Corriere della Sera Salute 27.1.08
Psichiatria. Una ricerca americana ha scoperto che molti studi «negativi» non sono divulgati
Antidepressivi. Aumentano i consumi: ma si discute la loro reale efficacia
Pillole in depressione
di Franca Porciani
Dubbi sui farmaci antidepressivi più recenti: l'efficacia è controversa Mentre il loro consumo aumenta
La spesa lorda a carico del SSN per gli antidepressivi (gennaio-setembre 2007) è stata di 348 milioni di euro. Di questi, per gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) sono stati spesi 218 milioni di euro
La prescrizione di antidepressivi a carico del SSN rispetto all’anno precedente è aumentata del 17,1%
Una ricerca ha valutato tutti gli studi presentati all'Fda: scoprendo che vengono pubblicati solo quelli «positivi»
Gli italiani annegano nella depressione? Il recente sondaggio del New York Times
ci ha delineato come un popolo «triste», ma la quantità di antidepressivi che ingurgitiamo a carico del servizio sanitario, per una spesa lorda, nei primi nove mesi del 2007, di 348 milioni di euro (più quelli che paghiamo di tasca nostra), non tira su la nostra immagine.
E se questa montagna di pillole anti-infelicità fosse (quasi) inutile? Getta il sasso nello stagno uno studio appena pubblicato dalla rivista statunitense
New England Journal of Medicine. Il sasso, più che un sasso un macigno, è la «scoperta» che buona parte degli studi con esito negativo condotti su questi preparati sono «scomparsi» nel nulla.
O meglio, sono rimasti nei «cassetti» della Food and Drug Administration, l'ente federale americano che autorizza la messa in commercio dei medicinali: le ditte produttrici non hanno voluto pubblicarli sulle riviste scientifiche, o, talvolta, sono state queste ultime ad opporre un «pilotato» rifiuto a darli alle stampe.
In realtà il registro delle sperimentazioni dei farmaci sui pazienti dell'agenzia statunitense è accessibile a tutti dal 1996, ma l'enorme data- base risulta incomprensibile perfino agli addetti ai lavori per la sua complessità. Perché occultare queste ricerche? Perché danno risultati insoddisfacenti. Autore della scoperta, l'équipe guidata da Erick Turner, farmacologo e psichiatra dell'università dell'Oregon che ha spulciato questi archivi con pazienza certosina per 12 antidepressivi di nuova generazione, quelli approvati dalla Fda dal 1987 al 2004.
Sono farmaci che inibiscono il riassorbimento della serotonina (la maggiore disponibilità di questo mediatore a livello delle sinapsi fra i neuroni dovrebbe «tirar su» l'umore nero). Facciamo i nomi? Fra questi la fluoxetina (più nota come Prozac), la paroxetina, la duloxetina, il bupropione, la sertralina.
In sintesi, dei 74 studi scovati dal data-base per i 12 preparati, 38 ne dimostrano l'efficacia e tutti, tranne uno, sono stati pubblicati; 36 arrivano a conclusioni opposte e soltanto 3 hanno visto la luce. Come se non bastasse, 11 sono stati «riscritti» in termini più rosei e sono usciti come tali sui giornali scientifici, senza cenno al parere negativo della Fda. «Quel che conta è la sovrastima di efficacia che queste omissioni comportano, un bel 30 per cento — commenta Corrado Barbui, psichiatra dell'università di Verona che da anni partecipa alla revisione degli studi clinici —. Non è un dato da poco. In sostanza, noi psichiatri stiamo prescrivendo farmaci i cui effetti sono stati "gonfiati"».
«Certi condizionamenti industriali sono pesanti ed è giusto che vengano denunciati — commenta Giovanni Biggio, che tra pochi mesi diventerà presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia —. Ma da qui a dire che gli antidepressivi non funzionano, il passo è lungo. Esistono studi che dimostrano la loro efficacia finanziati interamente dal National Institute of Mental Health, l'ente governativo americano per la salute mentale».
Indiscutibile. Precisa, però, Barbui: «Le revisioni che hanno confrontato l'effetto di questi farmaci su forme depressive di media gravità con quello del placebo, ovvero di una pillola "vuota" rivelano, già prima di questa scoperta del New England, un'efficacia modesta. In pratica, col farmaco stanno meglio 60 pazienti su 100, col placebo 50 su 100. L'effetto è scarso, ma, attenzione, non irrilevante: siamo di fronte a malati gravi. Bisogna anche ricordare che gli antidepressivi più recenti, quelli presi in esame dallo studio americano, hanno comunque effetti collaterali, irritabilità, diminuzione del desiderio sessuale, calo dell'appetito».
