L'economia statunitense non cresce più
Il Manifesto del 16/01/2008
Nuovi segnali di caduta della domanda. Borse a picco trascinate dalle perdite sui subprime
Gli Usa sono probabilmente in recessione o stanno per entrarci, aveva previsto ieri mattina Alan Greenspan, in un'intervista al Wall Street Journal. E ieri sono stati diffusi alcuni dati - in particolare quello sulle vendite al dettaglio in dicembre - che sembrano confermare le previsione dell'ex presidente della Fed. I mercati ne hanno preso atto: ieri tutte le borse mondiali hanno segnato una nuova giornata nera con perdite ampie e diffuse.
Secondo l'ex numero uno della Fed, sono diversi i campanelli d'allarme. Innanzitutto, la flessione dell'indice manifatturiero sceso a dicembre oltre le attese a quota 47,7 (ai minimi dall'aprile 2003) sotto la soglia dei 50 punti che segna il confine tra la fase di espansione e quella di contrazione. Un altro segnale preoccupante, aggiunge Greenspan, è il balzo del tasso di disoccupazione al 5% dal 4,7% di novembre. Sempre nei precedenti cicli quando il tasso di disoccupazione risaliva dal minimo (in questo caso il 4,3% segnato alcuni mesi fa) di una percentuale superiore al mezzo punto, poi arrivava una fase recessiva.
Ormai non è più solo l'attività edilizia e più in generale il settore immobiliare a battere colpi a vuoto. L'impressione è che il rallentamento dell'attività, la fine del boom edilizio con conseguente caduta dei redditi più o meno speculativi, stiano cominciando a influire sulla domanda. Anche se l'export cresce (grazie al dollaro) gli investimenti hanno cominciato a rallentare e lo stesso sembra accade per i consumi.
Ieri il Dipartimento al commercio ha comunicato che in dicembre (mese tradizionalmente favorevole) le vendite al dettaglio sono diminuite dello 0,4%, la flessione più ampia dallo scorso giugno. Altre pessima notizia è arrivata dai Ceo, gli amministratori delegati delle grandi imprese: l'indice che ne misura la fiducia è sceso a 39 punti nel quarto trimestre. È la prima volta dal 2000 che l'indice curato dal Conference Board scende sotto la soglia dei 40 punti. Ogni dato sotto 50 punti indica che gli amministratori delegati sotto pessimisti sulle prospettive future dell'economia americana.
Ma non è finita: l'indice Empire state che misura l'attività manifatturiera nell'area di New York è sceso - molto più delle attese - in gennaio a 9,03 punti dai 9,80 del mese precedente. La componente che misura l'occupazione è scesa a 2,44 punti, il livello più basso dal 2005 mentre l'indice dei nuovi ordini è crollato di 13 punti a 0,04 punti. Insomma, se non è crisi poco ci manca. E la reazioni non si sono fatte attendere: il prezzo del petrolio è precipitato sotto i 92 dollari al barile (quasi 2,5 dollari i meno del giorno prima) e tutte le borse mondiali sono state caratterizzate da forti perdite. Negli Usa a un'ora dalla chiusura il Dow Jones era sotto del 2%, il Nasdaq del 2,4%.
Il Manifesto del 16/01/2008
Nuovi segnali di caduta della domanda. Borse a picco trascinate dalle perdite sui subprime
Gli Usa sono probabilmente in recessione o stanno per entrarci, aveva previsto ieri mattina Alan Greenspan, in un'intervista al Wall Street Journal. E ieri sono stati diffusi alcuni dati - in particolare quello sulle vendite al dettaglio in dicembre - che sembrano confermare le previsione dell'ex presidente della Fed. I mercati ne hanno preso atto: ieri tutte le borse mondiali hanno segnato una nuova giornata nera con perdite ampie e diffuse.
Secondo l'ex numero uno della Fed, sono diversi i campanelli d'allarme. Innanzitutto, la flessione dell'indice manifatturiero sceso a dicembre oltre le attese a quota 47,7 (ai minimi dall'aprile 2003) sotto la soglia dei 50 punti che segna il confine tra la fase di espansione e quella di contrazione. Un altro segnale preoccupante, aggiunge Greenspan, è il balzo del tasso di disoccupazione al 5% dal 4,7% di novembre. Sempre nei precedenti cicli quando il tasso di disoccupazione risaliva dal minimo (in questo caso il 4,3% segnato alcuni mesi fa) di una percentuale superiore al mezzo punto, poi arrivava una fase recessiva.
Ormai non è più solo l'attività edilizia e più in generale il settore immobiliare a battere colpi a vuoto. L'impressione è che il rallentamento dell'attività, la fine del boom edilizio con conseguente caduta dei redditi più o meno speculativi, stiano cominciando a influire sulla domanda. Anche se l'export cresce (grazie al dollaro) gli investimenti hanno cominciato a rallentare e lo stesso sembra accade per i consumi.
Ieri il Dipartimento al commercio ha comunicato che in dicembre (mese tradizionalmente favorevole) le vendite al dettaglio sono diminuite dello 0,4%, la flessione più ampia dallo scorso giugno. Altre pessima notizia è arrivata dai Ceo, gli amministratori delegati delle grandi imprese: l'indice che ne misura la fiducia è sceso a 39 punti nel quarto trimestre. È la prima volta dal 2000 che l'indice curato dal Conference Board scende sotto la soglia dei 40 punti. Ogni dato sotto 50 punti indica che gli amministratori delegati sotto pessimisti sulle prospettive future dell'economia americana.
Ma non è finita: l'indice Empire state che misura l'attività manifatturiera nell'area di New York è sceso - molto più delle attese - in gennaio a 9,03 punti dai 9,80 del mese precedente. La componente che misura l'occupazione è scesa a 2,44 punti, il livello più basso dal 2005 mentre l'indice dei nuovi ordini è crollato di 13 punti a 0,04 punti. Insomma, se non è crisi poco ci manca. E la reazioni non si sono fatte attendere: il prezzo del petrolio è precipitato sotto i 92 dollari al barile (quasi 2,5 dollari i meno del giorno prima) e tutte le borse mondiali sono state caratterizzate da forti perdite. Negli Usa a un'ora dalla chiusura il Dow Jones era sotto del 2%, il Nasdaq del 2,4%.
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