mercoledì 26 dicembre 2007

La superbomba di Bush

La superbomba di Bush

La Stampa del 8 gennaio 2007, pag. 11

di Paolo Mastrolilli
Il governo americano sta per compiere un passo decisivo per tornare a costruire testate nucleari. Nei prossimi giorni il presidente Bush dovrà scegliere quale progetto adottare per realizzare le prime bombe nuove in circa vent’anni. Lo ha rivelato il New York Times, sottolineando come questo sia un momento molto delicato per compiere un passo del genere, perché Washington sta premendo sull'Iran e sulla Corea del Nord affinché abbandonino i loro programmi atomici. La questione riguarda l'ammodernamento dell'arsenale.

Le circa 6000 testate presenti nei depositi americani risalgono tutte all'epoca della Guerra Fredda, e da circa vent'anni gli Stati Uniti rispettano una moratoria sugli esperimenti sotterranei, utilizzando solo i test di laboratorio per verificare l'efficienza delle armi. Varie ragioni, ora, stanno spingendo l'amministrazione a rivedere la situazione. Secondo alcuni scienziati il nucleo di plutonio delle vecchie bombe potrebbe non funzionare più bene, anche se un recente studio ha smentito questo rischio. Il governo comunque vuole procedere all'ammodernamento, perché intende adottare una tecnologia più affidabile e più difficile da usare, se cadesse nelle mani dei nemici. L'obiettivo è creare la «Reliable Replacement Warhead», una testata più piccola ed efficace che non si andrebbe a sommare a quelle esistenti, ma le sostituirebbe, consentendo anche una riduzione dell'arsenale da 6000 a 2000 bombe nel lungo periodo. Lo studio di questa nuova arma era stato affidato a due laboratori in competizione: quello di Los Alamos e quello di Livermore. Il primo ha proposto un progetto molto all'avanguardia, che impiega componenti di altre testate, ma non è mai stato sottoposto ad esperimenti. Il secondo invece ha puntato su un design meno innovativo, ma più collaudato. Il Pentagono avrebbe dovuto scegliere uno dei due a novembre, ma ha rimandato la decisione perché erano entrambi molto buoni. Ora quindi la mano passa al presidente Bush, che secondo le indiscrezioni potrebbe adottare la linea di un compromesso salomonico: la nuova bomba nascerebbe da una fusione dei due progetti. Questa soluzione, secondo alcuni, è dettata dall'esigenza pragmatica di unire l'innovazione alla sicurezza. Per altri, invece, è solo una trovata che serve a distribuire le risorse a metà, evitando la chiusura del laboratorio che non ottenesse la commessa. Infatti si tratta di un investimento da circa cento miliardi di dollari, che dovrebbe tenere tutti impegnati almeno fino al 2012, quando comincerebbe la produzione. Alcuni esperti hanno criticato questo approccio, sottolineando che rischia di generare una testata poco affidabile. Ciò potrebbe costringere i futuri presidenti a condurre test per provarla, violando la moratoria.

Una simile decisione avrebbe un impatto molto negativo, perché a quel punto anche la Russia o la Cina si sentirebbero autorizzate a riprendere gli esperimenti. La decisione di Bush, però, ha anche un peso immediato, considerando la situazione internazionale. Nelle settimane scorse il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha imposto all'unanimità sanzioni economiche alla Corea del Nord, perché il 9 ottobre aveva condotto il suo primo test nucleare. Alla fine dell'anno, poi, il massimo organismo del Palazzo di Vetro ha compiuto lo stesso passo nei confronti dell'Iran, per spingerlo a rinunciare ai suoi programmi atomici sospettati di essere finalizzati alla costruzione di armi.

In questo quadro, decidendo di avviare la realizzazione della prima testata nuova in circa vent'anni, Washington si esporrebbe all'accusa di adottare una politica ipocrita di due pesi e due misure. Il Trattato di non proliferazione, in teoria, impegnerebbe tutti i Paesi firmatari a liberarsi delle proprie bombe nucleari. Questo forse non è un obiettivo realistico, ma almeno negli ultimi anni si è fermata la corsa a costruirne di nuove. Se gli Stati Uniti rimetteranno mano al loro arsenale, la tendenza potrebbe invertirsi in tutto il mondo, spingendo anche altri Paesi ad imitare il cattivo esempio di Pyongyang e Teheran.

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