l’Unità 15.1.08
Barenboim, c’è un muro anche nella musica
I falchi israeliani contro Daniel Barenboim: toglietegli il passaporto
Il direttore d’orchestra ebreo è sotto accusa per aver accettato il documento palestinese come simbolo di fraternità
di Umberto De Giovannangeli
Un messaggio di speranza che viaggia sulle note musicali. Un messaggio tanto più pregnante perchè a veicolarlo è un grande direttore d’orchestra: Daniel Barenboim. In Israele la destra oltranzista si è scagliata contro di lui per aver accettato il passaporto palestinese. Si è gridato al «tradimento», la stessa accusa a suo tempo lanciata contro il premier israeliano Yitzhak Rabin, colpito a morte da un giovane zelota per aver «osato» di fare la pace con il «Nemico», Yasser Arafat. Ma prima di riflettere sul significato del «doppio passaporto», vale la pena soffermarsi sul contesto nel quale questa scelta è stata annunciata.
Perché è quel contesto a dare il senso della straordinaria esperienza di cui Daniel Barenboim si è reso protagonista. I Territori palestinesi conquistano l’interesse internazionale quando sono associati a raid, atti di terrorismo, rappresaglie, sofferenze, patimenti... Ramallah, capitale della Cisgiordania, è balzata ai tristi onori della cronaca nei mesi dell’assedio israeliano alla Muqata, il quartier generale dell’Anp dove era confinato Yasser Arafat. Le «note» di quei mesi erano quelle, lugubri, di mitragliatori, colpi di artiglieria, missili... È con queste «note» che i giovani di Ramallah sono cresciuti, che sono stati costretti a «imparare» fin da piccoli. Ben diverse, erano le note che hanno riempito, l’altra sera, il Palazzo della Cultura di Ramallah. Note che hanno beato un pubblico di oltre 1200 persone. Molti avevano le lacrime agli occhi nell’ascoltare le composizioni di Beethoven eseguite dall’orchestra diretta da Barenboim.
È questo il «miracolo» maturato a Ramallah: invece di ingrossare le fila delle milizie armate, centinaia di ragazzi e ragazze palestinesi erano lì ad ascoltare quel maestro israeliano. E la sua orchestra. Un’orchestra composta da giovani musicisti israeliani e arabi( in maggior parte palestinesi). In platea c’erano ragazzi in jeans e donne velate. Quelle note struggenti hanno superato i Muri, quelli fisici e quelli mentali che segnano la Terra Santa. Note che uniscono. Che fannno sognare. Note che liberano la mente dalle angosce del presente, un presente di sofferenza per tanti palestinesi e israeliani. Il doppio passaporto è la carta d’identità di questa speranza. Perché la musica raggiunge i cuori prima e meglio di tante esternazioni politiche. Perché la West-Eastern Divan Orchestra - realizzata nel 1999 su un progetto che Barenboim aveva messo a punto assieme ad Edward Said, il più grande intellettuale palestinese, ora scomparso - racchiude in sé, più e meglio di tanti accordi scritti e mai praticati, una idea alta, nobile, e concreta, di cooperazione tra i due popoli. Tra le loro gioventù.
Quel doppio passaporto non è una provocazione. È un investimento sul futuro. La forza di Barenboim è di non voler vestire i panni del politico. Ed è per questo che il suo messaggio è ancora più (positivamente) dirompente, ed è per questo che è entrato nel mirino dei seminatori di odio: «Non credo che la musica sia il veicolo di qualcosa. Io vengo qui (a Ramallah) come un essere umano, con lo spirito di chi vuol far conoscere e migliorare la vita delle persone», ha spiegato dopo aver concluso il suo concerto. E la musica aiuta, e molto, a migliorare la vita dei giovani di Ramallah. E, se fosse per il maestro, le note di Beethoven riempirebbero anche Gaza. Se fosse per lui, porterebbe anche la Scala di Milano a Ramallah.
