venerdì 28 dicembre 2007

Agricoltura industriale e crisi idrica

recensione, dal libro

Vandana Shiva, Le guerre dell'acqua, Feltrinelli


Agricoltura industriale e crisi idrica

L’agricoltura industriale ha spinto la produzione alimentare a usare metodi che hanno determinato una riduzione della ritenzione idrica del suolo e un aumento della domanda d’acqua. Non riconoscendo all’acqua il suo carattere di fattore limitante nella produzione alimentare, l’agricoltura industriale ha promosso lo spreco. Il passaggio dai fertilizzanti organici a quelli chimici e la sostituzione di colture idricamente poco esigenti con altre che abbisognano di grandi quantità d’acqua hanno rappresentato una ricetta sicura per carestie d’acqua, desertificazione, ristagni e salinizzazione.
Le siccità possono essere aggravate dal mutamento climatico e dalla riduzione dell’umidità nel suolo. La siccità provocata dal mutamento climatico – fenomeno che prende il nome di siccità meteorologica – è collegata alla carenza di precipitazioni. Ma anche quando la quantità di pioggia rientra nella norma, la produzione alimentare può risentirne se la capacità di ritenzione idrica del suolo è stata erosa. Nelle zone aride, dove foreste e fattorie dipendono totalmente dalla capacità del suolo di mantenersi umido, l’unica soluzione è l’aggiunta di materia organica. La siccità dovuta a scarsa umidità del suolo si presenta quando manca la materia organica che serve a trattenere l’acqua nel terreno. Prima della Rivoluzione verde la conservazione dell’acqua era parte integrante dell’agricoltura indigena. Nel Deccan, in India meridionale, il sorgo veniva associato a leguminose e semi oleosi per ridurre l’evaporazione. La Rivoluzione verde ha scalzato l’agricoltura indigena a favore di monocolture in cui le varietà nane hanno sostituito quelle alte, i fertilizzanti chimici quelli organici e l’irrigazione artificiale le colture da pioggia. Il risultato è che i suoli si sono impoveriti di materiale organico indispensabile e le siccità provocate da scarsa umidità del terreno sono diventate un fenomeno ricorrente.
Nelle regioni esposte alla siccità, un sistema agricolo ecologicamente solido è l’unica via per una produzione alimentare sostenibile. Tre acri di sorgo utilizzano la stessa quantità d’acqua di un solo acro di risaia. Tanto il riso quanto il sorgo rendono 4500 chilogrammi di cereale. Con la stessa quantità di acqua, il sorgo fornisce una dose di proteine 4,5 volte superiore, quattro volte più minerali, 7,5 volte più calcio e 5,6 volte più ferro, e può fornire una quantità di alimento 3 volte maggiore del riso. Se lo sviluppo agricolo avesse tenuto conto della conservazione dell’acqua, il miglio non sarebbe stato definito un prodotto agricolo marginale o inferiore.
L’avvento della Rivoluzione verde ha spinto l’agricoltura del Terzo mondo verso la produzione di frumento e riso. Le nuove colture richiedevano più acqua del miglio e consumavano 3 volte più acqua delle varietà indigene di frumento e riso. L’introduzione di queste coltivazioni ha avuto anche forti costi sociali ed ecologici. Il drastico aumento della quantità d’acqua utilizzata ha determinato l’instabilità degli equilibri idrici regionali. I massicci progetti di irrigazione e l’agricoltura a uso intensivo d’acqua, scaricando sull’ecosistema una quantità d’acqua superiore a quella sopportabile dal suo sistema naturale di deflusso, hanno portato a ristagni, salinizzazione e desertificazione. I ristagni si verificano quando la profondità della superficie freatica si riduce di una misura compresa tra 1,5 e 2,1 metri. Se in un bacino si aggiunge acqua più in fretta di quanto questo possa drenarne, la falda sale. Circa il 25% delle terre irrigate degli Stati Uniti soffre di salinizzazione e ristagni. In India, 10 milioni di ettari di terra irrigata con i canali è intrisa d’acqua e altri 25 milioni di ettari sono a rischio di salinizzazione. […]

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