Le quotidiane razzie dei siti archeologici iracheni
Uscirà in dicembre un rapporto sulla devastazione del patrimonio mesopotamico.
Furti su ordinazione e danni legati al conflitto hanno prodotto una situazione irreparabile
di Giuliana Sgrena
A più di tre anni di distanza dal saccheggio del museo di Baghdad la distruzione del patrimonio archeologico della Mesopotamia continua ogni giorno nei diecimila siti dispersi in tutto l'Iraq, dove i predatori, del tutto indifferenti alla salvaguardia dei reperti recuperati, mirano a rivendere il loro bottino a trafficanti privi di scrupoli. Tavolette con scritte cuneiformi vengono cedute a cinquanta dollari, afferma Joanne Farchakh, archeologa libanese da anni impegnata in Iraq, che in dicembre pubblicherà un rapporto sulla devastazione del patrimonio archelogico iracheno.Intorno a questa quotidiana razzia si è creata una vera e propria organizzazione, al punto che gli acquirenti - collezionisti privati disposti a pagare somme ingenti per arricchire le proprie preziose raccolte - forniscono indicazioni precise sui pezzi da recuperare. Quanto ai saccheggiatori, grazie a una esperienza ormai consolidata, sanno bene dove cercare, anche perché si dice che tra di loro ci siano esperti in scavi archeologici formati ai tempi di Saddam. Il raìs curava molto questi aspetti della cultura del paese e una volta (un fatto che non va comunque a suo favore) fece condannare a morte un uomo che aveva tagliato la testa a una statua. Paradossalmente, inoltre, i saccheggiatori sono protetti da gruppi armati nel corso degli scavi, mentre chi è incaricato della salvaguardia dei siti non ha i mezzi sufficienti per ricevere una adeguata protezione. Addirittura nel 2005 è accaduto che dei reperti trafugati, intercettati e diretti al museo di Baghdad, siano stati ripresi armi in pugno dai ladri che hanno preso d'assalto i camion dove i pezzi erano stati caricati uccidendone i conducenti.Una delle zone più ricche di siti è la provincia di Dhi Qar dove si trova l'antichissima Ur, il centro più importante dei sumeri, citato anche nella Bibbia come il luogo dove avrebbe dimorato Abramo. Secondo Joanne Farchakh gli ottocentoquaranta siti sumeri che si trovano nella zona di Nassiriya, capoluogo della provincia, sono stati tutti saccheggiati, nonostante il fatto che uno dei compiti dei carabinieri italiani fosse proprio la formazione di personale per proteggere i siti. Questo impegno non ha impedito che militari italiani siano stati fermati sulla strada per il Kuwait in possesso di reperti. Nel nostro paese, del resto, sono stati individuati trecento pezzi rubati al museo di Baghdad.Per pattugliare i siti di Nassiriya lo scorso anno sono stati reclutati sul posto duecento ufficiali di polizia ma, come ha dichiarato all'«Independent» Abdulamir Hamdani, direttore delle antichità della provincia, l'equipaggiamento resta largamente insufficiente. «Abbiamo solo otto macchine, alcuni fucili e poche radio trasmittenti per un'area che conta oltre ottocento siti» ha detto Hamdani, che oltre tutto è stato incarcerato per tre mesi per aver cercato di impedire l'acquisto di una zona archeologica da parte di un fabbricante intenzionato a utilizzare i vecchi mattoni sumeri per costruirne di nuovi da vendere sul mercato. Attualmente il progetto è congelato ma casi analoghi si registrano in altre zone.A mettere a rischio quel che resta di una civiltà antichissima, però, sono anche le truppe di occupazione che, oltre a non proteggere adeguatamente gli scavi e ad avere permesso che il museo di Baghdad fosse saccheggiato (sono più di seicento i reperti trafugati rinvenuti negli Stati Uniti), usano i siti più preziosi come basi militari. Così succede a Ur, dove le ultramillenarie pareti si stanno crepando per il continuo passaggio dei carri armati. E quando Abbas Hussaini, responsabile del patrimonio artistico dell'Iraq, ha cercato di ispezionare il sito (al cui interno è in via di costruzione anche una casamatta), gli americani gli hanno rifiutato il permesso.Nella leggendaria Babilonia, città di Nabucodonosor, invece, gli americani hanno costruito un accampamento per duemila soldati. La pavimentazione dell'entrata alla famosa porta di Ishtar (la stessa dove duemilacinquecento anni fa si svolgevano le processioni) è stata mandata in frantumi dai tanks e sulle macerie è stata costruita una pista per elicotteri, mentre nell'antico caravanserraglio di Khan al Raba gli americani facevano esplodere le armi sequestrate agli insorti.Il danno prodotto a Babilonia è «irreparabile», sostiene l'archeologa Zainab Bahrani. «È come se i siti archeologici fossero continuamente scossi da un terremoto» le fa eco Joanne Farchakh. Ancora una volta l'operato delle truppe di occupazione è in aperta violazione della Convenzione di Ginevra, secondo cui l'esercito deve «utilizzare tutti i mezzi in suo potere» per proteggere il patrimonio culturale del paese occupato. Ma il diritto internazionale non è compatibile con la guerra preventiva.Privi di mezzi, i millequattrocento funzionari iracheni addetti alla protezione dei diecimila siti sono anche senza stipendio, perché il bilancio dello Sbah (la Direzione per le antichità e il patrimonio) si è andato via via assottigliando, così come i finanziamenti stranieri ai progetti. La denuncia è stata compiuta da Donny George Youkhanna presidente dello Sbah, ex direttore generale dei musei e del museo di Baghdad, prima di abbandonare l'Iraq, il 6 agosto del 2006. Si è chiusa così la sua lunga carriera che, iniziata nel 1976, ha visto lo studioso partecipare a importanti ricerche archeologiche e più recentemente al recupero di pezzi rubati. Pare che Donny George abbia ricevuto minacce (sicuramente ne ha ricevute il figlio), ma il problema principale è legato ai suoi cattivi rapporti con il governo: non solo perché l'archeologo è cristiano e ex baathista, ma perché gli islamisti al potere non sono interessati all'arte preislamica, quella che maggiormente interessa gli studiosi. C'è chi insinua che i radicali islamici siano poco sensibili all'arte tout court, visto che nelle battaglie tra le fazioni irachene vengono distrutte moschee di notevole importanza storica e culturale oltre che religiosa.Quando Donny George, un personaggio molto famoso, conosciuto dagli archeologi di tutto il mondo e da tutti coloro che passavano per Baghdad, ha lasciato il suo paese, il ministro del turismo e dell'archeologia era Liwa Sumaysim, del movimento di Muqtada al Sadr, di professione dentista. Prima di partire, comunque, Donny George ha murato le porte del museo di Baghdad proteggendole con sacchetti di sabbia: una precauzione necessaria, visto che il museo si trova in una zona, vicino ad Haifa street, spesso al centro di violenti scontri e dove hanno avuto luogo anche numerosi rapimenti. Il museo era stato temporaneamente riaperto per presentare il restauro del vaso di Warda, uno dei reperti sumeri più preziosi, in precedenza rubato e ridotto in pezzi.Meno drammatica invece la situazione dell'arte islamica: i siti infatti non vengono presi di mira, non perché siano più protetti degli altri, ma perché sul mercato i reperti preislamici sono molto più ricercati.
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