lunedì 17 dicembre 2007

Se finisce il cibo nel mondo

Se finisce il cibo nel mondo
La Repubblica del 30 agosto 2007, pag. 1

di Carlo Petrini

Nel giro di qualche mese la questione biocarburanti è di­ventata eminentemente una questione di prezzi. Non sono sicuro che le di­namiche siano così sempli­ci: diminuzione della su­perficie dedicata alla pro­duzione agricola per l'ali­mentazione — diminuzio­ne delle quantità di materie prime alimentari in com­mercio — aumento dei loro prezzi — rincaro dei prodotti trasformati — spinta inflazionistica — problemi sociali. Ad un primo acchi­to sembrerebbe filare tutto liscio.



Ma tendo a diffidare dei ragiona­menti che filano via troppo lisci— è meglio che qualcosa si inceppi ogni tanto, reclamando unrabbocco di at­tenzione, daparte di chi parla e daparte di chi ascolta.



Però facciamo finta che le cose siano davvero così e proviamo ad accomodarci in questo scenario.



Gli Usa (o il Brasile) producono biofuel togliendo superficie al mais, se ne produ­ce di meno e costa di più. Quindi aumen­ta, in Italia, il prezzo delle uova, prodotte dalle galline che mangiano mais. Alt. Vuol dire che le galline italiane mangiano mais Usa (o brasiliano)? Beh, vorrà dire che uno degli elementi utili per tracciare una filie­ra al momento non tracciata è quello di fa­re attenzione alle uova che non aumenta­no, che evidentemente arriveranno da galline che mangiano mais italiano (pe­raltro non Ogm). In generale se il consu­mo agroalimentare sposta il suo focus dal global al local allora può succedere che il caro prezzi si contrasti anche così. Con­sumando cibo prevalentemente locale, che non ha dovuto combattersi spanna dopo spanna il terreno con l'etanolo, che non ha attraversato i mari e i monti, che non ha aggiunto costi alla sua produzio­ne, che non ha perso troppe battaglie — inclusa quella della qualità — prima di ar­rivare sulle nostre tavole. Non vorrei dare la sensazione di avere la sindrome di Pollyanna, che faceva saltare i nervi al suo prossimo vedendo solo il lato positivo delle cose, ma forse tutto questo ci offre fi­nalmente la possibilità di distinguere tra prodotti e commodities, ovvero tra cibo inteso come roba che si mangia e cibo in­teso come roba che si vende. Senza di­menticare però, e qui occorre ritornare dal local al global, che le grandi estensio­ni di "colture energetiche" saranno un perfetto veicolo di chimica e Ogm, i cui danni non si fermano alle dogane.

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