Il grande inganno dei farmaci scaduti
La Stampa.it del 11 gennaio 2008
di Marco Neirotti
Un sacchetto di nylon sulla bilancia. Peso: tre chili. Totale dei singoli oggetti: 52. Totale dei prezzi stampati sulle confezioni: 421 euro. Tutto da buttare. Contenuto: medicinali acquistati, medicinali «passati» dal servizio sanitario con ticket. Tutti scaduti. Antipiretici e colliri, antinfiammatori e antibiotici, cortisone e sciroppi per la tosse, carbone vegetale, antistaminici, pomate per contusioni e tendiniti, antidolorifici. Bilancio di una famiglia qualunque, marito, moglie, un figlio adolescente, nessuna patologia costante tolta una «pressione alta». Il resto è occasionale, dal mal di denti alla colica.
Moltiplicato per appena cinque milioni di famiglie d’ogni categoria sociale sono - secondo stime dei legali dei consumatori - quasi tre miliardi di euro finiti in un anno nei contenitori appositi, in bidoni della «differenziata», in boschi profondi e diventati discariche senza dover andare a Napoli. I governi - di qualunque colore - danno colpa ai medici di base che «scrivono di tutto», ai «consumatori» che di tutto chiedono. Gli utenti, cioè i malati veri o molieriani, accusano le aziende di accorciare le date di scadenza, le aziende replicano che le date sono una tutela e si garantisce che il farmaco scaduto da due o tre anni, mal che vada, ha effetti meno potenti, ma non dannosi. Nel dubbio si butta. Nel dubbio si prova, qualche fastidio gastrico s’è visto.
In realtà questi armadietti del bagno o della camera da letto svuotati, questi miliardi di euro sono il concentrato di diseducazione dell’utente, leggerezza del medico e poi ragnatela di precauzioni e insieme interessi dei padroni della chimica. Con autorevolezza spiega in questa pagina il professor Silvio Garattini, Istituto Mario Negri di Milano, che interessi economici, autotutela sulle conseguenze, speculazioni, rifiuto di alternative, pigrizia medica, diseducazione dell’utente sono un mix straordinario per spese private (2 euro per pezzo in ricetta, 1 euro se è farmaco generico, nulla se si è esenti o con accertata patologia invalidante), pubbliche (c’è uno sconto, più alto, se è più alto il costo, delle farmacie ai servizi sanitari pubblici), di smaltimento o recupero. Ma come nasce tutto questo?
La pigrizia dell’acquirente
Prendiamo i tre chili di sacchetto di famiglia di tre persone. Confezione di 10 supposte contro la febbre da euro 4.80: se ne buttano quattro. Però della stessa marca ci sono le 20 compresse e se ne buttano 12. E, ancora, stessa marca, c’è lo sciroppo: se ne va via metà. Ci sono due multivatimici (15 euro) e del primo si sono usate due buste su 14, del secondo cinque compresse su 30. Stesso prodotto, stesse date. Il fenomeno più frequente è l’uscita dal medico o dall’ospedale con la ricetta. Diretti in farmacia, confezione sul comodino e via. In casa c’era già, ma fretta e ansia hanno fatto la loro. Altro esempio. Antistaminico. Tre diverse confezioni con diversi nomi, buttato via il 70%. Antinfiammatorio, tre confezioni di due diverse marche, via l’80%. Antibiotico. Stessa casa, tre confezioni semipiene e scadute.
Il gioco delle dosi
Questo è il tasto più dolente. Ferma restando la pigrizia del malato, sono curiose le scelte delle imprese. Certi antinfiammatori dovrebbero avere effetto in pochi giorni, ma il quantitativo è buono per un mese. Gli antibiotici servono per una settimana e ogni confezione ne ha a volte per due o tre giorni. È mercato allo stato puro. Se per tua fortuna non ne hai bisogno, lo butti e io ho guadagnato. Se per tua sfortuna ne hai ancora bisogno, ne compri a gruppi di tre per volta.
