Uranio killer È guerra sui numeri
La Stampa del 10 ottobre 2007, pag. 17
di Vincenzo Tessandori
I numeri, ha detto qualcuno, sono la cosa più elastica del mondo. Provare per credere. Quello tragico dei contaminati per l'uranio impoverito, fra i nostri militari impegnati in missioni nei Balcani, in Afghanistan e in Libano, secondo quanto ha ieri riferito Arturo Parisi, ministro della difesa, alla commissione d'inchiesta del senato, «nel periodo 1996-2006 è in totale di 255, di questi 37 sono morti». Divisi per arma, 161 appartenenti all'Esercito, 47 alla Marina, 26 all'Aeronautica e 21 ai carabinieri.
Numeri, dunque, numeri per lo più «incompleti e al ribasso» tuona Falco Accame, presidente dell'Anavafaf, un'associazione che assiste i familiari delle vittime arruolate nelle Forze armate. Lui parla di un elenco secondo cui i morti sarebbero oltre 170 e i malati 2.000. «È una truffa totale. Secondo il ministro ì militari impegnati in missioni internazionali deceduti di tumore sarebbero 37; la nostra associazione ne ha elencati 50. I dati sono su Internet e nessuno li ha mai smentiti». Infine, ha proseguito Accame, «il ministro ha taciuto che gli Usa hanno adottato le norme di protezione fin dal 1993 in Somalia; noi le abbiamo solo sei anni dopo, il 22 novembre '99».
«La cifra citata dal ministro è preoccupante ma il dubbio è che non sia completa», osserva Tana de Zulueta, deputata dei Verdi. «Temo infatti che, comunicando il numero di militari ammalati e deceduti, abbia fatto riferimento ai soli militari in servizio e che non abbia tenuto conto dei veterani e dì coloro che sono stati riformati dopo aver contratto la malattia. Credo sia opportuno fare chiarezza sui criteri utilizzati dal ministero per la raccolta dei dati vista anche l'enorme discrepanza con quelli forniti dalle associazioni dei familiari delle vittime». «Siamo allibiti», ribatte Domenico Leggiero, ex maresciallo pilota, consulente della commissione, e responsabile del comparto difesa dell'Osservatorio Militare. «Lo siamo perché abbiamo in mano un documento dello Stato Maggiore della Difesa, Sanità militare, nel quale si parla di 2.536 casi su 76.900 militari impiegati nei Balcani e, di questi, 164 sono morti, ultimo, il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Bongiovanni, della provincia di Siracusa: aveva 43 anni e lascia tre figli. È morto quattro giorni fa, ieri il funerale. Quello cui abbiamo assistito più che un atto politico è stato un ennesimo attacco alla credibilità della politica». Per fortuna, osserva Leggiero, c'è quel «passaggio importante, quando lui dice di voler far convergere al ministero tutti i dati relativi al problema. Se riesce a toglierli di mani ai militari, forse sarà piegata anche la resistenza alla verità».
E un rischio rimane sospeso in aria, aggiunge: «Se si salda la causa uranio impoverito con l'effetto morte, c'è da aspettarsi una valanga di richieste d'indennizzo da parte delle popolazioni civili di Bosnia, Kosovo e Serbia bombardate dalla Nato». Anche qui, davanti alla commissione, Parisi ha fatto una distinzione: «L'Italia non ha mai usato munizionamento all'uranio impoverito, né risulta che questo tipo di munizioni sia stato usato nei poligoni italiani da altri, a meno di dichiarazioni mendaci». Il che non sposta di molto i termini della questione perché se erano gli alleati americani, inglesi e francesi a farne uso, le conseguenza non potevano che ricadere sulle spalle di tutti.
Ad ogni buon conto, assicura il ministro, oggi nell'impiego di militari in «zone critiche», viene applicata «ogni misura precauzionale». Ed è falso che si tenti di nascondere la realtà. «La Difesa non intende in alcun modo sottovalutare il fenomeno e tantomeno dissimularlo». Verrà fatta anche un'indagine sull'aereo Usa che, nel 1998, avrebbe sganciato nel lago di Garda materiali contenenti uranio impoverito. Infine, lo Stato risarcirà le vittime del dovere, compresi i militari contaminati da uranio impoverito, con 170 milioni. Ma sì, sono proprio la cosa più elastica del mondo, i numeri.
