Repubblica 8.1.07
Il business della salute
Per promuovere i loro prodotti le case farmaceutiche Usa spendono il doppio rispetto alla ricerca. Così il marketing persuade i medici
di Elena Dusi
Campioni omaggio, regali, convegni in località esotiche. Per pubblicizzare un prodotto e spingere i medici a prescriverlo le aziende spendono il doppio di quanto non costi produrlo e testarlo. E´ la conclusione cui è arrivato uno studio dell´università di Montreal. Un conflitto di interessi che pregiudica la scoperta di nuove medicine. E la nostra salute
Negli Stati Uniti le industrie di Big Pharma per ogni camice bianco spendono 40mila euro all´anno in autopromozioni
L´associazione americana degli studenti di medicina ha proposto di integrare il giuramento di Ippocrate: «Prenderò le mie decisioni libero dall´influenza della pubblicità. Non accetterò denaro, regali od ospitalità che mi mettano in conflitto di interessi con la professione». Negli Usa, che da soli ingoiano la metà delle pillole del mondo, le industrie farmaceutiche spendono per ogni camice bianco l´equivalente di 40mila euro in marketing. Fra i mezzi di pressione più usati: visite dei rappresentanti farmaceutici, campioni omaggio di farmaci, regali, inviti ai congressi. Ma nel bouquet del dirigente di marketing non mancano i finanziamenti alle società scientifiche (che raccolgono tutti gli specialisti di una disciplina), l´accordo con i medici affinché conducano nuovi esperimenti su un farmaco per allargarne il raggio di prescrizione o l´acquisto di pubblicità sulle riviste di settore. Si arriva così all´assurdo: per pubblicizzare un farmaco si spende il doppio di quanto non costi produrlo e testarlo.
Il dato arriva da uno studio di due docenti dell´università del Québec di Montreal, Marc-André Gagnon e Joel Lexchin. «Le industrie farmaceutiche statunitensi nel 2004 hanno speso 57,5 miliardi di dollari per la promozione dei loro medicinali, contro i 31,5 miliardi spesi per ricerca e sviluppo di nuovi prodotti» scrivono sulla rivista Public Library of Science Medicine.
In euro la cifra si traduce in 39 miliardi contro 21,4 ed è indice di cattiva salute per due ragioni: da un lato il piatto della bilancia della pubblicità è sempre più pesante (la spesa secondo Gagnon e Lexchin cresce di un miliardo di dollari all´anno); dall´altro la ricerca di nuovi medicinali gira a vuoto o quasi. Il 90% dei profitti delle case farmaceutiche arrivano da prodotti vecchi, in commercio da più di 5 anni. Quasi la metà delle pillole "blockbuster" (campioni di vendite) entro il 2009 non darà più profitto perché i brevetti sono in scadenza. E il mancato guadagno per le aziende toccherà i 106 miliardi di euro l´anno. «In psichiatria è dai tempi del Prozac che non abbiamo novità di rilievo. Si conducono sperimentazioni sempre più complesse e costose per affinare la conoscenza dei farmaci tradizionali, ma di veri progressi neanche l´ombra» spiega Giovanni Battista Cassano dell´università di Pisa. Se una gamba zoppica (l´innovazione), la reazione delle case farmaceutiche sembra essere quella di rinforzare l´altra: la pubblicità.
La maggioranza dei medici nega che il marketing delle case farmaceutiche influenzi le loro prescrizioni. Ma il procuratore capo di Verona, Guido Papalia, la pensa diversamente. «Una nostra inchiesta nel 2003 ha coinvolto 2-3mila medici per comparaggio, ma la maggior parte dei casi è finita in prescrizione. Per altri professionisti accusati di corruzione e associazione per delinquere il dibattimento è ancora in corso. La casa farmaceutica Glaxo di fronte alle accuse ha finito con il patteggiare 2 milioni di euro per reato societario». Fra i regali ricevuti dai medici: computer, impianti stereo, libri o nei casi di comparaggio una percentuale sulle vendite dei farmaci. «L´inchiesta scattò a febbraio - racconta Papalia - e il mese dopo la Guardia di Finanza ci fornì i nuovi dati di vendita dei farmaci. In ogni regione d´Italia a eccezione del Lazio le prescrizioni erano diminuite tra l´8 e il 10%».
