giovedì 4 ottobre 2007

In Cisgiordania, i coloni israeliani radicali ripartono alla conquista di nuove colline

In Cisgiordania, i coloni israeliani radicali ripartono alla conquista di nuove colline
di Michel Bôle-Richard - 04/10/2007 Fonte: osservarioiraq
Efrat (Cisgiordania) – Di passare non se ne parla. Né in macchina, né a piedi. Un numero considerevole di forze di polizia hanno preso posizione, domenica 30 settembre, all’ingresso e in diversi punti di passaggio della colonia di Efrat, a est del "blocco" di Etzion, posto a una ventina di chilometri a sud di Gerusalemme. Un dispiegamento di forze che mira a fermare le centinaia di manifestanti che avevano deciso di fare di questa giornata quella della conquista di nuove terre. Due anni dopo il loro ritiro dalla striscia di Gaza, durante l’estate 2005, i coloni radicali hanno deciso di ripartire all’attacco in occasione della festa ebraica di Sukkot (Festa delle capanne). Hanno fissato cinque obiettivi per creare delle nuove colonie illegali, che si andrebbero ad aggiungere alle 101 già registrate ora dal movimento La Pace. Due sono poste al Nord, nella regione di Nablus, una nei pressi di Ramallah, al centro della Cisgiordania, e due al Sud.L’esercito ha dichiarato questi settori "zone militari chiuse", ma i coloni, giunti con bambini e attrezzatura da pic-nic, hanno superato senza difficoltà gli sbarramenti per andare a mettersi sulla sommità delle colline desiderate. A Efrat, hanno marciato per circa tre chilometri per posizionarsi sulle alture di Eitam e di Zait, nomi delle due montagnette sulle quali intendono stabilirsi. Entrambe sono poste al di là dello spazio spianato sul quale, presto, sorgerà la "barriera di sicurezza" che circonda questa colonia di 7mila abitanti, che domina i villaggi palestinesi sulle cui terre è stata costruita."Ci siamo già stabiliti su cinque colline. Efrat, sono sette colline che corrispondono alle sette spezie . Noi ci batteremo per farle nostre. La terra ebraica appartiene agli ebrei. Ci troviamo qui da cinquemila anni. Il mondo intero sta contro di noi, ma Dio è con noi. Ci riusciremo, perché è così che lo Stato ebraico è stato costruito, poco a poco...": Eli Sheva Atlow ha indossato la maglietta arancione, colore dell’unione dei coloni della striscia di Gaza in lotta contro la loro espulsione da questo territorio decisa da Ariel Sharon. Ha già passato 25 anni a Efrat, dice di voler fare tanti figli quanti gliene concederà Dio e non ha intenzione di lasciar perdere. "Mio padre è stato espulso dall’Algeria, mia madre dalla Polonia: non me ne andrò mai di qui. Gli ebrei nella terra degli ebrei, gli arabi nella terra degli arabi", è lo slogan di questa donna minuta, sostenuta nelle sue convinzioni da tutti coloro che la circondano."Guardate le nostre case. Sono tutte ammucchiate l’una sull’altra. Gli arabi, loro hanno spazio", aggiunge un vicino. Nadia Matar, capofila delle Donne in verde, un movimento radicale di lotta a favore delle colonie, è venuta a portare il suo sostegno, accompagnata da Arye Yitzhaki, pure una veterana delleGoush Katif, le colonie smantellate nella striscia di Gaza. "Noi continueremo a costruire delle comunità e a riconvertire il territorio del paese dei patriarchi", afferma.Un po’ più a sud, in prossimità di Hebron, dove si trova con esattezza la Tomba dei Patriarchi, un luogo santo venerato sia dagli ebrei che dai musulmani, altri coloni hanno aggirato facilmente i militari e la barriera gialla appena realizzata per salire sulla collina 1013, in cima alla quale sventola la bandiera israeliana. Questo promontorio, posto al bivio di Halhul che conduce a Hebron, domina la strada 60, che attraversa la Cisgiordania da nord a sud. Si tratta di un punto strategico, controllato dall’esercito, in cui coloni vorrebbero investire. Alcuni hanno previsto di passare la notte sui terreni appena conquistati. Le forze dell’ordine interverranno? E quando? Lunedì, era prevista una nuova marcia in direzione della colonia di Homesh, nel nord della Cisgiordania, evacuata nell’estate 2005 e divenuta simbolo di una conquista desiderata. I coloni non abbandonano la armi. Le Monde, 1 ottobre 2007
(Traduzione di Carlo M. Miele)

Nessun commento: