Il cemento si è mangiato 12 milioni di ettari di verde
26 ottobre 2007, L'Unità
le
È UNO dei paradossi italiani: una frenetica attività edilizia, con conseguente erosione di suolo libero a fronte della cronica emergenza abitativa. I numeri sono quelli dell’Istat e sono stati rielaborati dal Comitato per la Bellezza presieduto da Vittorio Emiliani. Dieci anni di attività e studio per denunciare la cementificazione che viaggia al ritmo di oltre 244mila ettari l’anno. «Su una cartina tratta dall’annuario dell’Istat - riporta Emiliani - il colore marrone indica le zone più edificate, il verde quelle libere dal cemento. Ebbene fra Venezia e Milano il verde è sparito, domina il marrone».
In quindici anni sono stati così erosi 3milioni e 663mila ettari, cioè una regione più estesa del Lazio e dell’Abruzzo assieme. Se si va ancora indietro nel tempo, nell’ultimo sessantennio, l’Italia si è fatta «mangiare » 12 milioni di ettari, pari a un terzo del suo territorio. Ma con un particolare: l’edilizia che si è andata espandendo nelle regioni, riguarda costruzioni destinate unicamente al mercato, dimenticando così l’emergenza abitativa nella quale versano i ceti medio-bassi. «Si tratta di speculazione - è scritto nel Rapporto del Comitato per la Bellezza - sovente nelle zone turistiche costiere e montane, di grande pregio e bellezza come le valli toscane, marchigiane e umbre. Il Paese spaesato (così il Comitato chiama l’Italia, ndr), assiste alla cementificazione scoprendo che sei milioni di abitazioni esistenti su circa 28, sono seconde e terze case, per un volume di investimenti che dal 1999 al 2005 è passato da 58 a 71miliardi di euro».
La speciale classifica delle devastazioni ambientali, stilata dal Comitato, posiziona la Liguria al primo posto. Dal 1990 al 2005 la regione è riuscita nell’impresa di edificare la metà del territorio ancora libero. Segue la Calabria e poi la Campania dove si sono perduti 140mila ettari, ma con un avvertimento: al Sud è difficile, dati gli alti picchi di abusivismo, fare stime attendibili. In Veneto per ora, si salvano i colli Euganei, protetti dal parco regionale, in Sardegna la giunta Soru cerca di correre ai ripari, nel Lazio l’Agro Romano rimane sotto assedio. Insomma l’edilizia residenziale è volano per l’economia, incoraggiata dai Comuni che così fanno cassa, anche se domanda e offerta di case non si incontrano.
Gli undici milioni di italiani che vivono in affitto, sembrano ignorati dalla politica che da anni ha deciso di non investire nell’edilizia economica o convenzionata. In Europa, nella classifica per disponibilità di alloggi, l’Italia è fanalino di coda con 19 appartamenti in affitto su 100. Solo Spagna e Irlanda fanno peggio nelle politiche abitative. In Inghilterra il31%delle case è in locazione, in Francia il 38%, in Olanda siamo al45%per arrivare ai picchi della Germania dove il 55% degli inquilini paga l’affitto. Il governo Prodi ha varato è vero un piano casa da 550 milioni di euro,ma il rischio, avverte il Rapporto è di trovarsi di fronte «al solito acquisto di alloggi nuovi già costruiti da destinare alle migliaia di famiglie sfrattate», cioè inseguire una situazione piuttosto che programmare degli interventi. In questo contesto, speculazioni e crack finanziari a parte, l’indebitamento bancario per comprare casa si è gonfiato dai 41 miliardi di euro del 1997, agli 80 del 2000 per arrivare ai 160 miliardi di euro nel 2004. Di fronte a questa contraddizione che colpisce contestualmente il paesaggio naturale, agrario, storico e le classi meno abbienti, il Rapporto avanza alcune proposte per fronteggiare emergenza abitativa e ambientale: «Occorre agevolare massicciamente - si legge - il restauro e il recupero dell’edilizia già esistente, togliendo ai Comuni la delega alla tutela del paesaggio accordata loro da alcune regioni». Il rischio altrimenti, è di azzerare anche l’industria turistica della quale si tenta il rilancio e che dà occupazione a milioni di persone. Un affare che non conviene a nessuno, dunque, tranne alla speculazione immobiliare.