Non dà lezioni di diplomazia, Daniel Barenboim. Ma ricorda che «la musica ti dà soprattutto la possibilità di capire il mondo. Suonare in orchestra, ad esempio, è una grande lezione di democrazia. Forma l’abitudine ad ascoltare gli altri. Così i modi di fare musica possono, devono essere modelli per l’esperienza umana. E la missione della musica in questo millennio è quella di lottare contro chi la vuole staccata dalla vita...». Una lotta che Barenboim conduce con coerenza. Attraverso le note e l’esperienza di un’orchestra che parla ai politici dei due campi. E racconta di una pace possibile. «Proponiamo un modello - riflette Barenboim -. Dei ragazzi con in comune la musica possono esprimere se stessi e ascotare al contempo le ragioni dell’altro. Perché non esiste una soluzione militare, e i destini del popolo palestinese e israeliano sono inestricabilmente uniti». Uniti come la West-Eastern Divan Orchestra. Uniti come il doppio passaporto - israeliano e palestinese - di Daniel Barenboim.
Non «sparate» sul pianista... In questo caso, sul direttore d’orchestra. Il vecchio adagio non sembra però valere per Daniel Barenboim. A «sparare», politicamente parlando s’intende, sul celebre direttore d’orchestra è la destra israeliana, infuriata per la decisione di Barenboim di accettare il passaporto palestinese nell’intento di dare il proprio contributo al processo di pace. Il primo a insorgere è Yaakov Margi, uno dei leader del partito ortodosso sefardita Shas. Margi ha chiesto che al direttore d’orchestra sia revocata la cittadinanza israeliana. E spiega così la sua richiesta: «In quanto cittadino di una entità nemica, il ministro degli Interni dovrebbe revocargliela. Ma anche se ciò non avvenisse - aggiunge il dirigente di Sgas - Barenboim ha definitivamente perso agli occhi degli israeliani la propria statura morale». Ai suoi contestatori, Barenboim risponde, sia pur indirettamente, tornando sulle ragioni del proprio impegno a favore del dialogo: «Quello che vorrei soprattutto - dice - è che venga superato il pregiudizio che chi fa qualcosa per i palestinesi sia per ciò stesso un nemico di Israele».
Ma per gli zeloti oltranzisti, la sentenza è già stata emessa. Ed è una condanna senza appello. Che naviga su internet, nei siti legati alla destra oltranzista israeliana: Barenboim è un «traditore», ed è l’epiteto più gentile. Sul piano strettamente legale, è un portavoce del ministero degli Interni a precisare che «la questione (del ritiro del passaporto israeliano a Barenboim, ndr.) non si pone», innanzitutto per motivi tecnici. Israele vieta infatti ai propri cittadini di assumere la cittadinanza di «Stati nemici» e l’Autorità nazionale palestinese non è per il momento qualificata come uno Stato. Ma la precisazione non mette fine alle polemiche. Anche la stampa di destra non lesina critiche nei confronti del grande musicista. Il quotidiano «Makor Rishon» si è chiesto ieri «quale sarà la prossima provocazione di Barenboim: andrà forse a singhiozzare sulla tomba di Yasser Arafat?». Non basta. Il giornale accusa pure Barenboim di aver mostrato insensibilità quando si rifiutò di rilasciare una intervista ad una soldatessa della radio militare che si era presentata in divisa al suo cospetto e quando eseguì di fronte a sopravvissuti dell’Olocausto brani di Richard Wagner, un compositore che in Israele è associato all’ideologia nazista. «Baremboim - conclude il giornale - ha dimostrato che scandali mediatici avvengono non solo negli ambienti del rock-and-roll. Ma possiamo consolarci: forse almeno in questo modo attirerà la curiosità dei nostri giovani per la musica classica». Nel fuoco delle polemiche e delle accuse più sferzanti, i censori di Barenboim cancellano il significato, che va ben oltre il campo artistico, insito nell’esperienza della West-Eastern Divan Orchestra, fondata da Barenboim nel 1999 su una idea condivisa con il più grande intellettuale palestinese, ora scomparso, Edward Said; orchestra composta da 80 giovani musicisti israeliani e arabi, in particolare palestinesi. «Questa iniziativa - dice a l’Unità Mustafa Barghuti, ex ministro dell’Informazione palestinese - ha promosso il dialogo molto più di tante esternazioni politiche». u.d.g.
