Le centrali nucleari? “Sono impianti insicuri e costosi”. Intervista a Marcello Cini
di Claudio Colombo
“Corriere della Sera”, 21 gennaio 2005
"Mi verrebbe da dire che è una berlusconata, come il ponte sullo Stretto o le altre grandi opere promesse dal governo. In realtà siamo di fronte a un fatto grave: all’idea, cioè, che si voglia risolvere un problema importante e decisivo come quello energetico con le solite sparate propagandistiche".
E se non fosse solo propaganda?
Me ne stupirei. Non c’è alcuna novità rivoluzionaria che possa farci riconsiderare il problema del nucleare in Italia, peraltro archiviato dalla volontà popolare con il referendum del 1987.
È un no deciso quello del fisico Marcello Cini, uno dei padri ispiratori dei movimenti ambientalisti italiani, professore emerito alla Sapienza di Roma: "Da nessuna parte al mondo si costruiscono nuove centrali, neppure nei Paesi dove ci sono già. Un motivo ci sarà".
Lei perché dice no?
Per problemi di sicurezza e di costi. Primo, il tema fondamentale dello smaltimento delle scorie radioattive: oggi come ieri non esiste posto sicuro che possa contenerle, senza procurare danni, per migliaia di anni. Secondo: costruire oggi una centrale nucleare, con spese enormi per allestirla in piena sicurezza, significa averla a regime tra 15 anni o più. E una centrale ha una vita breve, intorno ai 25-30 anni. Dove sta la convenienza? Terzo: non è con questa tecnologia che si affrontano i problemi dell’energia e del declino industriale nel nostro Paese. Questo presuppone una cultura del gigantismo che andava di moda negli anni ‘50. E non tiene il discorso che il nucleare non inciderebbe sull’effetto serra: anche altre fonti garantirebbero energia pulita e rispetto per l’ambiente.
Per esempio?
Bisogna investire risorse nelle energie rinnovabili come il solare o l’eolico. È ridicolo che la Germania sia avanzatissima in questo campo e l’Italia, che è il Paese del sole, stia a guardare. I progetti da noi ci sono: bisogna lavorare per favorire il solare là dove il sole abbonda, come nei deserti, e poi magari utilizzare l’idrogeno come vettore per portare l’energia là dove serve.
Lei ha parlato di sicurezza: ma l’Italia non è circondata da Paesi "nuclearizzati"?
Le conseguenze di un incidente sarebbero disastrose, e allora speriamo, e lo credo, che tutto sia messo in estrema sicurezza. Il problema sta nell’accettare, a casa nostra, questo rischio: vivere nella convinzione che l’eventualità di incidente, sia pur bassissima, possa distruggere mezzo Paese. Ricordare Chernobyl, a questo punto, non è demagogia.
Come spiega, allora, questo ritorno di fiamma?
Non lo spiego affatto. Ma capisco che ogni tanto qualche gruppo di pressione si muova. E che anche in qualche circolo scientifico si risvegli la nostalgia del nucleare.
Secondo lei, qualcosa è cambiato nel modo in cui gli italiani percepiscono il problema del nucleare?
Se mi chiede come finirebbe oggi un referendum sugli Ogm, non avrei dubbi nel rispondere che la maggioranza della popolazione direbbe no. Sul nucleare, non so: non se ne parla da decenni e bisognerebbe continuare su questa strada. Però capisco che le pressioni potrebbero cambiare qualcosa. Soprattutto se chi possiede tre tv private e dispone anche di tre tv pubbliche le utilizza per amplificare il messaggio.
di Claudio Colombo
“Corriere della Sera”, 21 gennaio 2005
"Mi verrebbe da dire che è una berlusconata, come il ponte sullo Stretto o le altre grandi opere promesse dal governo. In realtà siamo di fronte a un fatto grave: all’idea, cioè, che si voglia risolvere un problema importante e decisivo come quello energetico con le solite sparate propagandistiche".
E se non fosse solo propaganda?
Me ne stupirei. Non c’è alcuna novità rivoluzionaria che possa farci riconsiderare il problema del nucleare in Italia, peraltro archiviato dalla volontà popolare con il referendum del 1987.
È un no deciso quello del fisico Marcello Cini, uno dei padri ispiratori dei movimenti ambientalisti italiani, professore emerito alla Sapienza di Roma: "Da nessuna parte al mondo si costruiscono nuove centrali, neppure nei Paesi dove ci sono già. Un motivo ci sarà".
Lei perché dice no?
Per problemi di sicurezza e di costi. Primo, il tema fondamentale dello smaltimento delle scorie radioattive: oggi come ieri non esiste posto sicuro che possa contenerle, senza procurare danni, per migliaia di anni. Secondo: costruire oggi una centrale nucleare, con spese enormi per allestirla in piena sicurezza, significa averla a regime tra 15 anni o più. E una centrale ha una vita breve, intorno ai 25-30 anni. Dove sta la convenienza? Terzo: non è con questa tecnologia che si affrontano i problemi dell’energia e del declino industriale nel nostro Paese. Questo presuppone una cultura del gigantismo che andava di moda negli anni ‘50. E non tiene il discorso che il nucleare non inciderebbe sull’effetto serra: anche altre fonti garantirebbero energia pulita e rispetto per l’ambiente.
Per esempio?
Bisogna investire risorse nelle energie rinnovabili come il solare o l’eolico. È ridicolo che la Germania sia avanzatissima in questo campo e l’Italia, che è il Paese del sole, stia a guardare. I progetti da noi ci sono: bisogna lavorare per favorire il solare là dove il sole abbonda, come nei deserti, e poi magari utilizzare l’idrogeno come vettore per portare l’energia là dove serve.
Lei ha parlato di sicurezza: ma l’Italia non è circondata da Paesi "nuclearizzati"?
Le conseguenze di un incidente sarebbero disastrose, e allora speriamo, e lo credo, che tutto sia messo in estrema sicurezza. Il problema sta nell’accettare, a casa nostra, questo rischio: vivere nella convinzione che l’eventualità di incidente, sia pur bassissima, possa distruggere mezzo Paese. Ricordare Chernobyl, a questo punto, non è demagogia.
Come spiega, allora, questo ritorno di fiamma?
Non lo spiego affatto. Ma capisco che ogni tanto qualche gruppo di pressione si muova. E che anche in qualche circolo scientifico si risvegli la nostalgia del nucleare.
Secondo lei, qualcosa è cambiato nel modo in cui gli italiani percepiscono il problema del nucleare?
Se mi chiede come finirebbe oggi un referendum sugli Ogm, non avrei dubbi nel rispondere che la maggioranza della popolazione direbbe no. Sul nucleare, non so: non se ne parla da decenni e bisognerebbe continuare su questa strada. Però capisco che le pressioni potrebbero cambiare qualcosa. Soprattutto se chi possiede tre tv private e dispone anche di tre tv pubbliche le utilizza per amplificare il messaggio.
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