Iraq, mistero da 12 miliardi
Il Sole 24 Ore del 8 febbraio 2007, pag. 8
di Marco Valsania
«Quale persona, sana di mente, invierebbe 363 tonnellate di contanti in una zona di guerra?». La domanda, nella Commissione di controllo e riforma del governo della Camera, è suonata retorica. La risposta all'interrogativo del deputato democratico e presidente della Commissione Henry Waxman era scontata: la zona di guerra è l'Iraq, la "persona" collettiva di cui l'opposizione mette in dubbio la sagacia è l’amministrazione Bush. Ma le 363 tonnellate di contanti, spesso in mazzette di banconote da cento dollari, sono tutt'altro che un artificio retorico: rappresentano i dodici miliardi di dollari che gli Stati Uniti spedirono con voli cargo a Baghdad tra il maggio 2003 e il giugno 2004. Un fiume di denaro la cui contabilità è un colabrodo con pochi pari: destinato ufficialmente ad aiutare Baghdad a incamminarsi verso la pace, nessuno sa con certezza dove siano finiti i suoi rivoli. Waxman, un aggressivo californiano diventato spina nel fianco di Bush sulla gestione finanziaria della missione in Iraq come della risposta all'uragano Katrina, non ha mancato di lanciare un j'accuse agghiacciante: «Non abbiamo modo di sapere se i contanti spediti nella Zona Verde siano in realtà finiti nelle mani del nemico».
Le audizioni convocate da Waxman alla Camera hanno dato il via a una delle inchieste sulla guerra più minacciose per l'amministrazione Bush. Dalla dimostrazione di incompetenza passata, la maggioranza democratica intende trarre una lezione per le scelte future: non ci sarà nessuna carta bianca al presidente sulla nuova strategia irachena, che accanto a 21.500 nuovi soldati prevede l'invio a Baghdad di almeno altri 1,7 miliardi di dollari in aiuti. La maggioranza democratica, insomma, è pronta a ingaggiare un braccio di ferro sui fondi e la gestione economica quanto sulla missione militare.
Waxman ha anche accusato gli iracheni di avere ancora disposizione 12 miliardi di dollari di fondi non spesi. Ma sono state soprattutto le rivelazioni della sua Commissione sui soldi già distribuiti a gettare benzina sul fuoco delle polemiche sulla guerra: sono basate su un rapporto del 2005 dell'ispettore generale sull'Iraq, Stuart Bowen, rimasto finora nell'ombra perché la vecchia maggioranza repubblicana aveva rifiutato audizioni. I dettagli danno il quadro del dramma della ricostruzione. Nel mirino è il primo periodo dell'occupazione americana, quando alla testa dell'amministrazione provvisoria in Iraq - la Coalition Provisional Authority - era il plenipotenziario Paul Bremer. L'ex funzionario, tra i capri espiatori del fallimento, è stato chiamato in aula e si è difeso, ammettendo errori ma sottolineando la realtà di una «situazione disperata». I dettagli del caos che ha regnato tra le autorità americane sono però parsi inconfutabili. Gli Stati Uniti hanno finora investito 21 miliardi di dollari del contribuente nella ricostruzione irachena. Spesso all'ombra di scandali: tre ufficiali delle forze armate e un appaltatore sono stati incriminati ieri per corruzione perché avrebbero manipolato contratti multimilionari in cambio di auto, gioielli e bustarelle. 121 miliardi non sono tuttavia i soli fondi sotto il microscopio. Solo sei settimane prima del passaggio di poteri dall'autorità provvisoria agli iracheni nel 2004, Washington decise di far scattare una vera e propria pioggia di soldi sull'Iraq: attinse ad almeno cinque miliardi di dollari, prelevati da fondi iracheni sequestrati e conservati dalla Federal Reserve e da programmi umanitari delle Nazioni Unite. E i soldi furono reimpatriati in fretta e furia in Iraq, senza conti bancari e senza un sistema finanziario funzionante.
La regalia coronò un esborso complessivo, nell'arco di forse un anno, di dodici miliardi in contanti da parte della Fed, tra cui quasi nove miliardi arrivati dal trust delle Nazioni Unite con i proventi delle vendite di greggio di Baghdad. A volte le mazzette di banconote, incartate, venivano distribuite direttamente in strada dal cassone di furgoni. Oppure, come nel caso di un appaltatore, attraverso trovate da "B-movie": un pagamento da due milioni di dollari fu consegnato in una borsa di tela traboccante di banconote.