Se la questione aperta dal New England è spinosa e farà discutere a lungo, resta certo che gli antidepressivi vengono dati anche a chi depresso non è, ma soffre d'altro, di ansia o di attacchi di panico. Fenomeno che ne spiega il consumo smodato e in continuo aumento: il 17 per cento in più in Italia, da gennaio a settembre 2007, rispetto all'anno precedente.
Ricerche e trasparenza. Ma in Europa resta tutto segreto
In Europa l'ente regolatorio che autorizza la messa in commercio dei farmaci e ne sorveglia eventuali effetti negativi è l'Emea ( European Medicines Agency), agenzia nata nel 1995 che ha sede a Londra. Esiste anche all'Emea un registro degli studi realizzati sui farmaci messi in commercio? Risponde Vittorio Bertelè, a capo del laboratorio di politiche regolatorie dell'Istituto Mario Negri di Milano: «Purtroppo no. I dossier che le ditte farmaceutiche consegnano all'agenzia per l'autorizzazione alla messa sul mercato dei medicinali sono riservati.
La motivazione è la protezione del brevetto che oltre al processo di produzione di quella sostanza si estende, ingiustificatamente, anche agli studi clinici, quelli sui pazienti. Questo stato di cose non è casuale: deriva dal fatto, più volte contestato ma per ora irrisolto, che l'Emea è finanziata per due terzi dall'industria e per un terzo dai governi degli Stati membri.
Gioca anche un altro fattore: mentre l'ente regolatorio statunitense, la Food and Drug Administration, è una struttura forte, centralizzata, l'Emea è per ora solo l'emanazione delle varie agenzie nazionali, che hanno molto più potere». Ma i farmaci che vengono approvati in Europa sono al 99 per cento gli stessi che sono stati autorizzati negli Stati Uniti, magari qualche mese prima. Non c'è contraddizione fra un registro aperto a tutti di là dall'oceano e la totale riservatezza dall'altra sponda dell'Atlantico? «È vero — risponde ancora l'esperto —. Ma pur paradossale, questa è oggi la situazione».
Psichiatria. Una ricerca americana ha scoperto che molti studi «negativi» non sono divulgati
Antidepressivi. Aumentano i consumi: ma si discute la loro reale efficacia
Pillole in depressione
di Franca Porciani
Dubbi sui farmaci antidepressivi più recenti: l'efficacia è controversa Mentre il loro consumo aumenta
La spesa lorda a carico del SSN per gli antidepressivi (gennaio-setembre 2007) è stata di 348 milioni di euro. Di questi, per gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) sono stati spesi 218 milioni di euro
La prescrizione di antidepressivi a carico del SSN rispetto all’anno precedente è aumentata del 17,1%
Una ricerca ha valutato tutti gli studi presentati all'Fda: scoprendo che vengono pubblicati solo quelli «positivi»
Gli italiani annegano nella depressione? Il recente sondaggio del New York Times
ci ha delineato come un popolo «triste», ma la quantità di antidepressivi che ingurgitiamo a carico del servizio sanitario, per una spesa lorda, nei primi nove mesi del 2007, di 348 milioni di euro (più quelli che paghiamo di tasca nostra), non tira su la nostra immagine.
E se questa montagna di pillole anti-infelicità fosse (quasi) inutile? Getta il sasso nello stagno uno studio appena pubblicato dalla rivista statunitense
New England Journal of Medicine. Il sasso, più che un sasso un macigno, è la «scoperta» che buona parte degli studi con esito negativo condotti su questi preparati sono «scomparsi» nel nulla.
O meglio, sono rimasti nei «cassetti» della Food and Drug Administration, l'ente federale americano che autorizza la messa in commercio dei medicinali: le ditte produttrici non hanno voluto pubblicarli sulle riviste scientifiche, o, talvolta, sono state queste ultime ad opporre un «pilotato» rifiuto a darli alle stampe.
In realtà il registro delle sperimentazioni dei farmaci sui pazienti dell'agenzia statunitense è accessibile a tutti dal 1996, ma l'enorme data- base risulta incomprensibile perfino agli addetti ai lavori per la sua complessità. Perché occultare queste ricerche? Perché danno risultati insoddisfacenti. Autore della scoperta, l'équipe guidata da Erick Turner, farmacologo e psichiatra dell'università dell'Oregon che ha spulciato questi archivi con pazienza certosina per 12 antidepressivi di nuova generazione, quelli approvati dalla Fda dal 1987 al 2004.
