martedì 2 ottobre 2007

La guerra del cibo

Utopie
La guerra del cibo
di Carlotta Mismetti Capua
Stop alle multinazionali, sì alla biodiversità dell'agricoltura.
L'indiana Vandana Shiva e l'africana Aminata Traoré combattono le stesse battaglie

Vandana ShivaVandana Shiva con il sari arrotolato intorno al corpo e il bindi rosso sulla fronte. Aminata Traoré con il copricapo in testa e il boubou colorato fino ai piedi. Vestiti tradizionali e un carisma fuori dall'ordinario: così queste due donne girano il mondo per difendere la loro terra, raccontando altre verità. L'una, Vandana Shiva, voce autorevole dell'India dei contadini. L'altra, Aminata Traoré, leader radicale dell'Africa di chi non ha voce. Sono due combattenti, volano da un continente all'altro come ambasciatrici contro la globalizzazione. Parlano forte e chiaro, e lo fanno in Paesi dove le donne non parlano affatto. Le loro sono battaglie diverse ma in fondo simili perché combattute con strumenti identici. Il nemico è lo stesso: i governi corrotti, le multinazionali, il Wto, l'Occidente dei monopoli e del capitalismo col turbo. Vandana Shiva è una fisica e una delle scienziate più note del suo Paese: attivista lo è diventata dopo. Si batte per la biodiversità in agricoltura, contro i semi geneticamente modificati che vengono venduti agli agricoltori indiani e che li mandano in rovina. Coordina una comunità che fa il possibile per aiutare i coltivatori dei villaggi a liberarsi dalla schiavitù della multinazionale Monsanto. Ma lavora con i governi di tanti Paesi, in Italia con la Regione Toscana (al progetto di San Rossore, luogo di elaborazione del pensiero new global). "Il suicidio dei contadini indiani, che hanno seminato i loro campi con gli Ogm venduti dagli americani", racconta, "è il mio dolore, il mio pensiero quotidiano. Nell'ultimo decennio, in India, più di 40mila agricoltori si sono suicidati - anche se sarebbe più esatto parlare di omicidio, o addirittura di genocidio", racconta Shiva, che con la sua organizzazione ha salvato cinque villaggi, convincendo i loro abitanti a riconvertirsi ai semi biologici. "La vita dei contadini è diventata molto difficile. Perché le politiche economiche del governo non li aiutano. Vedo le donne che non sanno come sopravvivere, che vedono il proprio lavoro distrutto".

Aminata TraoréPer cercare soluzioni a questi problemi macroeconomici Shiva parte dalle piccole cose. Per esempio si preoccupa del compost, il fertilizzante che viene preparato partendo dagli escrementi delle mucche. "Le donne indiane hanno sempre avuto il compito di preparare il compost per nutrire i terreni. Oggi invece le multinazionali vendono veleni: fertilizzanti che promettono miracoli. Ma che come primo risultato di fatto estromettono le donne dal lavoro nei campi. Il loro ruolo viene cancellato dalla chimica. Una chimica guerrafondaia per origine e vocazione: i fertilizzanti furono inventati in campo militare, e usati in Vietnam contro la popolazione. Fanno male alla terra, fanno male alla salute, fanno male alle donne". Vandana è convinta che la biodiversità dell'agricoltura, i semi, i sistemi di lavorazione, gli aratri, i trattori, i campi, i vigneti, il granoturco potranno cambiare il mondo. "Certo, non è un risultato al quale si arriva senza lottare", dice. "Credo che oggi sia in corso una nuova Guerra mondiale: quella del cibo". Aminata Traoré è un'intellettuale, una scrittrice. Ha la bellezza imponente di molte donne africane: la voce è potente, rotta dalla rabbia spesso, qualche volta dall'emozione. Quando parla è come se stesse arringando le folle, come fosse sempre su un palcoscenico. È stata ministro della Cultura del Mali, il suo Paese natale, poi consulente economica di tantissime organizzazioni internazionali. Ha studiato psicologia a Parigi, ha scritto molti libri denuncia, tutti tradotti nelle varie lingue europee, italiano compreso. Ha anche inventato e creato il Forum sociale africano, ed è stato un successo: si è tenuto, nella prima edizione, a Bamako, prima di sbarcare quest'anno a Nairobi.

"Un'altra Africa è possibile" era lo slogan delle duemila persone che vi si sono ritrovate. Lo scopo era quello di parlare, conoscere e dare obiettivi comuni agli attivisti sociali africani. Le battaglie che li hanno uniti sono state quelle contro la povertà assoluta, la corruzione, l'assenza di sicurezza sociale, le politiche per l'Aids. "Ma soprattutto abbiamo dato al mondo un'immagine diversa dell'Africa, un'Africa pronta a combattere e a difendersi", racconta, sistemandosi ogni tanto il turbante che porta come una corona. "Abbiamo bisogno di costruire una politica diversa, libera, che parta dal basso", sostiene. "In Africa non abbiamo la possibilità di spiegare, di far comprendere alla gente cosa succede e perché. Le cose accadono senza che se ne conosca il motivo. È questa la cosa più terribile". Vandana Shiva è una scienziata che ha deciso di fare politica, Aminata è un'intellettuale dalle teorie estreme: "Oggi il pianeta vive le stesse difficoltà, ovunque: la sofferenza di un giovane africano non è così diversa, né lontana, da quella di un giovane italiano. Forse è utopico pensare che il Terzo mondo salverà i primi due", dice, "ma quel che è certo è che la soluzione, la strada per la salvezza del pianeta, non arriveranno da chi comanda ora. Io ho diritto alla mia utopia, ovvero che l'Africa possa indicare a ogni Paese la via di salvezza da questo mondo così tormentato. Penso all'Africa delle relazioni umane, pacifiche, solidali, semplici: se il continente da cui provengo non è precipitato nel caos più totale è proprio grazie a questi legami deboli ma costanti tra la gente". Nel libro L'immaginario violato (Ponte alle Grazie) Aminata Traoré ha esposto chiaramente le sue teorie. E, prima di tutto ha sottolineato che l'Africa, per le violazioni dei colonizzatori che ha dovuto subire, non ha imparato a pensarsi. A immaginare un futuro per se stessa, senza colonizzatori. Perché, secondo la Traoré, le colonizzazioni in Africa non sono mai finite. Aminata Traoré racconta di "provare dolore quando guardo la televisione, non a casa mia, ma in Europa, nelle stanze d'albergo. Perché nei telegiornali vedo cose che nel mio Paese non si vedono. Per strada, seduta sulla mia veranda, vedo le donne andare al mercato, i bambini a scuola. Non la miseria e la morte che viene mostrata in Occidente. Certo, vedo i gommoni, le carrette, i naufragi in mare, i nostri giovani che annegano. I figli dell'Africa ci vengono tolti. Partono per pulire i cessi dei Paesi ricchi. Siamo depredati delle nostre risorse: l'oro, i diamanti, il cotone. Non vivo in un Paese in guerra, produciamo cotone di prima qualità, del quale siamo i primi esportatori al mondo. Eppure restiamo poveri. Tutto ci viene tolto. Ma più di ogni altra cosa siamo depredati della risorsa più grande, i nostri ragazzi". La parola preferita di Aminata è "speranza". Quella di Vandana è "shanti", pace. "l'India è il Paese della pace, della tolleranza. Sono valori che l'India può insegnare al mondo. Anche l'incertezza, che ti spinge ad aprirti, ad adattarti, è un valore. È la condizione primaria della vita in India, e l'incertezza genera speranza". Le chiediamo infine cosa farebbe se fosse lei a guidare il mondo. "Per prima cosa deciderei che non esistono "capi del mondo". E, se anche così fosse, non vorrei essere il capo del mondo", scuote la testa. "Voglio invece centinaia, milioni di capi del mondo. Tutti diversi. Di legge ne farei una sola: vietato fare la guerra".
(Pubblicato il 01 ottobre 2007)
dal dweb.repubblica.it

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