Barenboim, c’è un muro anche nella musica
I falchi israeliani contro Daniel Barenboim: toglietegli il passaporto
Il direttore d’orchestra ebreo è sotto accusa per aver accettato il documento palestinese come simbolo di fraternità
di Umberto De Giovannangeli
Un messaggio di speranza che viaggia sulle note musicali. Un messaggio tanto più pregnante perchè a veicolarlo è un grande direttore d’orchestra: Daniel Barenboim. In Israele la destra oltranzista si è scagliata contro di lui per aver accettato il passaporto palestinese. Si è gridato al «tradimento», la stessa accusa a suo tempo lanciata contro il premier israeliano Yitzhak Rabin, colpito a morte da un giovane zelota per aver «osato» di fare la pace con il «Nemico», Yasser Arafat. Ma prima di riflettere sul significato del «doppio passaporto», vale la pena soffermarsi sul contesto nel quale questa scelta è stata annunciata.
Perché è quel contesto a dare il senso della straordinaria esperienza di cui Daniel Barenboim si è reso protagonista. I Territori palestinesi conquistano l’interesse internazionale quando sono associati a raid, atti di terrorismo, rappresaglie, sofferenze, patimenti... Ramallah, capitale della Cisgiordania, è balzata ai tristi onori della cronaca nei mesi dell’assedio israeliano alla Muqata, il quartier generale dell’Anp dove era confinato Yasser Arafat. Le «note» di quei mesi erano quelle, lugubri, di mitragliatori, colpi di artiglieria, missili... È con queste «note» che i giovani di Ramallah sono cresciuti, che sono stati costretti a «imparare» fin da piccoli. Ben diverse, erano le note che hanno riempito, l’altra sera, il Palazzo della Cultura di Ramallah. Note che hanno beato un pubblico di oltre 1200 persone. Molti avevano le lacrime agli occhi nell’ascoltare le composizioni di Beethoven eseguite dall’orchestra diretta da Barenboim.
È questo il «miracolo» maturato a Ramallah: invece di ingrossare le fila delle milizie armate, centinaia di ragazzi e ragazze palestinesi erano lì ad ascoltare quel maestro israeliano. E la sua orchestra. Un’orchestra composta da giovani musicisti israeliani e arabi( in maggior parte palestinesi). In platea c’erano ragazzi in jeans e donne velate. Quelle note struggenti hanno superato i Muri, quelli fisici e quelli mentali che segnano la Terra Santa. Note che uniscono. Che fannno sognare. Note che liberano la mente dalle angosce del presente, un presente di sofferenza per tanti palestinesi e israeliani. Il doppio passaporto è la carta d’identità di questa speranza. Perché la musica raggiunge i cuori prima e meglio di tante esternazioni politiche. Perché la West-Eastern Divan Orchestra - realizzata nel 1999 su un progetto che Barenboim aveva messo a punto assieme ad Edward Said, il più grande intellettuale palestinese, ora scomparso - racchiude in sé, più e meglio di tanti accordi scritti e mai praticati, una idea alta, nobile, e concreta, di cooperazione tra i due popoli. Tra le loro gioventù.
Quel doppio passaporto non è una provocazione. È un investimento sul futuro. La forza di Barenboim è di non voler vestire i panni del politico. Ed è per questo che il suo messaggio è ancora più (positivamente) dirompente, ed è per questo che è entrato nel mirino dei seminatori di odio: «Non credo che la musica sia il veicolo di qualcosa. Io vengo qui (a Ramallah) come un essere umano, con lo spirito di chi vuol far conoscere e migliorare la vita delle persone», ha spiegato dopo aver concluso il suo concerto. E la musica aiuta, e molto, a migliorare la vita dei giovani di Ramallah. E, se fosse per il maestro, le note di Beethoven riempirebbero anche Gaza. Se fosse per lui, porterebbe anche la Scala di Milano a Ramallah.