Il Sole 24 Ore del 8 febbraio 2007, pag. 8
di Marco Valsania
«Quale persona, sana di mente, invierebbe 363 tonnellate di contanti in una zona di guerra?». La domanda, nella Commissione di controllo e riforma del governo della Camera, è suonata retorica. La risposta all'interrogativo del deputato democratico e presidente della Commissione Henry Waxman era scontata: la zona di guerra è l'Iraq, la "persona" collettiva di cui l'opposizione mette in dubbio la sagacia è l’amministrazione Bush. Ma le 363 tonnellate di contanti, spesso in mazzette di banconote da cento dollari, sono tutt'altro che un artificio retorico: rappresentano i dodici miliardi di dollari che gli Stati Uniti spedirono con voli cargo a Baghdad tra il maggio 2003 e il giugno 2004. Un fiume di denaro la cui contabilità è un colabrodo con pochi pari: destinato ufficialmente ad aiutare Baghdad a incamminarsi verso la pace, nessuno sa con certezza dove siano finiti i suoi rivoli. Waxman, un aggressivo californiano diventato spina nel fianco di Bush sulla gestione finanziaria della missione in Iraq come della risposta all'uragano Katrina, non ha mancato di lanciare un j'accuse agghiacciante: «Non abbiamo modo di sapere se i contanti spediti nella Zona Verde siano in realtà finiti nelle mani del nemico».
Le audizioni convocate da Waxman alla Camera hanno dato il via a una delle inchieste sulla guerra più minacciose per l'amministrazione Bush. Dalla dimostrazione di incompetenza passata, la maggioranza democratica intende trarre una lezione per le scelte future: non ci sarà nessuna carta bianca al presidente sulla nuova strategia irachena, che accanto a 21.500 nuovi soldati prevede l'invio a Baghdad di almeno altri 1,7 miliardi di dollari in aiuti. La maggioranza democratica, insomma, è pronta a ingaggiare un braccio di ferro sui fondi e la gestione economica quanto sulla missione militare.
Waxman ha anche accusato gli iracheni di avere ancora disposizione 12 miliardi di dollari di fondi non spesi. Ma sono state soprattutto le rivelazioni della sua Commissione sui soldi già distribuiti a gettare benzina sul fuoco delle polemiche sulla guerra: sono basate su un rapporto del 2005 dell'ispettore generale sull'Iraq, Stuart Bowen, rimasto finora nell'ombra perché la vecchia maggioranza repubblicana aveva rifiutato audizioni. I dettagli danno il quadro del dramma della ricostruzione. Nel mirino è il primo periodo dell'occupazione americana, quando alla testa dell'amministrazione provvisoria in Iraq - la Coalition Provisional Authority - era il plenipotenziario Paul Bremer. L'ex funzionario, tra i capri espiatori del fallimento, è stato chiamato in aula e si è difeso, ammettendo errori ma sottolineando la realtà di una «situazione disperata». I dettagli del caos che ha regnato tra le autorità americane sono però parsi inconfutabili. Gli Stati Uniti hanno finora investito 21 miliardi di dollari del contribuente nella ricostruzione irachena. Spesso all'ombra di scandali: tre ufficiali delle forze armate e un appaltatore sono stati incriminati ieri per corruzione perché avrebbero manipolato contratti multimilionari in cambio di auto, gioielli e bustarelle. 121 miliardi non sono tuttavia i soli fondi sotto il microscopio. Solo sei settimane prima del passaggio di poteri dall'autorità provvisoria agli iracheni nel 2004, Washington decise di far scattare una vera e propria pioggia di soldi sull'Iraq: attinse ad almeno cinque miliardi di dollari, prelevati da fondi iracheni sequestrati e conservati dalla Federal Reserve e da programmi umanitari delle Nazioni Unite. E i soldi furono reimpatriati in fretta e furia in Iraq, senza conti bancari e senza un sistema finanziario funzionante.
La regalia coronò un esborso complessivo, nell'arco di forse un anno, di dodici miliardi in contanti da parte della Fed, tra cui quasi nove miliardi arrivati dal trust delle Nazioni Unite con i proventi delle vendite di greggio di Baghdad. A volte le mazzette di banconote, incartate, venivano distribuite direttamente in strada dal cassone di furgoni. Oppure, come nel caso di un appaltatore, attraverso trovate da "B-movie": un pagamento da due milioni di dollari fu consegnato in una borsa di tela traboccante di banconote.
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