mercoledì 26 dicembre 2007

Australia, la grande sete

Australia, la grande sete
La Stampa.it del 4 gennaio 2007

di Gaelle Dupont
Minuziosamente, segnano sul calendario ogni goccia d’acqua che cade dal cielo. L’ultima pioggia risale al 16 novembre: ha piovuto 2 millimetri. Prima il 3 novembre: 3 millimetri. Ottobre: niente. Settembre: 11 millimetri in un mese. Agosto: 4 millimetri scarsi. Clem e Cheryle Hodges lavorano da 38 anni alla fattoria di Toongarah, a sei ore di strada da Sydney, ma non hanno mai visto un simile disastro. Né i loro genitori, né i loro nonni hanno mai visto prosciugare così le loro terre. In Australia esiste anche la campagna, non è tutto di deserto rosso. E’ un mosaico di campi di cereali, pascoli, frutteti e vigneti, una volta erano verdi e fertili. Ma da cinque anni, tutto va di male in peggio. Il 2006 ha battuto tutti i record. I flussi dei fiumi Murray e Darling, che alimentano tutta la regione, raggiungono appena il 10% del livello medio. I ruscelli si sono prosciugati. Nelle praterie, l’erba sempre più rada è color paglia. Il grano e l’orzo non crescono, o crescono male, sulla terra screpolata. Grandi eucalipti morti tendono i loro rami nudi verso il cielo di un blu impietoso. Il più piccolo passo solleva una nuvola di polvere rossastra. Le mosche, avide d’acqua, si attaccano agli occhi e alla bocca di uomini e animali. La famiglia Hodges sta finendo il raccolto. Non ci vuole molto: è crollato del 90%. «Non vale più nemmeno la pena di raccogliere, l’orzo non spunta dalla terra», dice Clem, mentre guida il suo vecchio camion. Mentre i maschi sono nei campi, le femmine conducono la loro battaglia nel giardino. I prati abbrustoliti fanno disperare Cheryle, che cerca accanitamente di tenere in vita due cespugli di rose dagli steli molli, e qualche legume piantato dentro vecchi pneumatici per trattenere l’umidità. Per bere e lavarsi basta ancora l’acqua piovana raccolta nelle cisterne, ma per quanto durerà? L’estate è appena iniziata. Il pozzo della fattoria, troppo salato, serve solo per abbeverare il bestiame.

«Quest’anno sarà il peggiore della nostra storia», dice Clem. «Con la nostra carne, i legumi, la vendita delle pecore e l’aiuto governativo, riusciamo appena a sopravvivere». Ma come la maggioranza dei contadini australiani, i Hodges preferiscono tagliare corto quando gli si chiede delle loro disgrazie, e parlare d’altro, scoppiando a ridere per qualunque battuta. «Bisogna uscire, fare sport, altrimenti si esce pazzi», spiegano. Il venerdì sera tutti vanno al villaggio di Bogan Gate. Questo paesello sperduto sulla linea ferroviaria tra Sydney e Perth, ha tre silos alti 30 metri, ciascuno con una capacità di 38 mila tonnellate, qualche casetta, una pompa di benzina abbandonata, un negozio di articoli per la casa. Tutto il vicinato si dà appuntamento al pub del Railway Hotel, con un bicchiere di birra in mano, «tutti nella stessa barca», dice Kerry Morrisey. Le riserve d’acqua sono completamente a secco anche nella fattoria di Kerry e Wayne, suo marito. «E’ la prima volta nella vita che mi tocca portare l’acqua ai campi con un camion, per riempire gli abbeveratoi. Ma le pecore continuano ad andare ai bacini vuoti, e muoiono». L’aiuto del governo permette di «mettere il cibo sul tavolo, ma non paga i debiti».