Non dà lezioni di diplomazia, Daniel Barenboim. Ma ricorda che «la musica ti dà soprattutto la possibilità di capire il mondo. Suonare in orchestra, ad esempio, è una grande lezione di democrazia. Forma l’abitudine ad ascoltare gli altri. Così i modi di fare musica possono, devono essere modelli per l’esperienza umana. E la missione della musica in questo millennio è quella di lottare contro chi la vuole staccata dalla vita...». Una lotta che Barenboim conduce con coerenza. Attraverso le note e l’esperienza di un’orchestra che parla ai politici dei due campi. E racconta di una pace possibile. «Proponiamo un modello - riflette Barenboim -. Dei ragazzi con in comune la musica possono esprimere se stessi e ascotare al contempo le ragioni dell’altro. Perché non esiste una soluzione militare, e i destini del popolo palestinese e israeliano sono inestricabilmente uniti». Uniti come la West-Eastern Divan Orchestra. Uniti come il doppio passaporto - israeliano e palestinese - di Daniel Barenboim.
Non «sparate» sul pianista... In questo caso, sul direttore d’orchestra. Il vecchio adagio non sembra però valere per Daniel Barenboim. A «sparare», politicamente parlando s’intende, sul celebre direttore d’orchestra è la destra israeliana, infuriata per la decisione di Barenboim di accettare il passaporto palestinese nell’intento di dare il proprio contributo al processo di pace. Il primo a insorgere è Yaakov Margi, uno dei leader del partito ortodosso sefardita Shas. Margi ha chiesto che al direttore d’orchestra sia revocata la cittadinanza israeliana. E spiega così la sua richiesta: «In quanto cittadino di una entità nemica, il ministro degli Interni dovrebbe revocargliela. Ma anche se ciò non avvenisse - aggiunge il dirigente di Sgas - Barenboim ha definitivamente perso agli occhi degli israeliani la propria statura morale». Ai suoi contestatori, Barenboim risponde, sia pur indirettamente, tornando sulle ragioni del proprio impegno a favore del dialogo: «Quello che vorrei soprattutto - dice - è che venga superato il pregiudizio che chi fa qualcosa per i palestinesi sia per ciò stesso un nemico di Israele».
Ma per gli zeloti oltranzisti, la sentenza è già stata emessa. Ed è una condanna senza appello. Che naviga su internet, nei siti legati alla destra oltranzista israeliana: Barenboim è un «traditore», ed è l’epiteto più gentile. Sul piano strettamente legale, è un portavoce del ministero degli Interni a precisare che «la questione (del ritiro del passaporto israeliano a Barenboim, ndr.) non si pone», innanzitutto per motivi tecnici. Israele vieta infatti ai propri cittadini di assumere la cittadinanza di «Stati nemici» e l’Autorità nazionale palestinese non è per il momento qualificata come uno Stato. Ma la precisazione non mette fine alle polemiche. Anche la stampa di destra non lesina critiche nei confronti del grande musicista. Il quotidiano «Makor Rishon» si è chiesto ieri «quale sarà la prossima provocazione di Barenboim: andrà forse a singhiozzare sulla tomba di Yasser Arafat?». Non basta. Il giornale accusa pure Barenboim di aver mostrato insensibilità quando si rifiutò di rilasciare una intervista ad una soldatessa della radio militare che si era presentata in divisa al suo cospetto e quando eseguì di fronte a sopravvissuti dell’Olocausto brani di Richard Wagner, un compositore che in Israele è associato all’ideologia nazista. «Baremboim - conclude il giornale - ha dimostrato che scandali mediatici avvengono non solo negli ambienti del rock-and-roll. Ma possiamo consolarci: forse almeno in questo modo attirerà la curiosità dei nostri giovani per la musica classica». Nel fuoco delle polemiche e delle accuse più sferzanti, i censori di Barenboim cancellano il significato, che va ben oltre il campo artistico, insito nell’esperienza della West-Eastern Divan Orchestra, fondata da Barenboim nel 1999 su una idea condivisa con il più grande intellettuale palestinese, ora scomparso, Edward Said; orchestra composta da 80 giovani musicisti israeliani e arabi, in particolare palestinesi. «Questa iniziativa - dice a l’Unità Mustafa Barghuti, ex ministro dell’Informazione palestinese - ha promosso il dialogo molto più di tante esternazioni politiche». u.d.g.
Nessun commento:
Posta un commento