sabato 13 ottobre 2007

La Chiesa si scusa e predica l'oblio

Liberazione 12.10.07
Ergastolo al prete del "genocidio"
La Chiesa si scusa e predica l'oblio
di Angela Nocioni

Avvicinava gli spinotti dell'elettricità ai genitali
del torturato e sorrideva: «Ehi, attento alla
macchina». Poi si aggiustava il colletto bianco,
asciugava le mani sul sottanone e si sfiorava gli
occhiali sul naso.
Il sorriso è svanito, ma il tic nervoso è rimasto. Ha
passato il pomeriggio in aula ad accarezzarsi la
montatura degli occhiali padre Christian von Wernich,
il sacerdote cattolico condannato martedì
all'ergastolo dal tribunale numero Uno di La Plata per
l'assassinio di sette persone, 31 casi di tortura e 42
sequestri illegali «durante il genocidio compiuto dai
militari argentini dal 1976 al 1983». Era il
cappellano della polizia Bonaerense, il processo ha
dimostrato che il suo ruolo era estorcere informazioni
ai sequestrati.
La parola "genocidio" scritta in una sentenza ha un
valore in Argentina, dove i macellai del regime, solo
appena appartati dalla scena pubblica, manovrano
affari e nomine dalle loro tenute di campagna.
Mai un rappresentante della gerarchia cattolica era
stato finora condannato come diretto responsabile dei
crimini commessi durante la dittatura. Pio Laghi
giocava a tennis con Videla, preti rubavano
confessioni a sequestrati e quattrini ai familiari, ma
quella di La Plata è la prima condanna in trenta anni
per un esponente della Chiesa.
Nemmeno una parola è stata pronunciata né dal Vaticano
né dai vescovi argentini, nulla è stato fatto per
correggere la linea della difesa, ferma sull'assoluta
negazione dei fatti.Von Wernich ha visitato almeno
quattro campi clandestini di reclusione nella zona di
La Plata conosciuti come Circuito Camps negli anni
della dittatura (verità innegabile confermata
in aula da numerosi tesimoni), ma l'ha fatto per
esercitare la «sua funzione pastorale». Questo hanno
ripetuto i suoi avvocati senza che nessuno, né da Roma
né da Buenos Aires, li abbia consigliati ad aggiustare
il tiro.
Monsignor Martin de Elizalde, diretto superiore del
sacerdote condannato, a sentenza pronunciata ha
diffuso il seguente comunicato: «Esprimo a nome della
comunità ecclesiastica la convinzione che il vangelo
di Gesù Cristo impone a noi che vogliamo essere suoi
discepoli una condotta che mostri il rispetto per i
nostri fratelli… ci dispiace che nella nostra patria
ci sia stata tanta divisione e tanto odio che come
chiesa non abbiamo saputo prevenire e sanare. Che un
sacerdote, per azione o omissione, fosse tanto lontano
dalle esigenze della sua missione ci porta a chiedere
perdono con pentimento sincero… Speriamo che la nostra
società trovi il sentiero della tanto desiderata
riconciliazione che richiede verità, giustizia,
pentimento e perdono».
Riconciliazione è la parola usata da trent'anni contro
chi chiede verità e giustizia. La stessa parola scelta
dagli avvocati della difesa a La Plata e da tutti
coloro che giustificano i crimini commessi dal regime
invocando la teoria dei due demoni, versione australe
della nostra teoria degli opposti estremismi. La
stessa parola scritta dal presidente dell'episcopato
argentino, il cardinale Jorge Bergoglio, per chiedere
di «allontanarsi tanto dall'impunità come dall'odio e
dal rancore» e ripetuta dai vescovi che insistono: «se
qualche membro della chiesa avallò con complicità
reati di repressionesi lo fece sotto sua personale
responsabilità». Negare il ruolo della chiesa
cattolica in sostegno alla dittatura. La stessa
posizione da trent'anni.
«Figlio mio, la vita degli uomini la decidono Dio e la
tua collaborazione» sussurrava Von Wernich durante gli
interrogatori. Ai detenuti spiegava: «Non dovete
odiare quando vi torturano». A chi chiedeva di una
neonata nella prigione clandestina rispondeva: «I
figli devono pagare la colpa dei genitori». Il
cappellano ha ascoltato le deposizioni in aula.
Solo un commento: «testimonianze impregnate di
malizia». Julio Emmed, agente di polizia, racconta di
sette detenuti uccisi dopo la promessa dell'esilio
sicuro. Tra i setti c'era una una ragazza incinta. Ha
partorito in cella. Sua figlia è stata battezzata da
Von Wernich. Lui ascolta, ogni tanto abbassa la testa
e scribacchia a matita su un foglio. Si dice vittima
di una cospirazione contro di lui costruita con accuse
false e paragona i testimoni al demonio. Ripete che
lui nei centri di prigionia di Banfield, Pozo de
Quilmes, Cot1 de Martínez e Arana ci andava a
rincuorare i sequestrati. Vittime e testimoni
descrivono la sua partecipazione alle sessioni di
tortura.
« Con la sottana macchiata di sangue giustificava i
torturatori e li incitava a continuare»ha detto in
aula Alejo Ramos Padilla, che rappresenta la famiglia
del giornalista Jacobo Timmerman, fondatore di Primera
Plana sequestrato inisieme ad altri cronisti e tenuto
prigioniero fino al 1980 ed autore del libro "Preso
sin nombre, celda sin número", una delle testimonianze
più dettagliate dei metodi di tortura nei campi
argentini. Il processo di La Plata è stato assediato
da un'atmosfera di grande tensione.E' il secondo
giudizio celebrato in Argentina dopo l'annullamento
delle leggi di Punto final e Obedencia debita che
garantivano l'impunità ai collaboratori del regime. Il
primo, che ha condannato l'anno scorso all'ergastolo
Miguel Etchecolatz, capo della polizia di Buenos
Aires, ha avuto come testimone chiave Jorge Julio
López che ha riconosciuto Etchecolatz dalla voce.
López è sparito dopo il processo. Le sue chiavi sono
state trovate giorni dopo nel giardino di casa. Non se
ne ha notizia da un anno. I tre giudici che hanno
condannato con verdetto unanime padre Christian von
Wernich sono gli stessi del processo a Etchecolatz. Il
presidente del tribunale è Carlos Rozanski. Ci vuole
coraggio in Argentina a firmare una sentenza come
quella che da ieri porta il suo nome.

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