Sono farmaci che inibiscono il riassorbimento della serotonina (la maggiore disponibilità di questo mediatore a livello delle sinapsi fra i neuroni dovrebbe «tirar su» l'umore nero). Facciamo i nomi? Fra questi la fluoxetina (più nota come Prozac), la paroxetina, la duloxetina, il bupropione, la sertralina.
In sintesi, dei 74 studi scovati dal data-base per i 12 preparati, 38 ne dimostrano l'efficacia e tutti, tranne uno, sono stati pubblicati; 36 arrivano a conclusioni opposte e soltanto 3 hanno visto la luce. Come se non bastasse, 11 sono stati «riscritti» in termini più rosei e sono usciti come tali sui giornali scientifici, senza cenno al parere negativo della Fda. «Quel che conta è la sovrastima di efficacia che queste omissioni comportano, un bel 30 per cento — commenta Corrado Barbui, psichiatra dell'università di Verona che da anni partecipa alla revisione degli studi clinici —. Non è un dato da poco. In sostanza, noi psichiatri stiamo prescrivendo farmaci i cui effetti sono stati "gonfiati"».
«Certi condizionamenti industriali sono pesanti ed è giusto che vengano denunciati — commenta Giovanni Biggio, che tra pochi mesi diventerà presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia —. Ma da qui a dire che gli antidepressivi non funzionano, il passo è lungo. Esistono studi che dimostrano la loro efficacia finanziati interamente dal National Institute of Mental Health, l'ente governativo americano per la salute mentale».
Indiscutibile. Precisa, però, Barbui: «Le revisioni che hanno confrontato l'effetto di questi farmaci su forme depressive di media gravità con quello del placebo, ovvero di una pillola "vuota" rivelano, già prima di questa scoperta del New England, un'efficacia modesta. In pratica, col farmaco stanno meglio 60 pazienti su 100, col placebo 50 su 100. L'effetto è scarso, ma, attenzione, non irrilevante: siamo di fronte a malati gravi. Bisogna anche ricordare che gli antidepressivi più recenti, quelli presi in esame dallo studio americano, hanno comunque effetti collaterali, irritabilità, diminuzione del desiderio sessuale, calo dell'appetito».
Se la questione aperta dal New England è spinosa e farà discutere a lungo, resta certo che gli antidepressivi vengono dati anche a chi depresso non è, ma soffre d'altro, di ansia o di attacchi di panico. Fenomeno che ne spiega il consumo smodato e in continuo aumento: il 17 per cento in più in Italia, da gennaio a settembre 2007, rispetto all'anno precedente.
Ricerche e trasparenza. Ma in Europa resta tutto segreto
In Europa l'ente regolatorio che autorizza la messa in commercio dei farmaci e ne sorveglia eventuali effetti negativi è l'Emea ( European Medicines Agency), agenzia nata nel 1995 che ha sede a Londra. Esiste anche all'Emea un registro degli studi realizzati sui farmaci messi in commercio? Risponde Vittorio Bertelè, a capo del laboratorio di politiche regolatorie dell'Istituto Mario Negri di Milano: «Purtroppo no. I dossier che le ditte farmaceutiche consegnano all'agenzia per l'autorizzazione alla messa sul mercato dei medicinali sono riservati.
La motivazione è la protezione del brevetto che oltre al processo di produzione di quella sostanza si estende, ingiustificatamente, anche agli studi clinici, quelli sui pazienti. Questo stato di cose non è casuale: deriva dal fatto, più volte contestato ma per ora irrisolto, che l'Emea è finanziata per due terzi dall'industria e per un terzo dai governi degli Stati membri.
Gioca anche un altro fattore: mentre l'ente regolatorio statunitense, la Food and Drug Administration, è una struttura forte, centralizzata, l'Emea è per ora solo l'emanazione delle varie agenzie nazionali, che hanno molto più potere». Ma i farmaci che vengono approvati in Europa sono al 99 per cento gli stessi che sono stati autorizzati negli Stati Uniti, magari qualche mese prima. Non c'è contraddizione fra un registro aperto a tutti di là dall'oceano e la totale riservatezza dall'altra sponda dell'Atlantico? «È vero — risponde ancora l'esperto —. Ma pur paradossale, questa è oggi la situazione».
Nessun commento:
Posta un commento