lunedì 21 gennaio 2008

La Cina teme il contagio Usa "La crisi colpirà anche noi"

La Repubblica 21.1.08
La Cina teme il contagio Usa "La crisi colpirà anche noi"
L'economista He Fan: il caro petrolio frena l'export
di Federico Rampini

La rivalutazione monetaria. Sull´orlo della recessione
La risposta giusta per contenere l´inflazione è una stretta monetaria più severa e una più veloce rivalutazione della nostra moneta

Direttore del prestigioso Istituto di economia e politica internazionale presso l´Accademia delle scienze sociali di Pechino, il professor He Fan è uno dei più autorevoli economisti della Repubblica popolare. E´ anche uno dei più spregiudicati: parla senza tabù dei pericoli della crisi americana, denuncia l´effetto destabilizzante dell´inflazione sul consenso sociale in Cina, invoca una rivalutazione del renminbi, e ammonisce l´Europa a prendere atto che l´ascesa della Cina come superpotenza è ineluttabile.
Come andrà la crescita cinese nel 2008? Resisterete al contagio americano e sostituirete gli Stati Uniti nel ruolo di locomotiva mondiale? Oppure la vostra dipendenza dalle esportazioni vi rende vulnerabili?
«La Cina manterrà una crescita robusta ma meno vigorosa dell´anno scorso. Nel 2007 il Pil è aumentato dell´11,6% secondo i dati ufficiali, e forse di più nella realtà. Nel 2008 scommetterei su un risultato fra il 10% e il 10,5%. Di recente si è fatta strada l´idea che la Cina e altre economie asiatiche possano sganciarsi dall´andamento dell´economia americana. E´ vero che negli ultimi anni la crescita Usa non è stata brillante e invece quella cinese è stata formidabile. Ma io escludo che la Cina possa isolarsi del tutto da un contagio americano. Il nostro meccanismo di sviluppo è intimamente collegato alla globalizzazione. Nessuna economia è un´isola e noi non facciamo eccezione. Le esportazioni contribuiscono per un terzo alla crescita del Pil cinese. Se c´è una grave recessione negli Stati Uniti, la Cina soffrirà parecchio. Anche se il rallentamento americano dovesse essere "soft" io prevedo che le nostre esportazioni diminuiranno. Vi contribuiscono dei fattori interni: sta aumentando il nostro costo del lavoro, insieme con i costi dell´energia e delle materie prime che dobbiamo importare. Inoltre il governo cinese investe di più nella protezione dell´ambiente e anche questo ha dei costi. Infine sono convinto che è in arrivo un´ondata protezionista contro di noi».
Quanto è serio per voi il problema dell´inflazione? Il potere d´acquisto del lavoratore cinese perde quota?
«Il rincaro dei prezzi è il problema numero uno per il governo cinese in questo momento. Per molti anni l´inflazione era rimasta sotto controllo. Dal 2006 e soprattutto nel 2007 è ripartita al rialzo. L´effetto più grave è che si allarga ulteriormente il divario tra i ricchi e i poveri. Chi ha solo il salario per vivere sarà più colpito. La maggioranza della popolazione soffre per il carovita nei beni alimentari e nell´energia. La storia ci insegna che l´inflazione può minacciare la stabilità sociale. L´ultimo esempio fu alla fine degli anni 80: una delle cause dei disordini di Piazza Tienanmen fu l´inflazione a due cifre che imperversava a quell´epoca. Perciò il governo è molto preoccupato. Un altro timore: l´inflazione alimenta la bolla speculativa del mercato immobiliare che prima o poi scoppierà provocando a sua volta tensioni sociali. Alcune categorie di lavoratori sono relativamente protette grazie ai recenti aumenti salariali ma questo a sua volta può accelerare l´inflazione. La risposta giusta secondo me è una stretta monetaria più severa, e una più veloce rivalutazione della nostra moneta, il renmimbi».
Questa è "musica" per le orecchie occidentali. Americani ed europei chiedono da tempo che il renmimbi diventi più forte. Perché lei è favorevole?
