Ritalin: le due facce di uno psicofarmaco
di Cristiana Pulcinelli
TORNA ad essere venduto in Italia il farmaco contro la
sindrome da deficit di attenzione e iperattività, ma
con alcuni paletti contro il rischio di abuso. Alcuni
sono favorevoli, altri no. Perché?
La settimana scorsa, l'Agenzia italiana del farmaco ha
approvato l'immissione in commercio di due farmaci che
sono indicati per il trattamento della Sindrome da
deficit di attenzione e iperattività, o Adhd, come
viene chiamata in inglese.
Le due sostanze sono il metilfenidato, conosciuto con
il nome commerciale di Ritalin, e la atomoxedina, il
cui nome commerciale è Strattera. I due farmaci non
sono uguali, ma entrambi agiscono sui
neurotrasmettitori, ossia le sostanze che permettono
lo scambio di informazioni tra le cellule nervose.
L'atomoxedina però è un preparato nuovo e la sua
commercializzazione è stata approvata
contemporaneamente da tutti gli stati europei con una
procedura di mutuo riconoscimento, il che vuol dire
che nessun paese si può opporre alla sua
autorizzazione. Siamo in Europa.
Il metilfenidato, invece, è una conoscenza antica. In
Italia era già stato venduto, ma la casa produttrice
(che allora era la Bayer, mentre oggi è Novartis)
decise di ritirarlo dal nostro mercato nell'89, un po'
perché si vendeva poco e un po' perché era entrato in
un mercato illecito. Il metilfenidato infatti è
un'anfetamina e veniva usato dagli studenti per star
su tutta la notte a preparare gli esami o a ballare in
discoteca e dalle loro mamme per dimagrire. Tuttavia,
negli altri paesi europei il farmaco ha continuato ad
essere venduto.
Oggi questi farmaci entrano nel mercato italiano con
un'indicazione precisa: il trattamento dell'Adhd. La
notizia ha dato vita a reazioni opposte: da un lato,
c'è chi l'ha accolta con favore e, anzi, la aspettava
da tempo, dall'altro c'è chi invece ha criticato la
velocità con cui si è giunti a questa decisione ed ha
manifestato una forte preoccupazione per quello che
potrà accadere. Tra i primi troviamo alcune
associazioni di familiari di bambini affetti da Adhd,
tra i secondi «Giù le mani dai bambini», un comitato
che raggruppa cento associazioni di volontariato e
promozione sociale e che si batte contro quello che
considerano un uso eccessivo degli psicofarmaci nei
bambini. La questione è oggetto anche di
un'interrogazione parlamentare presentata da Ermina
Emprin e Tiziana Valpiana di Rifondazione comunista
che chiedono al ministro «le sue valutazioni in ordine
alla classificazione dell'Adhd come patologia
neuropsichiatria a esordio in età evolutiva, nonché in
ordine all'opportunità di prevedere l'accesso a
terapie farmacologiche psicostimolanti o
noradrenergiche a carico del Servizio Sanitario
Nazionale».
Cerchiamo di capire quali sono i punti di contrasto.
La sindrome. L'Adhd viene definito «un disordine dello
sviluppo neuropsichico del bambino e dell'adolescente,
caratterizzato da iperattività, impulsività,
incapacità a concentrarsi che si manifesta
generalmente prima dei 7 anni d'età». Alcuni però
mettono in discussione la diagnosi di questo disturbo.
I protocolli per diagnosticare la sindrome avrebbero
maglie troppo larghe e quindi potrebbero cadere nella
categoria anche bambini con altri problemi: «Spesso -
dice ad esempio lo psichiatra Luigi Cancrini - l'Adhd
viene diagnosticata anche quando c'è solo un problema
di ansia». C'è anche chi mette in discussione
l'esistenza stessa di una tale sindrome: «I bambini
sono vivaci, a volte inquieti, non stanno attenti a
scuola - afferma lo psicoanalista Giorgio Antonucci -
ma l'aggressività nei bambini è un problema etico,
sociale, ma non è certo un problema di carattere
clinico». In sostanza, ci sarebbe un tentativo di
medicalizzare problemi che non hanno niente di medico.
