Biocombustibili: il lato oscuro dell'energia
L'Unità del 7 gennaio 2008, pag. 22
di Pietro Greco
Non esistono pasti gratis in natura. Neppure tra le fonti rinnovabili di energia. C'è sempre un qualche prezzo da pagaie, anche quando troviamo fonti di energia «carbon free»: che non emettono carbonio in atmosfera e non contribuiscono ad accelerare i cambiamenti del clima. La riprova? Ce la fornisce una ricerca realizzata tempo fa da Rainer Zah e dai suoi collaboratori del gruppo «Lite Cycle Assessment & Modelling» dell'EMPA di san Gallo in Svizzera e commentata sull'ultimo numero della rivista americana Sdence da Jorn Scharlemann e William Laurence dello Smithsonian Tropical Research Institute di Balboa, Panama. Gli studiosi svizzeri hanno esaminato ben 26 diversi biocarburanti in uso in tutto il mondo prendendo in esame due parametri connessi alla loro produzione e al loro utilizzo: le emissioni di gas serra e l'impatto ambientale globale.
Il risultato è quantomeno inatteso. Non solo e non tanto perché per quattro o cinque dei 26 biocarburanti esaminati il ciclo delle emissioni di anidride carbonica risulta non solo negativo, ma addirittura superiore a quello di un combustibile fossile. Ma anche e soprattutto perché per 12 di essi (oltre il 46%) i costi ambientali complessivi risultano superiori a quelli di metano, petrolio e persino carbone.
Per essere più precisi, i biocarburanti consentono di abbattere, in media, il 30% delle emissioni di gas serra a parità di utilizzo coi combustibili fossili (usando per esempio biodiesel al posto del diesel nelle automobili). Tuttavia per la loro coltivazione paghiamo un costo ambientale in termini di esaurimento delle risorse, di salute umana, di equilibrio degli ecosistemi che, nella metà dei casi, è paragonabile a quello pagato con l'uso dei combustibili fossili. I risultati sono importanti. Non fosse altro perché in molti paesi - dagli Stati Uniti al Brasile - i biocombustibili sono considerati come una delle opzioni più spendibili in vista del cambiamento del paradigma energetico del mondo che dovrà essere consumato per minimizzare i cambiamenti del clima. La stessa Europa punta molto sui biocarburanti. Alcuni dei costi che questa scelta comporta erano già noti. I biocombustibili impegnano molto terreno per coltivare mais, canna da zucchero o altro da cui trarre olio (biodiesel) o etanolo. Se questo terreno lo sottraggono agli ecosistemi nativi, si ottiene poco guadagno in termini di riduzione delle emissioni di gas serra e un'ulteriore erosione della biodiversità. Se poi, per coltivare il mais o la canna da zucchero, si bruciano ampie zone di foresta tropicale, il risultato netto è: aumento delle emissioni di carbonio, aumento dell'inquinamento locale (polveri e smog) e distruzione di piante e animali nativi. Se il terreno viene sottratto alle terre coltivate per la produzione di cibo, determinano un aumento dei prezzi nel settore alimentare. Un aumento che stiamo già registrando e che contribuisce a surriscaldare i livelli dell'inflazione mondiale.
Rainer Zah e i suoi collaboratori fanno notare che è molto più ecologicamente sostenibile bruciare rifiuti negli inceneritori che coltivare alcuni biocombustibili. Al contrario, Jorn Scharlemann e William Laurence sostengono che l'analisi non è esente da critiche e che in definitiva i biofuels non sono così brutti come li descrivono i colleghi svizzeri. Quale morale possiamo trarre da questa discussione? La prima e la più banale è che occorrono ulteriori studi per avere un quadro più chiaro dell'impatto ecologico complessivo di questa come di altre fonti energetiche. Ma c'è un'altra morale, più profonda, su cui forse dobbiamo meditare. La morale è che, appunto, non esistono pasti gratis in natura. Ogni scelta ha un costo. Anzi, ogni scelta ha diversi costi. E ogni fonte energetica ha un paniere di costi differente dall'altra.
La fonte biofuels ha i costi indicati da Ranier Zah e dai sui collaboratori. La fonte nucleare ha il costo delle scorie che non sappiamo ancora smaltire. La fonte eolica ha, come sostengono alcuni, un costo estetico salato. Lo stesso potremmo dire per il fotovoltaico a larga scala. Persino la fonte meno aggressiva, il risparmio energetico, ha dei costi: per esempio di scomodità. La «coscienza enorme» del rischio ambientale che abbiamo acquisito deve essere corredata, per diventare fruttuosa, dall'intima convinzione che non esistono soluzioni facili e definitive ai nostri problemi e che qualcosa dobbiamo essere disposti a pagare. In quest'ottica, lo studio svizzero non va affatto interpretato come una pietra tombale sui biocombustibili, ma al contrario, come un invito a effettuare scelte mature e consapevoli.
