfo del capoluogo friulano. Pecoraro Scanio dice che «l'Enel si è detta disposta a utilizzare come gas terminal le piattaforme abbandonate dell'Adriatico dove in passato si estraeva metano, che sono già allacciate ai metanodotti, e sono in mare aperto». Staremo a vedere.
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