26 ottobre 2007, L'Unità
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È UNO dei paradossi italiani: una frenetica attività edilizia, con conseguente erosione di suolo libero a fronte della cronica emergenza abitativa. I numeri sono quelli dell’Istat e sono stati rielaborati dal Comitato per la Bellezza presieduto da Vittorio Emiliani. Dieci anni di attività e studio per denunciare la cementificazione che viaggia al ritmo di oltre 244mila ettari l’anno. «Su una cartina tratta dall’annuario dell’Istat - riporta Emiliani - il colore marrone indica le zone più edificate, il verde quelle libere dal cemento. Ebbene fra Venezia e Milano il verde è sparito, domina il marrone».
In quindici anni sono stati così erosi 3milioni e 663mila ettari, cioè una regione più estesa del Lazio e dell’Abruzzo assieme. Se si va ancora indietro nel tempo, nell’ultimo sessantennio, l’Italia si è fatta «mangiare » 12 milioni di ettari, pari a un terzo del suo territorio. Ma con un particolare: l’edilizia che si è andata espandendo nelle regioni, riguarda costruzioni destinate unicamente al mercato, dimenticando così l’emergenza abitativa nella quale versano i ceti medio-bassi. «Si tratta di speculazione - è scritto nel Rapporto del Comitato per la Bellezza - sovente nelle zone turistiche costiere e montane, di grande pregio e bellezza come le valli toscane, marchigiane e umbre. Il Paese spaesato (così il Comitato chiama l’Italia, ndr), assiste alla cementificazione scoprendo che sei milioni di abitazioni esistenti su circa 28, sono seconde e terze case, per un volume di investimenti che dal 1999 al 2005 è passato da 58 a 71miliardi di euro».
La speciale classifica delle devastazioni ambientali, stilata dal Comitato, posiziona la Liguria al primo posto. Dal 1990 al 2005 la regione è riuscita nell’impresa di edificare la metà del territorio ancora libero. Segue la Calabria e poi la Campania dove si sono perduti 140mila ettari, ma con un avvertimento: al Sud è difficile, dati gli alti picchi di abusivismo, fare stime attendibili. In Veneto per ora, si salvano i colli Euganei, protetti dal parco regionale, in Sardegna la giunta Soru cerca di correre ai ripari, nel Lazio l’Agro Romano rimane sotto assedio. Insomma l’edilizia residenziale è volano per l’economia, incoraggiata dai Comuni che così fanno cassa, anche se domanda e offerta di case non si incontrano.
Gli undici milioni di italiani che vivono in affitto, sembrano ignorati dalla politica che da anni ha deciso di non investire nell’edilizia economica o convenzionata. In Europa, nella classifica per disponibilità di alloggi, l’Italia è fanalino di coda con 19 appartamenti in affitto su 100. Solo Spagna e Irlanda fanno peggio nelle politiche abitative. In Inghilterra il31%delle case è in locazione, in Francia il 38%, in Olanda siamo al45%per arrivare ai picchi della Germania dove il 55% degli inquilini paga l’affitto. Il governo Prodi ha varato è vero un piano casa da 550 milioni di euro,ma il rischio, avverte il Rapporto è di trovarsi di fronte «al solito acquisto di alloggi nuovi già costruiti da destinare alle migliaia di famiglie sfrattate», cioè inseguire una situazione piuttosto che programmare degli interventi. In questo contesto, speculazioni e crack finanziari a parte, l’indebitamento bancario per comprare casa si è gonfiato dai 41 miliardi di euro del 1997, agli 80 del 2000 per arrivare ai 160 miliardi di euro nel 2004. Di fronte a questa contraddizione che colpisce contestualmente il paesaggio naturale, agrario, storico e le classi meno abbienti, il Rapporto avanza alcune proposte per fronteggiare emergenza abitativa e ambientale: «Occorre agevolare massicciamente - si legge - il restauro e il recupero dell’edilizia già esistente, togliendo ai Comuni la delega alla tutela del paesaggio accordata loro da alcune regioni». Il rischio altrimenti, è di azzerare anche l’industria turistica della quale si tenta il rilancio e che dà occupazione a milioni di persone. Un affare che non conviene a nessuno, dunque, tranne alla speculazione immobiliare.
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