La Stampa del 10 ottobre 2007, pag. 17
di Vincenzo Tessandori
I numeri, ha detto qualcuno, sono la cosa più elastica del mondo. Provare per credere. Quello tragico dei contaminati per l'uranio impoverito, fra i nostri militari impegnati in missioni nei Balcani, in Afghanistan e in Libano, secondo quanto ha ieri riferito Arturo Parisi, ministro della difesa, alla commissione d'inchiesta del senato, «nel periodo 1996-2006 è in totale di 255, di questi 37 sono morti». Divisi per arma, 161 appartenenti all'Esercito, 47 alla Marina, 26 all'Aeronautica e 21 ai carabinieri.
Numeri, dunque, numeri per lo più «incompleti e al ribasso» tuona Falco Accame, presidente dell'Anavafaf, un'associazione che assiste i familiari delle vittime arruolate nelle Forze armate. Lui parla di un elenco secondo cui i morti sarebbero oltre 170 e i malati 2.000. «È una truffa totale. Secondo il ministro ì militari impegnati in missioni internazionali deceduti di tumore sarebbero 37; la nostra associazione ne ha elencati 50. I dati sono su Internet e nessuno li ha mai smentiti». Infine, ha proseguito Accame, «il ministro ha taciuto che gli Usa hanno adottato le norme di protezione fin dal 1993 in Somalia; noi le abbiamo solo sei anni dopo, il 22 novembre '99».
«La cifra citata dal ministro è preoccupante ma il dubbio è che non sia completa», osserva Tana de Zulueta, deputata dei Verdi. «Temo infatti che, comunicando il numero di militari ammalati e deceduti, abbia fatto riferimento ai soli militari in servizio e che non abbia tenuto conto dei veterani e dì coloro che sono stati riformati dopo aver contratto la malattia. Credo sia opportuno fare chiarezza sui criteri utilizzati dal ministero per la raccolta dei dati vista anche l'enorme discrepanza con quelli forniti dalle associazioni dei familiari delle vittime». «Siamo allibiti», ribatte Domenico Leggiero, ex maresciallo pilota, consulente della commissione, e responsabile del comparto difesa dell'Osservatorio Militare. «Lo siamo perché abbiamo in mano un documento dello Stato Maggiore della Difesa, Sanità militare, nel quale si parla di 2.536 casi su 76.900 militari impiegati nei Balcani e, di questi, 164 sono morti, ultimo, il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Bongiovanni, della provincia di Siracusa: aveva 43 anni e lascia tre figli. È morto quattro giorni fa, ieri il funerale. Quello cui abbiamo assistito più che un atto politico è stato un ennesimo attacco alla credibilità della politica». Per fortuna, osserva Leggiero, c'è quel «passaggio importante, quando lui dice di voler far convergere al ministero tutti i dati relativi al problema. Se riesce a toglierli di mani ai militari, forse sarà piegata anche la resistenza alla verità».
E un rischio rimane sospeso in aria, aggiunge: «Se si salda la causa uranio impoverito con l'effetto morte, c'è da aspettarsi una valanga di richieste d'indennizzo da parte delle popolazioni civili di Bosnia, Kosovo e Serbia bombardate dalla Nato». Anche qui, davanti alla commissione, Parisi ha fatto una distinzione: «L'Italia non ha mai usato munizionamento all'uranio impoverito, né risulta che questo tipo di munizioni sia stato usato nei poligoni italiani da altri, a meno di dichiarazioni mendaci». Il che non sposta di molto i termini della questione perché se erano gli alleati americani, inglesi e francesi a farne uso, le conseguenza non potevano che ricadere sulle spalle di tutti.
Ad ogni buon conto, assicura il ministro, oggi nell'impiego di militari in «zone critiche», viene applicata «ogni misura precauzionale». Ed è falso che si tenti di nascondere la realtà. «La Difesa non intende in alcun modo sottovalutare il fenomeno e tantomeno dissimularlo». Verrà fatta anche un'indagine sull'aereo Usa che, nel 1998, avrebbe sganciato nel lago di Garda materiali contenenti uranio impoverito. Infine, lo Stato risarcirà le vittime del dovere, compresi i militari contaminati da uranio impoverito, con 170 milioni. Ma sì, sono proprio la cosa più elastica del mondo, i numeri.
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