Dall'etanolo al biogas
Biocombustibili significa, letteralmente, combustibili a base di idrocarburi di origine biologica. In realtà anche i combustibili fossili sono di origine biologica, anche se di una biologia attiva molto tempo fa. Di conseguenza dobbiamo intendere per biocombustibili gli idrocarburi ottenuti oggi dall'uomo a partire da vegetali appositamente coltivati. Anche i biocombustibili sono liquidi (come I' etanolo e il biodisel) e gassosi (idrogeno e biogas). Ma i gassosi non sono ancora molto diffusi per la difficoltà d'uso. L'etanolo è ottenuto mediante la fermentazione degli zuccheri, che si ottengono dalla barbabietola o dalla canna. In realtà tutte le piante ricche in amido e cellulosa vanno bene. Il biodiesel è invece prodotto a partire da oli vegetali, come l'olio di colza o l'olio di palma. Il mais è diventato una fonte notevole di biodisel. Per questo la domanda come combustibile ha fatto aumentare il prezzo del mais sul mercato alimentare. Ma non è detto che l'origine del biodisel debba essere necessariamente vegetale: si ottiene biodisel sia da oli di scarto che da grasso animale. Sia l'etanolo che i biodisel possono essere usati puri o ad alta concentrazione solo in motori a scoppio modificati o concepiti a bella posta. Possono essere usati nei motori normali in miscele a bassa concentrazione, comel'EIO, con il 10 per cento di etanolo e il 90 per cento di benzina, o il B5 e il B20, rispettivamente composte da 5 per cento e 20 per cento di biodiesel in diesel fossile.
L'Unità del 7 gennaio 2008, pag. 22
di Pietro Greco
Non esistono pasti gratis in natura. Neppure tra le fonti rinnovabili di energia. C'è sempre un qualche prezzo da pagaie, anche quando troviamo fonti di energia «carbon free»: che non emettono carbonio in atmosfera e non contribuiscono ad accelerare i cambiamenti del clima. La riprova? Ce la fornisce una ricerca realizzata tempo fa da Rainer Zah e dai suoi collaboratori del gruppo «Lite Cycle Assessment & Modelling» dell'EMPA di san Gallo in Svizzera e commentata sull'ultimo numero della rivista americana Sdence da Jorn Scharlemann e William Laurence dello Smithsonian Tropical Research Institute di Balboa, Panama. Gli studiosi svizzeri hanno esaminato ben 26 diversi biocarburanti in uso in tutto il mondo prendendo in esame due parametri connessi alla loro produzione e al loro utilizzo: le emissioni di gas serra e l'impatto ambientale globale.
Il risultato è quantomeno inatteso. Non solo e non tanto perché per quattro o cinque dei 26 biocarburanti esaminati il ciclo delle emissioni di anidride carbonica risulta non solo negativo, ma addirittura superiore a quello di un combustibile fossile. Ma anche e soprattutto perché per 12 di essi (oltre il 46%) i costi ambientali complessivi risultano superiori a quelli di metano, petrolio e persino carbone.
Per essere più precisi, i biocarburanti consentono di abbattere, in media, il 30% delle emissioni di gas serra a parità di utilizzo coi combustibili fossili (usando per esempio biodiesel al posto del diesel nelle automobili). Tuttavia per la loro coltivazione paghiamo un costo ambientale in termini di esaurimento delle risorse, di salute umana, di equilibrio degli ecosistemi che, nella metà dei casi, è paragonabile a quello pagato con l'uso dei combustibili fossili. I risultati sono importanti. Non fosse altro perché in molti paesi - dagli Stati Uniti al Brasile - i biocombustibili sono considerati come una delle opzioni più spendibili in vista del cambiamento del paradigma energetico del mondo che dovrà essere consumato per minimizzare i cambiamenti del clima. La stessa Europa punta molto sui biocarburanti. Alcuni dei costi che questa scelta comporta erano già noti. I biocombustibili impegnano molto terreno per coltivare mais, canna da zucchero o altro da cui trarre olio (biodiesel) o etanolo. Se questo terreno lo sottraggono agli ecosistemi nativi, si ottiene poco guadagno in termini di riduzione delle emissioni di gas serra e un'ulteriore erosione della biodiversità. Se poi, per coltivare il mais o la canna da zucchero, si bruciano ampie zone di foresta tropicale, il risultato netto è: aumento delle emissioni di carbonio, aumento dell'inquinamento locale (polveri e smog) e distruzione di piante e animali nativi. Se il terreno viene sottratto alle terre coltivate per la produzione di cibo, determinano un aumento dei prezzi nel settore alimentare. Un aumento che stiamo già registrando e che contribuisce a surriscaldare i livelli dell'inflazione mondiale.