Il conflitto di interessi travalica i confini della professione medica per toccare il giornalismo. A gennaio 2003, dopo un convegno a Santo Domingo con una trentina di reporter invitati a spese della Schering, uscì la notizia di una nuova pillola anticoncezionale in grado di rendere la pelle più bella. La Medicines Control Agency (agenzia britannica per la regolamentazione dei farmaci) bollò quegli articoli come "pubblicità ingannevole".
«Le case farmaceutiche - concludono Gagnon e Lexchin - amano farsi raffigurare come enti impegnati a promuovere la nostra salute. Ma i nostri dati dimostrano che è il marketing la vera benzina che fa marciare i loro motori». Nel numero di venerdì scorso la rivista Jama (Journal of the American Medical Association) ha analizzato i rapporti finanziari fra singoli medici e industrie negli Usa. Sfruttando una legge sulla trasparenza che è stata introdotta in sei stati, la rivista è riuscita a documentare compensi che in alcuni casi sfondavano il tetto dei 600mila euro per un singolo professionista. Ma se in Europa e Stati Uniti alcuni codici etici e nuove leggi per la trasparenza aiutano quantomeno a far uscire dal torbido i legami fra medici e case farmaceutiche, è nei paesi emergenti che si consuma una vera guerra senza esclusione di colpi. Secondo l´azienda americana specializzata in studi di settore Ims Health, il futuro del mercato è nei 7 paesi "Pharmerging": Cina, Brasile, Messico, Corea del Sud, India, Turchia e Russia, che marciano con tassi di sviluppo del 12-13 per cento annuo. «Da noi - ha raccontato un medico indiano citato nell´ultimo rapporto "Farmaci, medici e cene" dell´associazione Consumers International - chi prescrive mille confezioni di un farmaco riceve un cellulare, 5mila danno diritto a un condizionatore, 10mila a uno scooter».
Il business della salute
Per promuovere i loro prodotti le case farmaceutiche Usa spendono il doppio rispetto alla ricerca. Così il marketing persuade i medici
di Elena Dusi
Campioni omaggio, regali, convegni in località esotiche. Per pubblicizzare un prodotto e spingere i medici a prescriverlo le aziende spendono il doppio di quanto non costi produrlo e testarlo. E´ la conclusione cui è arrivato uno studio dell´università di Montreal. Un conflitto di interessi che pregiudica la scoperta di nuove medicine. E la nostra salute
Negli Stati Uniti le industrie di Big Pharma per ogni camice bianco spendono 40mila euro all´anno in autopromozioni
L´associazione americana degli studenti di medicina ha proposto di integrare il giuramento di Ippocrate: «Prenderò le mie decisioni libero dall´influenza della pubblicità. Non accetterò denaro, regali od ospitalità che mi mettano in conflitto di interessi con la professione». Negli Usa, che da soli ingoiano la metà delle pillole del mondo, le industrie farmaceutiche spendono per ogni camice bianco l´equivalente di 40mila euro in marketing. Fra i mezzi di pressione più usati: visite dei rappresentanti farmaceutici, campioni omaggio di farmaci, regali, inviti ai congressi. Ma nel bouquet del dirigente di marketing non mancano i finanziamenti alle società scientifiche (che raccolgono tutti gli specialisti di una disciplina), l´accordo con i medici affinché conducano nuovi esperimenti su un farmaco per allargarne il raggio di prescrizione o l´acquisto di pubblicità sulle riviste di settore. Si arriva così all´assurdo: per pubblicizzare un farmaco si spende il doppio di quanto non costi produrlo e testarlo.
Il dato arriva da uno studio di due docenti dell´università del Québec di Montreal, Marc-André Gagnon e Joel Lexchin. «Le industrie farmaceutiche statunitensi nel 2004 hanno speso 57,5 miliardi di dollari per la promozione dei loro medicinali, contro i 31,5 miliardi spesi per ricerca e sviluppo di nuovi prodotti» scrivono sulla rivista Public Library of Science Medicine.