Al pub, qualcuno comincia a non farsi più vedere. «La gente non vuole dare a vedere quello che prova», dice Colin McKay, un amico degli Hodges. «Se vanno al pub e si mettono a discutere, finisce che si deprimono. Ma si deprimono anche a vedere che la gente non viene più». Circola la voce che ogni quattro giorni un contadino si suicida. Gli «assistenti siccità» - nuova categoria di funzionari del ministero dell’Agricoltura - non confermano, ma dicono che «il problema è serio». Nella parrocchia di Gunning, il reverendo Vicky Cullen ha sepolto quest’anno tre giovani contadini. Ma non vuole parlare di suicidio perché «sembravano incidenti d’auto». Depressa, stanca, indebitata fino al collo, l’Australia rurale aspetta la pioggia. Nessuno dubita che tornerà, e tutti azzardano previsioni. Salvo Clem. «Un mese, sei pesi, non so più. Andrà meglio l’anno prossimo, ma lo dicevano l’anno scorso, e anche quello prima».

La siccità è conseguenza del riscaldamento del clima? E’ un’anticipazione del nostro futuro? I contadini australiani si rifiutano di crederlo. Si fanno coraggio citando un poema, «Il mio paese», sorta di inno nazionale scritto da Dorothea McKellar nel 1904, che recita: «Amo un paese bruciato dal sole/ con pianure maestose/ montagne dai contorni irregolari/ con siccità e piogge torrenziali...». L’Australia è abituata agli estremi climatici, e si ricorda la «siccità della Federazione», alla fine del XIX secolo. Ma questa è più grave. A causa della siccità e della calura gli incendi forestali hanno raggiunto dimensioni senza precedenti: rinfocolati dal vento, hanno già distrutto 850 mila ettari in tre stati. «Preferisco pensare che tutto questo fa parte di un grande ciclo che si ripete ogni cento anni e che non rivedrò mai più in vita mia», dice Gary, uno dei giovani Hodges. Ciascuno trova speranze leggendo la storia delle precipitazioni, che parlano del ritorno della pioggia dopo periodi di siccità. «Coltivare la terra in Australia è come giocare alla lotteria», afferma Jack Munro, di Rankins Springs. «No worries», non ti preoccupare, è l’espressione preferita degli australiani. Ma l’angoscia si percepisce lo stesso. Cheryle dice di essere «sempre stata scettica sul riscaldamento climatico. Ma è evidente che sta accadendo qualcosa di nuovo. Succedeva di avere due anni di siccità di fila, ma non cinque. E non è mai accaduto in tutto il Paese contemporaneamente».

«La maggior parte degli agricoltori sono grandi ottimisti, convinti che le piogge torneranno», dice Peter Cullen, professore onorario all’università di Canberra, specialista in risorse d’acqua. «Io invece penso che il Paese vada verso la siccità, le temperature sono aumentate in media di 0,8 gradi dal 1960», replica Bryson Bates, direttore dell’unità clima del Csiro (Organizzazione scientifica e industriale del Commonwealth). «Il regime delle piogge è cambiato, il clima è più secco, non ci sono più grandi alluvioni. I modelli prevedono un clima più caldo e secco nella parte meridionale del Paese, mentre il quadro resta incerto al Nord». Ma è nel Sud che si concentra la popolazione e la produzione agricola. Il geografo Jared Diamond giudica l’Australia una delle società più vulnerabili del pianeta, a causa del sovrasfruttamento sistematico delle terre e delle acque.

Ma i diretti interessati non sono pronti a mollare la presa. «Siamo elastici, ci adatteremo», replica David Sykes, allevatore di Temora, «useremo specie adatte al clima, cambieremo tecniche». In questo Paese, dove le imprese nascono e muoiono nell’indifferenza generale e ogni sovvenzione è oggetto di pubblico dibattito, il governo spende miliardi in aiuti alle aree rurali. «E’ la prima volta che godiamo di tale sostegno», dice felice Jack Munro. «Il governo ha capito di dover mantenere una massa critica di agricoltori nelle campagne, altrimenti si svuoteranno». Il settore agricolo ha un ruolo importante: il 64% della produzione viene esportato. La siccità ha già contribuito all’esplosione del prezzo mondiale del grano. «La nostra agricoltura non sparirà, cambierà», dice Peter Cullen. Gli australiani dicono che «il mercato deciderà chi dovrà sopravvivere». Tutti sostengono che in futuro parte del territorio non sarà più coltivabile. Ma resta da sapere dove passerà il confine.

NOTE

c Le Monde

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