Rainer Zah e i suoi collaboratori fanno notare che è molto più ecologicamente sostenibile bruciare rifiuti negli inceneritori che coltivare alcuni biocombustibili. Al contrario, Jorn Scharlemann e William Laurence sostengono che l'analisi non è esente da critiche e che in definitiva i biofuels non sono così brutti come li descrivono i colleghi svizzeri. Quale morale possiamo trarre da questa discussione? La prima e la più banale è che occorrono ulteriori studi per avere un quadro più chiaro dell'impatto ecologico complessivo di questa come di altre fonti energetiche. Ma c'è un'altra morale, più profonda, su cui forse dobbiamo meditare. La morale è che, appunto, non esistono pasti gratis in natura. Ogni scelta ha un costo. Anzi, ogni scelta ha diversi costi. E ogni fonte energetica ha un paniere di costi differente dall'altra.
La fonte biofuels ha i costi indicati da Ranier Zah e dai sui collaboratori. La fonte nucleare ha il costo delle scorie che non sappiamo ancora smaltire. La fonte eolica ha, come sostengono alcuni, un costo estetico salato. Lo stesso potremmo dire per il fotovoltaico a larga scala. Persino la fonte meno aggressiva, il risparmio energetico, ha dei costi: per esempio di scomodità. La «coscienza enorme» del rischio ambientale che abbiamo acquisito deve essere corredata, per diventare fruttuosa, dall'intima convinzione che non esistono soluzioni facili e definitive ai nostri problemi e che qualcosa dobbiamo essere disposti a pagare. In quest'ottica, lo studio svizzero non va affatto interpretato come una pietra tombale sui biocombustibili, ma al contrario, come un invito a effettuare scelte mature e consapevoli.
Dall'etanolo al biogas
Biocombustibili significa, letteralmente, combustibili a base di idrocarburi di origine biologica. In realtà anche i combustibili fossili sono di origine biologica, anche se di una biologia attiva molto tempo fa. Di conseguenza dobbiamo intendere per biocombustibili gli idrocarburi ottenuti oggi dall'uomo a partire da vegetali appositamente coltivati. Anche i biocombustibili sono liquidi (come I' etanolo e il biodisel) e gassosi (idrogeno e biogas). Ma i gassosi non sono ancora molto diffusi per la difficoltà d'uso. L'etanolo è ottenuto mediante la fermentazione degli zuccheri, che si ottengono dalla barbabietola o dalla canna. In realtà tutte le piante ricche in amido e cellulosa vanno bene. Il biodiesel è invece prodotto a partire da oli vegetali, come l'olio di colza o l'olio di palma. Il mais è diventato una fonte notevole di biodisel. Per questo la domanda come combustibile ha fatto aumentare il prezzo del mais sul mercato alimentare. Ma non è detto che l'origine del biodisel debba essere necessariamente vegetale: si ottiene biodisel sia da oli di scarto che da grasso animale. Sia l'etanolo che i biodisel possono essere usati puri o ad alta concentrazione solo in motori a scoppio modificati o concepiti a bella posta. Possono essere usati nei motori normali in miscele a bassa concentrazione, comel'EIO, con il 10 per cento di etanolo e il 90 per cento di benzina, o il B5 e il B20, rispettivamente composte da 5 per cento e 20 per cento di biodiesel in diesel fossile.
1 commento:
Esiste la possibilità di produrre biocombustibile dalla coltivazione delle microalghe; producono più olio di qualsiasi pianta terrestre e si possono coltivare in silos verticali, per cui non si sottraggono piante al ciclo alimentare e non si spreca terreno perché i silos si sviluppano in altezza. Il problema è che queste cose non si dicono perché gli interessi intorno al petrolio sono troppo grandi. Potremmo campare meglio e senza petrolio già da decenni. Uno specialista o un tecnico che non dice queste cose è un ignorante o è in mala fede (di solito la seconda delle due).
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