I dosaggi di prova
Nel sacchetto ci sono, per 38 euro, tre tipi di pillole per la pressione. Stabilito il farmaco dal medico, se ne sono portate a casa due confezione sufficienti per due mesi. Dopo tre giorni prime controindicazioni. Cambio di principi attivi. Altra confezione da un mese. Altro cambio. E’ uno dei nodi che nemmeno la politica è riuscita a risolvere: accanto alle normali dosi di consuetudine fare anche confezioni «ottimali», poca roba di prova, quelle che non ti fanno buttar via due terzi o più della scatola se non ti trovi bene.
Il medico di base
C’è sempre lui tra paziente e Stato. «Non è bravo, mi ha scritto poco», oppure: «Se ne frega, scrive pur di tenersi i pazienti». Paolo Frola, medico di base astigiano, cantautore ironico fino alla ferocia sulla sua professione, commenta: «I medici sono stati anche controllati in base alle prescrizioni secondo le età dei destinatari. Quanti ne prescrive e a chi. Ben vengano i controlli. La realtà è il giorno per giorno. Il problema è il cambio di terapia dopo un primo periodo, ma quello fa parte del percorso con il paziente. Io dò la quantità minima, non faccio le confezioni».
La scadenza vera
Non può una medicina fare il suo lavoro fino all’11 gennaio e non far più niente il 12. In genere si va per mesi. Gli studi più approfonditi li hanno fatti i militari, che gestiscono stoccaggi che possono essere buttati a tonnellate, se per fortuna non ci sono interventi in terre pericolose. Questi lavori portano a una «capacità» del prodotto che può arrivare da due fino a 10 anni dopo la scadenza. Rimane il discorso rischio. Nel caso di un esercito sono loro a somministrarlo, nel caso di un privato è lui che l’ha assunto a suo personale pericolo e non ha titoli per rifarsi dopo essersi affidato al buon senso.
Il buon senso
E’ quello di tenere sotto controllo l’armadietto, con medico e farmacista. Non acquistare di corsa il prodotto identico scritto dal dottore appena incontrato senza parlarne con i riferimenti abituali, dopo aver controllato a casa. Uno scherzetto da cinque fino a 50 euro al mese. E, anche sulle scadenze morbide, verificare il tipo di medicina. Dice Frola: «Nessuno vuole sprecare. Ma nessuno vuole un cortisone che per leggerezza si è dato per buono e non fa niente quando il calabrone ti ha preso».
La Stampa.it del 11 gennaio 2008
di Marco Neirotti
Un sacchetto di nylon sulla bilancia. Peso: tre chili. Totale dei singoli oggetti: 52. Totale dei prezzi stampati sulle confezioni: 421 euro. Tutto da buttare. Contenuto: medicinali acquistati, medicinali «passati» dal servizio sanitario con ticket. Tutti scaduti. Antipiretici e colliri, antinfiammatori e antibiotici, cortisone e sciroppi per la tosse, carbone vegetale, antistaminici, pomate per contusioni e tendiniti, antidolorifici. Bilancio di una famiglia qualunque, marito, moglie, un figlio adolescente, nessuna patologia costante tolta una «pressione alta». Il resto è occasionale, dal mal di denti alla colica.
Moltiplicato per appena cinque milioni di famiglie d’ogni categoria sociale sono - secondo stime dei legali dei consumatori - quasi tre miliardi di euro finiti in un anno nei contenitori appositi, in bidoni della «differenziata», in boschi profondi e diventati discariche senza dover andare a Napoli. I governi - di qualunque colore - danno colpa ai medici di base che «scrivono di tutto», ai «consumatori» che di tutto chiedono. Gli utenti, cioè i malati veri o molieriani, accusano le aziende di accorciare le date di scadenza, le aziende replicano che le date sono una tutela e si garantisce che il farmaco scaduto da due o tre anni, mal che vada, ha effetti meno potenti, ma non dannosi. Nel dubbio si butta. Nel dubbio si prova, qualche fastidio gastrico s’è visto.
In realtà questi armadietti del bagno o della camera da letto svuotati, questi miliardi di euro sono il concentrato di diseducazione dell’utente, leggerezza del medico e poi ragnatela di precauzioni e insieme interessi dei padroni della chimica. Con autorevolezza spiega in questa pagina il professor Silvio Garattini, Istituto Mario Negri di Milano, che interessi economici, autotutela sulle conseguenze, speculazioni, rifiuto di alternative, pigrizia medica, diseducazione dell’utente sono un mix straordinario per spese private (2 euro per pezzo in ricetta, 1 euro se è farmaco generico, nulla se si è esenti o con accertata patologia invalidante), pubbliche (c’è uno sconto, più alto, se è più alto il costo, delle farmacie ai servizi sanitari pubblici), di smaltimento o recupero. Ma come nasce tutto questo?
