lunedì 17 dicembre 2007

«Indipendenza ebraica, catastrofe palestinese» Un libro di scuola rompe il tabù in Israele

«Indipendenza ebraica, catastrofe palestinese» Un libro di scuola rompe il tabù in Israele
Corriere della Sera del 23 luglio 2007, pag. 15

di Davide Frattini

«Quando la guerra del 1948-49 finì, gli ebrei pre­valsero, Israele e i suoi vicini conclu­sero un armistizio. Gli arabi chiama­no l'esito di quel conflitto Nakba, il disastro. Gli ebrei la chiamano Guerra di indipendenza». Perla pri­ma volta i bambini arabi israeliani leggeranno la parola Nakba in un li­bro di testo per le elementari. Yuli Tamir, mi­nistro dell'Educazione laburista, ha voluto che la «catastrofe» venisse introdotta, almeno nelle scuole delle città a maggioranza araba .



Il nuovo volume, intitolato Vivere insieme in Israele, illustra le ragioni della nascita dello Stato ebraico – spiegano dal ministero - come vengono presentate in tutti gli istituti del Paese: lo storico legame degli ebrei con la regione e il loro bisogno di una nazione dopo i massacri dell'Olocausto. «Abbiamo sem­plicemente de­ciso di non nascondere più come i palestinesi hanno vissuto e giudica­to quell'evento — commenta la curatrice Dalia Fenig —. Cancellare la questione non la farà certo sparire». Yuli Tamir ha spiegato al sito Ynet che il libro offre «una visione equili­brata, così i bambini arabi posso contestualizzare quello che in ogni caso gli viene raccontato dai genito­ri». E dagli insegnanti. «Quando inse­gno storia—commenta Ali Arish, maestro arabo israeliano — uso sempre il termine Nakba. Che non fosse men­zionato fino a ora non fa molta diffe­renza».



Il libro racconta l'esodo di 700 mila arabi, spiega che fuggirono dalle loro case per la guerra, ma anche perché espulsi dalle truppe ebraiche vittorio­se. Ricorda che gli ebrei nel 1947 accettarono il piano di spartizione delle Nazioni Unite, mentre i Paesi arabi lo respinsero e che il conflitto scoppiò quando queste nazioni decisero l'at­tacco.



La decisione del ministro laburista è stata attaccata da Avigdor Lieberman, leader del partito ultranaziona­lista Israele la nostra casa, che siede con lei nel governo: «Sembra che vo­glia chiedere scusa per l'esistenza di Israele. Esibisce una sorta di maso­chismo politico e dimostra di non ave­re alcun orgoglio per la patria». Il par­lamentare Zvulun Orlev, della destra religiosa, ha chiesto al premier Ehud Olmert di licenziarla. «La sua è una scelta antisionista e mette in discussione l'esistenza di Israele come uno Stato ebraico». Limor Livnat, Likud ed ex ministro dell'Educa­zione, teme che i bambini arabi israeliani vengano spinti a combat­tere contro gli ebrei: «Se gli insegnia­mo che la nascita di Israele è stata una catastrofe per i loro nonni o bisnonni, è come allevare una quinta co­lonna».



Una nuova generazione di storici israeliani, definiti post sionisti, ha ria­perto alla fine degli anni Ottanta la questione dell'esodo palestinese. So­stengono che molti arabi vennero espulsi dalle loro case (elencando ca­si di massacri contro i civili) e che ven­ne impedito loro di tornare perché il neoStato ebraico temeva di essere sommerso dai rifugiati. Benny Morris, che aveva inaugurato il filone nel 1987, ha pubblicato diciassette anni dopo 1948. Israele e Palestina tra guerra e pace, dove rivede alcune del­le sue tesi politiche. «Ci si potrebbe domandare — scrive nell'introduzio­ne — che cosa farebbe in una situazio­ne simile Ben Gurion, potesse torna­re in vita in qualche modo, visto che probabilmente nel 1948 avrebbe volu­to architettare un esodo completo piuttosto che parziale, anche se si ti­rò indietro all'ultimo momento. For­se oggi rimpiangerebbe la sua mode­razione. Se fosse andato dritto, forse oggi il Medio Oriente sarebbe un po­sto più fiorente, meno violento».


Yuli Tamir, una delle fondatrici del movimento Peace Now, era già stata attaccata, quando aveva reintrodot­to la Linea Verde, il confine d'armisti­zio prima della guerra del 1967, sulle mappe pubblicate nei libri di testo.

Nessun commento: