Laicità. Pericolosi Non Possumus
di Gustavo Zagrebelsky
Questo testo è tratto dall'intervento del Presidente
Emerito della Corte Costituzionale, Gustavo
Zagrebelsky, all'incontro organizzato da Libertà e
Giustizia all'Unione Culturale di Torino mercoledi
scorso
Se guardiamo a quello che sta accadendo oggi intorno a
noi ci accorgiamo che le cose stanno andando in una
direzione completamente diversa da quella auspicata.
Se si continua così con il «non possumus» cattolico,
tra poco ci sarà un «non possumus» laico per difendere
determinate posizioni.
E quando si contrappongono due «non possumus», si
contrappongono per l'appunto le posizioni di coloro
che ritengono di possedere la verità e a quel punto si
viene alle mani. Non è possibile trovare un terreno di
incontro. Diverso è se si dice «ne ho un po' io e ne
hai un pochino anche tu di verità», vediamo come
stanno le cose, se si riesce a trovare un punto di
incontro.
Altro che la libertà della coscienza nella ricerca del
buono: voglio dire che stiamo andando in una direzione
che non so dove ci porterà, perché i «non possumus»
portano con sé indubbiamente degli steccati, con ciò
che poi gli steccati implicano sul piano di vincolo al
comportamento della persona.
C'è stato recentemente un appello, che viene da una
congregazione vaticana, che incita alla disobbedienza
civile di cristiani non qualificati, uomini politici,
amministratori, farmacisti (sono importanti i
farmacisti perché esercitano una pubblica funzione) e
perfino dei giudici. Un appello a ribellarsi alla
legge che rientra nel circuito protetto dal «non
possumus». Badate, si tratta di disobbedienza alla
legge, non l'obiezione di coscienza che è una
possibilità che in determinati casi la legge stessa
riconosce come diritto, per esempio la legislazione
sull'aborto o il servizio militare, per i quali, in
taluni casi, per ragioni di coscienza, ci si poteva
sottrarre a obblighi che valgono per tutti. In questo
caso ci troviamo di fronte ad un incitamento a
ribellarsi alla legge comune. Incitamento grave se è
rivolto ai farmacisti, ma gravissimo se rivolto ai
magistrati i quali sono lì, invece, per la loro
funzione, che è quella di far applicare la legge
comune.
È un grido di sovversione, insomma. L'appello al
diritto naturale in un contesto pluralistico è un
grido di guerra civile. Io non so, non voglio farla
troppo grossa, non credo che l'Italia si avvicini alla
guerra civile, ma certo è vicina, diciamo, alla
perdita del senso dell'appartenenza comune, a una
storia comune, in cui ciascuno deve avere un suo
spazio, far vedere e far valere le proprie ragioni per
creare sempre qualcosa di meglio, di più comprensivo,
ma sempre nel senso della ricerca di quel verum bonum.
Quando però si arriva ad incitare ad assumersi le
proprie responsabilità nel non applicare la legge
quando la si ritiene contraria ai dettami della natura
- e lo dico da costituzionalista, ma prima ancora da
cittadino, con moltissima preoccupazione - bisogna
constatare che non c'è più il dialogo necessario alla
convivenza costruttiva.
Per questo, io direi che dovremmo tutti quanti fare
uno sforzo per dire non «non possumus» ma per dire
«possumus», considerando che questa parola,
«possumus», la diciamo in democrazia. Cioè, in qual
regime, in quell'unico regime, che dà spazio e
riconosce a tutti la possibilità di potere. Quello che
a me preoccupa notevolmente nelle cose che stanno
succedendo in questi tempi è che la Chiesa (purtroppo
si parla della Chiesa con una semplificazione perché,
la chiesa, come sappiamo, per fortuna è fatta di tante
cose), le posizioni più radicali della Chiesa mettono
in discussione proprio alcuni punti fondamentali della
democrazia, che non chiede a nessuno di rinunciare
alle proprie convinzioni. Ma partendo da queste,
richiede che nel dibattito pubblico i dogmi non
vengano fatti valere come tali perché altrimenti le
regole della democrazia si inceppano.
Io, un po' a provocazione, direi che noi, in quanto
credenti nella democrazia, dobbiamo rivendicare il
relativismo come il grande pregio della democrazia
stessa. Mi spiego subito. Relativismo applicato alle
istituzioni nel loro complesso che devono essere
relativiste perché, solo a questa condizione, è
possibile che tutti, come individui, come forze
sociali, come movimenti, facciano valere la loro
verità perché se le istituzioni non sono
relativistiche vuol dire che assumono una posizione e
assumendola escludono tutte le altre. Dire a una
persona «tu sei un relativista», significa qualcosa di
molto simile al dirgli «tu sei un nichilista, tu non
credi in nulla». Ma dire che le istituzioni
democratiche devono essere relativiste significa che
devono sostanzialmente rispettare una posizione di
neutralità tra le posizioni sostanziali che vivono
nella società in modo che tutte possano vivere e
possano espandersi.
Ecco, è una distinzione che va fatta. Il relativismo
per le istituzioni è una virtù. Io vedo dei rischi per
la democrazia che è il regime più debole che esista ma
anche il più prezioso. Tra questi recentemente ci sono
soprattutto quelli che vengono dall'assunzione, da
parte della Chiesa, di una posizione così radicale
espressa come quella espressa nel «non possumus», che
vuol dire che alcuni temi sono sottratti al libero
dibattito pubblico perché una parte del popolo
italiano, rappresentato appunto dalla Chiesa, si
arrocca e unilateralmente dà un giudizio non
discutibile. Come, «non possumus»? Non puoi tu, ma ciò
non deve impedire che nell'arena democratica venga
aperto un dibattito. Quando si imbocca la strada del
«non possumus», ciascuno, dalla sua parte, assume una
posizione esclusivista e sovrana, toglie o mette nel
dibattito pubblico senza lasciare spazio agli altri.
Qui si scontra il clima delle cittadelle assediate. La
chiesa si sente assediata, e non è vero che i
cattolici non hanno voce, però, se noi guardiamo
attentamente la situazione, ci accorgiamo che anche
dal mondo dei non credenti c'è la stessa sindrome
dell'accerchiamento e questa è la sensazione più
pericolosa. Noi, senza considerare le posizioni
estremistiche laicistiche e cattoliche, dobbiamo
cercare di mettere da parte queste posizioni. Ed io mi
permetterei di chiedere al mondo cattolico che in
queste posizioni non si riconosce, di non tacere e di
venire fuori con una voce più chiara, ma allo stesso
tempo sarebbe bene che anche dall'altra parte, diciamo
dalla parte dei non credenti in una fede religiosa, si
manifestasse l'intento a riconoscere, dal punto di
vista del non credente, l'importanza straordinaria del
mantenimento della cultura cristiana come fattore
costitutivo della nostra società. Io sono su queste
posizioni.
Allora, riuniamo gli sforzi ma dicendo chiaramente
quello che non va bene, non accettando passivamente
perché non si devono accettare diktat soprattutto
quando c'è una asimmetria. Un diktat che viene dal
mondo cattolico, arriva da una struttura organizzata,
una gerarchia di potere nell'ambito della Chiesa. Il
mondo laico invece non ha, e non come suo difetto ma
come suo elemento caratterizzante, alcuna autorità.
Questa asimmetria va assolutamente riequilibrata. Io
credo, da laico, che si possa formulare l'auspicio che
nel mondo della Chiesa venga realizzata la necessaria
apertura che gioverà certo anche a se stessa.
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