Corriere della Sera Salute 27.1.08
Le altre cure Dalla fototerapia alle erbe, dalla chirurgia alla cronobiologia, con risultati incoraggianti
In cerca dello stimolo giusto al buon umore
di Adriana Bazzi
In parallelo o in alternativa. Quando i farmaci non bastano da soli a controllare la depressione o, meglio, «le depressioni » (perché la malattia si presenta con molte facce diverse), si cercano altre soluzioni.
A partire dalle classiche psicoterapie (il ventaglio è ampio, il paziente può scegliere) che possono affiancare le cure farmacologiche, fino ad arrivare al discusso elettroshock, l'«ultima spiaggia» per alcune forme di malattia resistenti alle medicine. Passando per la cura «verde»: l'iperico o erba di San Giovanni, l'unico prodotto erboristico che abbia una certa efficacia antidepressiva, anche se limitata alle forme lievi.
Più recentemente si sono affacciate alla pratica clinica nuove proposte terapeutiche. Come la light therapy, o fototerapia, particolarmente indicata, secondo i suoi sostenitori, nella cura dei pazienti con depressione stagionale: questi malati sono sensibili alla riduzione delle ore di luce nel periodo invernale e rispondono positivamente all'esposizione alla luce di intensità luminosa equivalente a quella diurna. Dopo il risveglio il paziente viene esposta a una lampada per 30-120 minuti e l'effetto terapeutico si manifesta dopo pochi giorni.
Altra tecnica: la deprivazione di sonno il cui obiettivo è quello di potenziare gli effetti dei farmaci. È efficace, secondo la letteratura internazionale (la tecnica è sperimentata anche al San Raffaele di Mi-lano), ma con il limite delle facili ricadute. Questo approccio prevede di tenere il paziente sveglio per una notte intera, con effetti positivi immediati in molti casi. Un'altra opzione è quella della manipolazione del ritmo sonno-veglia: per esempio, l'anticipo della fase del sonno con risveglio definitivo nella seconda parte della notte, che produce un certo miglioramento dei sintomi. Negli ultimi anni si è fatta strada anche la terapia «chirurgica» della depressione. Una prima metodica è quella della deep brain stimulation, proposta da Andres Lozano dell'Università di Toronto: vengono impiantati elettrodi (pacemaker cerebrale) nella corteccia frontale la cui continua stimolazione determina, in alcuni casi, la remissione della malattia. Le esperienze, però, sono limitate e la tecnica è cruenta, anche se, in caso di insuccesso, è reversibile con l'interruzione della stimolazione elettrica.
La seconda è la stimolazione del nervo vago, approvata nel 2005 dalla Food and Drug Administration americana per la cura della depressione grave in particolare dei pazienti anziani e autorizzata anche in Europa: il pacemaker anti-depressivo, in questo caso, viene impiantato all'altezza del collo attorno al nervo vago ed è in grado di stimolare la produzione di serotonina, l'ormone che regola l'umore, il sonno, l'appetito e il sesso. L'intervento è reversibile, generalmente ben tollerato; gli effetti collaterali più diffusi sono la raucedine e la tosse che compaiono nelle prime settimane dopo l'intervento. È in sperimentazione anche in Italia in alcuni centri, come l'Ospedale Molinette di Torino.
Infine, in alternativa all'elettroshock che può comportare alterazioni della la memoria per settimane dopo la terapia, si sta sperimentando un intervento meno aggressivo, la stimolazione magnetica transcranica: viene effettuata inviando, dall'esterno alla corteccia, una serie di impulsi magnetici che non provocano, come invece può succedere con l'elettroshock, attacchi epilettici e nemmeno alterazioni della memoria. L'effetto terapeutico è simile. La metodica è ancora in sperimentazione.
Le altre cure Dalla fototerapia alle erbe, dalla chirurgia alla cronobiologia, con risultati incoraggianti
In cerca dello stimolo giusto al buon umore
di Adriana Bazzi
In parallelo o in alternativa. Quando i farmaci non bastano da soli a controllare la depressione o, meglio, «le depressioni » (perché la malattia si presenta con molte facce diverse), si cercano altre soluzioni.
A partire dalle classiche psicoterapie (il ventaglio è ampio, il paziente può scegliere) che possono affiancare le cure farmacologiche, fino ad arrivare al discusso elettroshock, l'«ultima spiaggia» per alcune forme di malattia resistenti alle medicine. Passando per la cura «verde»: l'iperico o erba di San Giovanni, l'unico prodotto erboristico che abbia una certa efficacia antidepressiva, anche se limitata alle forme lievi.
Più recentemente si sono affacciate alla pratica clinica nuove proposte terapeutiche. Come la light therapy, o fototerapia, particolarmente indicata, secondo i suoi sostenitori, nella cura dei pazienti con depressione stagionale: questi malati sono sensibili alla riduzione delle ore di luce nel periodo invernale e rispondono positivamente all'esposizione alla luce di intensità luminosa equivalente a quella diurna. Dopo il risveglio il paziente viene esposta a una lampada per 30-120 minuti e l'effetto terapeutico si manifesta dopo pochi giorni.
Altra tecnica: la deprivazione di sonno il cui obiettivo è quello di potenziare gli effetti dei farmaci. È efficace, secondo la letteratura internazionale (la tecnica è sperimentata anche al San Raffaele di Mi-lano), ma con il limite delle facili ricadute. Questo approccio prevede di tenere il paziente sveglio per una notte intera, con effetti positivi immediati in molti casi. Un'altra opzione è quella della manipolazione del ritmo sonno-veglia: per esempio, l'anticipo della fase del sonno con risveglio definitivo nella seconda parte della notte, che produce un certo miglioramento dei sintomi. Negli ultimi anni si è fatta strada anche la terapia «chirurgica» della depressione. Una prima metodica è quella della deep brain stimulation, proposta da Andres Lozano dell'Università di Toronto: vengono impiantati elettrodi (pacemaker cerebrale) nella corteccia frontale la cui continua stimolazione determina, in alcuni casi, la remissione della malattia. Le esperienze, però, sono limitate e la tecnica è cruenta, anche se, in caso di insuccesso, è reversibile con l'interruzione della stimolazione elettrica.
La seconda è la stimolazione del nervo vago, approvata nel 2005 dalla Food and Drug Administration americana per la cura della depressione grave in particolare dei pazienti anziani e autorizzata anche in Europa: il pacemaker anti-depressivo, in questo caso, viene impiantato all'altezza del collo attorno al nervo vago ed è in grado di stimolare la produzione di serotonina, l'ormone che regola l'umore, il sonno, l'appetito e il sesso. L'intervento è reversibile, generalmente ben tollerato; gli effetti collaterali più diffusi sono la raucedine e la tosse che compaiono nelle prime settimane dopo l'intervento. È in sperimentazione anche in Italia in alcuni centri, come l'Ospedale Molinette di Torino.
Infine, in alternativa all'elettroshock che può comportare alterazioni della la memoria per settimane dopo la terapia, si sta sperimentando un intervento meno aggressivo, la stimolazione magnetica transcranica: viene effettuata inviando, dall'esterno alla corteccia, una serie di impulsi magnetici che non provocano, come invece può succedere con l'elettroshock, attacchi epilettici e nemmeno alterazioni della memoria. L'effetto terapeutico è simile. La metodica è ancora in sperimentazione.
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