martedì 27 novembre 2007

Il deserto avanza in Sicilia

Il deserto avanza in Sicilia
I cambiamenti climatici hanno accelerato la desertificazione dell’isola, come di altre regioni meridionali. Il 27% del territorio italiano è a rischio. L’erosione delle coste, la deforestazione e la pressione migratoria da sud. Leonardo Sciascia l'aveva immaginato in modo diverso, quel mare che raccontò «color del vino», narrando il viaggio in treno di una famiglia che attraversava la costa ionica della Sicilia. Lo scrittore di Racalmuto avrebbe dovuto aspettare mezzo secolo, e spostarsi quaranta chilometri più a sud, per vedere coi suoi occhi le onde infrangersi sul litorale, onde dall’improbabile cromatismo porporino. Non dal vino quel rossore era causato, bensì dal venefico mercurio. Tutto accadeva proprio di fronte l’agglomerato industriale di Priolo Melilli. Lì, per venti e passa anni, le industrie del petrolchimico hanno scaricato a mare rifiuti chimici e veleni, contaminando suolo, falde acquifere e litorale, causando anche notevoli danni alla catena alimentare. In quella fabbriche, almeno fino al 2005, quando proprio la procura aretusea fece partire l’inchiesta denominata «Mare rosso», si produceva cloro-soda e il mercurio finiva nelle acque di fronte. E non è un caso che proprio in quella zona, insieme ai distretti industriali di Gela e di Pace del Mela nel messinese, si registrino dei picchi nei dati di mortalità per cancro, con una media di gran lunga al di sopra della norma, per non dire delle malattie dell’apparato respiratorio e dell’incidenza della malformazioni tra i neonati. Dal mare della provincia di Siracusa alle spiagge di Gela, per scoprire una sabbia dal color bianco abbacinante. Non era un miracolo della natura, ma più prosaicamente la mano dell’uomo: solfato di calcio, ricco di isotopi radioattivi. Questa la sconcertante eppur banale risposta al luccicante candore delle coste di Gela. Oggi la Sicilia paga le colpe di un modello industriale che ha dissipato buona parte del suo patrimonio naturale. Un mix esplosivo cui vanno sommate le modificazioni climatiche e la «rivoluzione» antropica del territorio, con l’abbandono dell’agricoltura e delle aree rurali e una sempre maggiore concentrazione nelle aree urbane. Tutto questo senza mettere ancora nel conto la pressione migratoria che già si avverte sulle sponde sud della Sicilia. Entro il 2020, circa sessanta milioni di persone abbandoneranno le zone desertificate dell’Africa subsahariana per dirigersi verso l’Africa settentrionale e l’Europa. Negli anni futuri un grande movimento migratorio costante potrebbe prodursi dalle regioni del Sahel. L’onda umana si dirige verso le città costiere. Un flusso di migranti che rischia di essere amplificato dal fatto che 29 dei 36 paesi più poveri del mondo sono localizzati in questa fascia di terra, e con i due terzi della popolazione che vive in condizioni di assoluta povertà: facile preconizzare un esodo di massa. Per molti di loro, la ricerca di un futuro migliore passerà proprio dalla Sicilia. Al centro del Mediterraneo, la regione corre il rischio di essere inglobata nel processo di desertificazione che mostra già i primi segni nelle aree del Nordafrica.
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