mercoledì 19 dicembre 2007

Via l'indulto: il punto finale in Argentina. Ma questa volta all'impunità

Via l'indulto: il punto finale in Argentina. Ma questa volta all'impunità

Il Manifesto del 17 luglio 2007, pag. 4

di Sebastian Lacunza

La incostituzionalità dell'in­dulto ai responsabili di cri­mini di lesa umanità du­rante la dittatura militare del '76-'83, proclamata venerdì dalla Corte suprema argentina, se­gna per gli organismi di difesa dei diritti umani la fine di un processo paziente e ingegnoso che, poco a poco, ha smontato tutti i meccanismi legali di «perdono» tentati in questi anni per impedi­re che si facesse giustizia.



Con il voto, la Corte ha annulla­to l'indulto all'ex-generale Santia­go Riveros, ex comandante della guarnigione di Campo de Mayo, alle porte di Buenos Aires, chia­mato in causa per 40 casi di viola­zione dei diritti umani. Riveros, indultato nel '90, era agli arresti dal 2000 per il furto di neonati del­le detenute desaparecidos. In quell'anno fu anche uno dei condannati all'ergastolo in contuma­cia nel processo di Roma per il se­questro e assassinio di alcuni de­saparecidos di origine italiana.



L'annullamento del suo indul­to fa giurisprudenza rispetto ad al­tri militari accusati di crimini ana­loghi indultati dall'ex-presidente conservator-peronista Carlos Menem. La lista è lunga: ammiragli e generali come Emilio Massera (per quanto oggi «non perseguibi­le» per «demenza senile»), Rafael Videla, Leopoldo Galtieri, Cristino Nicoalides, Juan Bautista Sasiain, José Montes, Andrés Ferre­ro, Adolfo Sigwald, Jorge Olivera Rovere e Albano Harguindeguy.



Nell'83, il radicale Raùl Alfonsin vinse le prime elezioni democratiche post-dittatura con l'impegno di mandare sotto processo i componenti delle tre giunte mili­tari, mentre il peronismo aveva già accettato l'auto-amnistia che si erano concessa i militari. Sulla lorta strada restavano 30 mila de­saparecidos, un'intera generazio­ne sparita. Nel processo dell'85 il generale Videla e l'ammiraglio Massera furono condannati all'er­gastolo e altri tre gerarchi a pene minori, mentre centinaia di cau­se si aprivano in tutto il paese. Poi però Alfonsin cedette alle pressio­ni e alle rivolte dei carapintadas e vennero, fra l'86 e l'87, le leggi del Punto finaì e della Obediencia debida che mandarono impuni assassini del calibro del capitano di fregata Alfredo Astiz. L'opera fu completata da Menem che con l'indulto del dicembre '90 liberò tutti. Alla fine dei '90, sotto la pressione internazionale, i familiari delle vittime - le «Madri», le «Non­ne», i «Figli» -riuscirono a bucare per la prima volta la cortina del­l'impunità: il furto di 400 bambi­ni di desaparecidos manteneva la vigenza del reato e questo non era stato giudicato nei processi degli '80, per cui i massimi gerar­chi dovevano tornare in (dorata) prigione. Nel 2003, poco dopo l'arrivo di Kirchner alla presiden­za, il parlamento decretò l'incosti­tuzionalità del Punto finale e dell'Obbedienza dovuta, perché non si poteva lasciare impuniti crimi­ni di lesa umanità, «imprescrittìbi­li». Kirchner chiese pubblicamen­te perdono alle vittime in nome dello Stato per «l'impunità». Cen­tinaia di cause furono riaperte e si arrivò alle prime condanne. Og­gi sono 950 i «repressori» sotto processo, di cui 250 sono in carce­re. Alcuni processi sono arrivati fi­no in fondo, come quello che ha condannato «per genocidio» l'ex-capo della polizia Miguel Etchecolatz e fra poco si avrà il verdetto contro il prete Cristian Von Wernich e un gruppo di 9 militari fra cui il generale Nicolaides.


Mancavano solo gli indulti di Menem. Grazie all'implacabile ostinazione delle Madri e delle Nonne anche quell'obbrobrio è stato cancellato.

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