Tuttavia, sostiene Maurizio Bonati, responsabile del
laboratorio materno infantile dell'Istituto Mario
Negri di Milano, «da anni c'è un consenso sulla
definizione della malattia. Anche se i criteri possono
essere più o meno restrittivi: ad esempio, negli Stati
Uniti i criteri diagnostici sono più ampi e quindi si
contano più casi rispetto all'Europa». Mentre
oltreoceano si stima che la sindrome colpisca tra il 7
e il 10% dei bambini in età scolare, in Italia i casi
gravi sarebbero l'1%. Ma come si arriva a dire che il
bambino è affetto da Adhd? La diagnosi è un fatto
complesso: c'è la valutazione del neuropsichiatria, ma
anche quella dei i genitori e degli insegnanti, perché
il disturbo si manifesta soprattutto quando il bambino
si trova in comunità. «È un disturbo relazionale grave
- continua Bonati - che distrugge i rapporti, porta a
disturbi del sonno e dell'alimentazione e incide su
tutta la famiglia, provocandone l'isolamento».
La cura. La terapia di prima scelta non deve essere
quella farmacologia, ma quella
psicologico-relazionale: su questo sono tutti
d'accordo. Tuttavia, nei casi in cui le altre strade
hanno fallito rimane il farmaco. C'è però anche chi,
come «Giù le mani dai bambini» sostiene che invece i
protocolli di terapia sono troppo indirizzati all'uso
del farmaco: una via più semplice e veloce alla
soluzione del problema. Ed è possibile che verso
questa strada spingano le pressioni dell'industria
farmaceutica.
In Italia, dove il farmaco non era disponibile, alcuni
centri specializzati nella cura di questa sindrome
finora lo compravano all'estero. «Sembra strano dare a
un bambino ipercinetico un eccitante come l'anfetamina
- dice Bonati - ma si è visto che stimolando
ulteriormente i mediatori già molto stimolati del
bambino con Adhd si arriva a un punto in cui le scorte
si esauriscono e i mediatori non riescono più a
sfuggire al controllo. È come quando si corre troppo e
alla fine si esauriscono le forze». Anche questi
psicofarmaci hanno effetti collaterali che vanno dalla
riduzione di peso alla comparsa di tic e, in rari
casi, danni epatici o cardiaci. E una recente nota
della Food and Drug Administration, l'ente che regola
il commercio dei farmaci negli Stati Uniti, ha messo
in allerta sul fatto che gli psicofarmaci, tra cui
quelli usati per l'Adhd, possono causare sindromi
depressivo maniacali.
L'abuso. Il rischio di abuso di questi psicofarmaci
esiste: anche su questo sono tutti d'accordo. Nel
mondo l'uso del Ritalin è triplicato nel giro di 10
anni: a guidare la lista dei paesi che utilizzano di
più il farmaco sarebbero gli Stati Uniti. Ma anche la
vicina Francia non scherza. L'Agenzia del farmaco ha
pensato di ovviare al problema vincolando la
prescrizione del metilfenidato e dell'atomoxedina a
una diagnosi differenziale e a un piano terapeutico
definiti da centri di neuropsichiatria infantile
pubblici individuati dalle regioni. Questo vuol dire
che il pediatra o lo psichiatra privato non possono
prescrivere il farmaco, ma possono solo mandare il
bambino di cui si sospetta la malattia in uno di
questi centri specializzati. Inoltre, si prevede la
creazione di un registro anonimo dei bambini in
trattamento per seguire l'andamento della terapia.
«Questa è una mossa intelligente - commenta Luigi
Cancrini - così come il fatto che l'efficacia deve
essere valutata a un mese dall'inizio della terapia.
La stessa procedura dovrebbe essere usata per tutti
gli psicofarmaci».
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