«Una delle cause dell´inflazione è che importiamo petrolio e materie prime i cui prezzi in dollari sono rincarati vertiginosamente. Se il renmimbi si apprezza pagheremo meno le importazioni e la pressione sul costo della vita verrà calmierata. Credo che il governo sia più aperto oggi su questo terreno. In passato i dirigenti cinesi temevano che una moneta più forte avrebbe penalizzato le nostre esportazioni creando disoccupazione. Ma dalla fine del 2005 alla fine del 2007 si è lasciato che il renmimbi si apprezzasse lentamente sul dollaro, circa del 10%, eppure il nostro attivo commerciale con gli Stati Uniti è aumentato. Ho fatto ricerche mirate sui settori industriali esportatori in regioni come il Guangdong, arrivando alla conclusione che anche se dovessero fallire alcune piccole e medie aziende esportatrici non vi saranno effetti consistenti sulla disoccupazione. In quelle aree ormai ci sono fenomeni di penuria di manodopera e i lavoratori licenziati troverebbero facilmente un posto. Credo che nei prossimi tre anni vedrete una rivalutazione del renmimbi molto più pronunciata».
Cosa vuol dire per noi? Diminuirà l´invasione del made in China sui mercati europei?
«Non fatevi illusioni, non sarà il renminbi più forte a correggere gli squilibri commerciali. Le esportazioni cinesi non sono molto sensibili al tasso di cambio. Perfino se rivalutassimo il renminbi del 20% o addirittura del 50% continueremmo ad avere un attivo commerciale. La ragione va cercata nei cambiamenti strutturali dell´economia mondiale e del commercio fra nazioni. Non bisogna ragionare secondo i vecchi schemi per cui noi ci specializzavamo nei prodotti ad alta intensità di lavoro come le scarpe e i vestiti, e in cambio importavamo alta tecnologia come gli Airbus. Il vero carattere distintivo della globalizzazione è l´immensa dimensione della delocalizzazione e dell´outsourcing in ogni settore industriale. Le multinazionali europee e americane devono reagire alla concorrenza riducendo i costi e quindi spostano continuamente interi processi produttivi in Cina e in altri paesi emergenti. Gran parte delle nostre esportazioni fanno parte di questo fenomeno: importiamo materie prime e semilavorati, li trasformiamo, creiamo valore aggiunto e riesportiamo, spesso per conto di multinazionali occidentali. Per quanto si rivaluti la nostra moneta, molte produzioni di computer o di scarpe non torneranno mai più in Europa. Una rivalutazione del renmimbi spingerà le nostre imprese a diventare più efficienti com´è accaduto in Giappone. Rispetto agli anni 70 lo yen giapponese si è rivalutato eppure il Giappone continua ad avere un grosso attivo commerciale con l´Occidente».
Gli europei sono angosciati dall´effetto dello sviluppo cinese sull´ambiente. State cercando seriamente di ridurre le emissioni carboniche?
«Cominciamo a vedere i primi effetti delle misure in favore dell´ambiente. Nelle mie indagini più recenti nella provincia industrializzata del Guangdong ho individuato molte piccole aziende che sono state costrette a chiudere per via delle nuove normative contro l´inquinamento. Stiamo anche introducendo incentivi di mercato che rendano redditizio tagliare le emissioni carboniche per vendere i propri diritti sul mercato, secondo il modello di Kyoto. L´Europa può aiutarci accelerando il trasferimento di tecnologie "verdi". E´ nel vostro interesse ed è anche una grande opportunità di mercato».
Di fronte all´ascesa della Cina come superpotenza ci interroghiamo: in che modo segnerà il XXI secolo? Quale sarà l´impronta cinese sul nuovo ordine mondiale?
«E´ evidente che eserciteremo un ruolo sempre più decisivo non solo nell´economia globale ma anche sulla scena politica. Io non credo che saremo una forza destabilizzante, al contrario. Siamo talmente interessati al buon funzionamento dell´economia globale, che c´è un´evidente convergenza d´interessi con gli Stati Uniti. Guardate com´è cambiata negli ultimi anni la percezione che i nostri vicini asiatici avevano di noi: ancora dieci anni fa i paesi confinanti vedevano la Cina come una minaccia, oggi hanno cambiato completamente parere. Vedo semmai più occasioni di tensione con l´Europa, dove alcune nazioni meno sviluppate si sentono più direttamente minacciate dalle esportazioni cinesi. Se si aggiunge il fatto che avete economie e mercati del lavoro meno flessibili degli Stati Uniti, è in Europa che vedo venire più tensioni protezionistiche. Ma dovete essere consapevoli che l´ascesa della Cina è inesorabile. E´ urgente costruire nuove istituzioni per il dialogo e la governance globale: quelle esistenti come il G8 o il Wto non sono riuscite a integrare in modo soddisfacente il nuovo peso politico delle nazioni emergenti».

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