La pigrizia dell’acquirente
Prendiamo i tre chili di sacchetto di famiglia di tre persone. Confezione di 10 supposte contro la febbre da euro 4.80: se ne buttano quattro. Però della stessa marca ci sono le 20 compresse e se ne buttano 12. E, ancora, stessa marca, c’è lo sciroppo: se ne va via metà. Ci sono due multivatimici (15 euro) e del primo si sono usate due buste su 14, del secondo cinque compresse su 30. Stesso prodotto, stesse date. Il fenomeno più frequente è l’uscita dal medico o dall’ospedale con la ricetta. Diretti in farmacia, confezione sul comodino e via. In casa c’era già, ma fretta e ansia hanno fatto la loro. Altro esempio. Antistaminico. Tre diverse confezioni con diversi nomi, buttato via il 70%. Antinfiammatorio, tre confezioni di due diverse marche, via l’80%. Antibiotico. Stessa casa, tre confezioni semipiene e scadute.
Il gioco delle dosi
Questo è il tasto più dolente. Ferma restando la pigrizia del malato, sono curiose le scelte delle imprese. Certi antinfiammatori dovrebbero avere effetto in pochi giorni, ma il quantitativo è buono per un mese. Gli antibiotici servono per una settimana e ogni confezione ne ha a volte per due o tre giorni. È mercato allo stato puro. Se per tua fortuna non ne hai bisogno, lo butti e io ho guadagnato. Se per tua sfortuna ne hai ancora bisogno, ne compri a gruppi di tre per volta.
I dosaggi di prova
Nel sacchetto ci sono, per 38 euro, tre tipi di pillole per la pressione. Stabilito il farmaco dal medico, se ne sono portate a casa due confezione sufficienti per due mesi. Dopo tre giorni prime controindicazioni. Cambio di principi attivi. Altra confezione da un mese. Altro cambio. E’ uno dei nodi che nemmeno la politica è riuscita a risolvere: accanto alle normali dosi di consuetudine fare anche confezioni «ottimali», poca roba di prova, quelle che non ti fanno buttar via due terzi o più della scatola se non ti trovi bene.
Il medico di base
C’è sempre lui tra paziente e Stato. «Non è bravo, mi ha scritto poco», oppure: «Se ne frega, scrive pur di tenersi i pazienti». Paolo Frola, medico di base astigiano, cantautore ironico fino alla ferocia sulla sua professione, commenta: «I medici sono stati anche controllati in base alle prescrizioni secondo le età dei destinatari. Quanti ne prescrive e a chi. Ben vengano i controlli. La realtà è il giorno per giorno. Il problema è il cambio di terapia dopo un primo periodo, ma quello fa parte del percorso con il paziente. Io dò la quantità minima, non faccio le confezioni».
La scadenza vera
Non può una medicina fare il suo lavoro fino all’11 gennaio e non far più niente il 12. In genere si va per mesi. Gli studi più approfonditi li hanno fatti i militari, che gestiscono stoccaggi che possono essere buttati a tonnellate, se per fortuna non ci sono interventi in terre pericolose. Questi lavori portano a una «capacità» del prodotto che può arrivare da due fino a 10 anni dopo la scadenza. Rimane il discorso rischio. Nel caso di un esercito sono loro a somministrarlo, nel caso di un privato è lui che l’ha assunto a suo personale pericolo e non ha titoli per rifarsi dopo essersi affidato al buon senso.
Il buon senso
E’ quello di tenere sotto controllo l’armadietto, con medico e farmacista. Non acquistare di corsa il prodotto identico scritto dal dottore appena incontrato senza parlarne con i riferimenti abituali, dopo aver controllato a casa. Uno scherzetto da cinque fino a 50 euro al mese. E, anche sulle scadenze morbide, verificare il tipo di medicina. Dice Frola: «Nessuno vuole sprecare. Ma nessuno vuole un cortisone che per leggerezza si è dato per buono e non fa niente quando il calabrone ti ha preso».
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