mercoledì 26 dicembre 2007

Rigassificatori, la polemica arriva in Europa

Rigassificatori, la polemica arriva in Europa

L'Unità on line del 19 gennaio 2007

di Paola Zanca
La questione rigassificatori arriva in Europa. Parte da Brindisi un appello alle istituzioni dell´Ue perché «la democrazia e la legalità abbiano ragione sugli interessi privati». Il capoluogo pugliese è infatti l´emblema dello scontro in atto tra governo, istituzioni locali e interessi delle grandi compagnie su questa nuova fonte di energia che viene presentata come la panacea per tutti i mali della questione energetica in Italia. Il punto è che a Brindisi, il rigassificatore non lo vogliono. Non lo vuole l´Amministrazione comunale, non lo vuole la Provincia e non lo vuole nemmeno la Regione presieduta da Nichi Vendola. Ma nonostante tutto, i lavori sono già iniziati. «A Brindisi sta accadendo qualcosa di veramente assurdo», scrive in un comunicato il cartello di associazioni che va da Legambiente a Medicina Democratica, dalla Coldiretti all´Arci: «Come opera preparatoria, la società Brindisi LNG sta realizzando una immensa colmata in uno specchio d´acqua che l´ufficio pubblico di controllo (ARPA Puglia) ha trovato gravemente e pericolosamente inquinato». «A fronte della radicale opposizione degli enti locali, della Regione Puglia e delle popolazioni interessate – prosegue l´appello – e nonostante la decisione del Governo italiano di riaprire l´iter autorizzativo con la presa di posizione della Commissione Europea, la società costruttrice sta portando a termine i lavori della colmata con l´ostentato intento di iniziare la vera e propria costruzione dell´impianto». Della serie, "chi se ne frega".

Ma la polemica sugli impianti energetici che dovrebbero ovviare al problema del caropetrolio è viva più che mai non solo a Brindisi, ma in tutti i siti dove la grande opera è in cantiere. Un rigassificatore è un impianto che trasforma il metano liquido, trasportato in navi cisterna, in gas per poi distribuirlo attraverso condutture di rete. È un sistema che permette di ovviare all´assenza di gasdotti che colleghino i luoghi di produzione del gas naturale da quelli di utilizzo. Il problema di questi impianti non è tanto l´inquinamento, quanto l´alto rischio di gravi incidenti. Non a caso, i rigassificatori sono disciplinati attraverso la cosiddetta legge Seveso. Al di là delle tragiche evocazioni del nome, la Seveso è una direttiva europea che impone il censimento degli stabilimenti a rischio, con l'identificazione delle sostanze pericolose. Ma oltre ai rischi dell´impianto stesso, il decreto legislativo (334/99) che recepisce la direttiva comunitaria introduce anche il concetto di "effetto domino". Ovvero, se il rigassificatore venisse costruito nelle vicinanze di altri siti a rischio, anche se la sua sicurezza fosse garantita, potrebbe essere messa a repentaglio da altre cause esterne. È quanto temono gli abitanti di Taranto, un´altra delle città italiane dove il rigassificatore è in cantiere, poiché l´impianto sorgerebbe a poca distanza dall´Ilva e da uno stabilimento dell´Agip.

Il nodo della questione, insomma, è tutto qui. Se nemmeno Legambiente si dice pregiudizialmente contraria a questa nuova fonte energetica, i contro sono tutti focalizzati sul "dove" piazzarla. E sul parere della cittadinanza. Un´altra direttiva europea, la Seveso 3, rafforza il diritto dei cittadini interessati all'informazione sulle misure di sicurezza. Ma a quanto pare non tutti hanno voglia di applicarla. A Livorno, il comitato contro il rigassificatore ha denunciato la sordità dell´amministrazione, che ha ignorato le 7mila firme raccolte per la richiesta di un referendum consultivo. E se qui il caso è eclatante, ovunque i cittadini reclamano di non essere stati coinvolti.

E poi ci sono, come ovvio, gli interessi dei grandi gruppi che lavorano nel campo dell´energia. L´Eni, che dovrebbe essere la compagnia capofila delle cordate, aspira ad una distribuzione dell´energia per l´80% derivante dai rigassificatori, riuscendo così a non dipendere dai percorsi dei gasdotti e dagli scossoni politici internazionali. Una scelta che altri paesi hanno già fatto. Basti pensare che di rigassificatori in Spagna ce ne sono 12 e in Giappone 25. In Italia, attualmente ne è attivo solo uno, a Panigaglia, vicino La Spezia. Ma in cantiere ce ne sono altri 10: oltre ai già citati Brindisi e Taranto, dovrebbero vedere sorgere stabilimenti alti quanto un grattacielo di 17 piani anche Rovigo, Rosignano (LI), Grado (GO), Zaule (TS), Gioia Tauro (RC), Porto Empedocle (AG) e Priolo Gargallo (SR).

Il ministro per l´Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio rispondendo mercoledì ad un "question time" alla Camera ha ammesso la sua preoccupazione: «Non c'è dubbio che le domande per la realizzazione di rigassificatori siano superiori alla necessità reale, ma il ministero si è impegnato a valutare con rigore l´impatto ambientale per quanto riguarda i rischi». E ha aggiunto: «Faremo attenzione perché non ci siano impianti che non servano strettamente, ma garantendo nello stesso tempo che sia assicurato l'approvvigionamento energetico necessario al Paese».

Insomma, i rigassificatori servono. Anche Legambiente, in un suo comunicato, «assegna al gas il ruolo di energia fossile "di transizione" verso l'uscita dalla dipendenza dai combustibili fossili, naturalmente a valle di un forte e prioritario impegno per il miglioramento dell'efficienza energetica e per lo sviluppo delle fonti rinnovabili a cominciare dal solare e dall'eolico». Una condizione che al momento non sembra realizzarsi, se consideriamo che solo pochi giorni fa l´Unione Europea ci ha bacchettato per il nostro scarso investimento nelle fonti energetiche alternative: non solo siamo ancora lontani dall´«obiettivo vincolante» del 20% di energie rinnovabili posto dall´Ue, ma addirittura dal ´97 ad oggi abbiamo diminuito il nostro contributo dal 16% al 15,3.

Ma la battaglia in corso è soprattutto quella sulla collocazione degli impianti. Precisa ancora Legambiente: «In alcuni casi i singoli progetti risultano inaccettabili, come a Brindisi, dove il rigassificatore danneggerebbe gravemente le attività del porto turistico». O a Porto Empedocle, dove le prime case disterebbero solo 700 metri dall´impianto. O a Trieste, dove il governo sloveno ha detto di non accettare l´impatto ambientale transfrontaliero e il Wwf denuncia gravi rischi per la riserva marina del golfo del capoluogo friulano. Pecoraro Scanio dice che «l'Enel si è detta disposta a utilizzare come gas terminal le piattaforme abbandonate dell'Adriatico dove in passato si estraeva metano, che sono già allacciate ai metanodotti, e sono in mare aperto». Staremo a vedere.

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