In euro la cifra si traduce in 39 miliardi contro 21,4 ed è indice di cattiva salute per due ragioni: da un lato il piatto della bilancia della pubblicità è sempre più pesante (la spesa secondo Gagnon e Lexchin cresce di un miliardo di dollari all´anno); dall´altro la ricerca di nuovi medicinali gira a vuoto o quasi. Il 90% dei profitti delle case farmaceutiche arrivano da prodotti vecchi, in commercio da più di 5 anni. Quasi la metà delle pillole "blockbuster" (campioni di vendite) entro il 2009 non darà più profitto perché i brevetti sono in scadenza. E il mancato guadagno per le aziende toccherà i 106 miliardi di euro l´anno. «In psichiatria è dai tempi del Prozac che non abbiamo novità di rilievo. Si conducono sperimentazioni sempre più complesse e costose per affinare la conoscenza dei farmaci tradizionali, ma di veri progressi neanche l´ombra» spiega Giovanni Battista Cassano dell´università di Pisa. Se una gamba zoppica (l´innovazione), la reazione delle case farmaceutiche sembra essere quella di rinforzare l´altra: la pubblicità.
La maggioranza dei medici nega che il marketing delle case farmaceutiche influenzi le loro prescrizioni. Ma il procuratore capo di Verona, Guido Papalia, la pensa diversamente. «Una nostra inchiesta nel 2003 ha coinvolto 2-3mila medici per comparaggio, ma la maggior parte dei casi è finita in prescrizione. Per altri professionisti accusati di corruzione e associazione per delinquere il dibattimento è ancora in corso. La casa farmaceutica Glaxo di fronte alle accuse ha finito con il patteggiare 2 milioni di euro per reato societario». Fra i regali ricevuti dai medici: computer, impianti stereo, libri o nei casi di comparaggio una percentuale sulle vendite dei farmaci. «L´inchiesta scattò a febbraio - racconta Papalia - e il mese dopo la Guardia di Finanza ci fornì i nuovi dati di vendita dei farmaci. In ogni regione d´Italia a eccezione del Lazio le prescrizioni erano diminuite tra l´8 e il 10%».
Il conflitto di interessi travalica i confini della professione medica per toccare il giornalismo. A gennaio 2003, dopo un convegno a Santo Domingo con una trentina di reporter invitati a spese della Schering, uscì la notizia di una nuova pillola anticoncezionale in grado di rendere la pelle più bella. La Medicines Control Agency (agenzia britannica per la regolamentazione dei farmaci) bollò quegli articoli come "pubblicità ingannevole".
«Le case farmaceutiche - concludono Gagnon e Lexchin - amano farsi raffigurare come enti impegnati a promuovere la nostra salute. Ma i nostri dati dimostrano che è il marketing la vera benzina che fa marciare i loro motori». Nel numero di venerdì scorso la rivista Jama (Journal of the American Medical Association) ha analizzato i rapporti finanziari fra singoli medici e industrie negli Usa. Sfruttando una legge sulla trasparenza che è stata introdotta in sei stati, la rivista è riuscita a documentare compensi che in alcuni casi sfondavano il tetto dei 600mila euro per un singolo professionista. Ma se in Europa e Stati Uniti alcuni codici etici e nuove leggi per la trasparenza aiutano quantomeno a far uscire dal torbido i legami fra medici e case farmaceutiche, è nei paesi emergenti che si consuma una vera guerra senza esclusione di colpi. Secondo l´azienda americana specializzata in studi di settore Ims Health, il futuro del mercato è nei 7 paesi "Pharmerging": Cina, Brasile, Messico, Corea del Sud, India, Turchia e Russia, che marciano con tassi di sviluppo del 12-13 per cento annuo. «Da noi - ha raccontato un medico indiano citato nell´ultimo rapporto "Farmaci, medici e cene" dell´associazione Consumers International - chi prescrive mille confezioni di un farmaco riceve un cellulare, 5mila danno diritto a un condizionatore, 10mila a uno scooter».
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