domenica 23 dicembre 2007

Gas liquido, mazzette e guerre

Gas liquido, mazzette e guerre

da Liberazione on line del 13 febbraio 2007

di Sabina Morandi
Era l’unico rigassificatore ad avere percorso tutto il processo di autorizzazione. Era quello che «va fatto per forza, altrimenti lo Stato deve pagare una penale». E’ finita che le irregolarità denunciate da quegli estremisti dei Comitati No Gas sono venute alla luce: sono stati arrestati l’ex sindaco di centrosinistra di Brindisi, Giovanni Antonino, l’imprenditore Luca Scagliarini e tre dirigenti della Brindisi Gas (Fabio Fassio, Fabio Fontana e Yvonne Barton), tutti coinvolti nel processo autorizzativo dell’impianto. L’operazione condotta ieri dalla Digos e dalla Guardia di Finanza ha portato anche al sequestro dell’area di Capobianco antistante al porto di Brindisi mentre a Roma sono in corso acquisizioni di documenti nei ministeri delle Attività produttive e dell’Ambiente.
Chissà come reagirà la lobby del gas, così insofferente a qualunque critica e pronta scagliarsi contro l’egoismo di campanile. Eppure le domande dei cittadini - ma serve davvero? Quali sono i vantaggi? E quali i rischi? - suonano più che lecite. Trasformare queste domande in preconcetti ideologici non è stato facile e ha richiesto la mobilitazione di tutti i principali mezzi d’informazione anche perché, ad opporsi all’ennesima opera faraonica, c’erano comitati civici trasversali e ben poco schierati. Come per Vicenza, per la Val di Susa, per il Ponte sullo Stretto e per gli altri rigassificatori «assolutamente necessari», le comunità locali chiedevano rassicurazioni concrete. Invece, grazie a una campagna mediatica intimidatoria e terrorista – che non ha esitato ad inventare di sana pianta una crisi del gas per spaventare gli italiani – le domande sono restate senza risposta e la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni non ha fatto che aumentare.
Eppure, parliamoci chiaro, quelle domande toccano il nucleo stesso del concetto di democrazia: quanto contano le opinioni della maggioranza dei cittadini rispetto alle decisioni dei cosiddetti tecnici? In quale caso è opportuno che l’interesse locale venga sacrificato a quello generale? Ma in fondo, senza andare a scomodare filosofiche dissertazioni sullo sviluppo, sull’ambiente e sulla decrescita, i cittadini dei Comitati hanno sempre portato avanti un bisogno di trasparenza che, ignorato dalla politica, sono stati costretti a perseguire da soli. Ed ecco che, con studio, testardaggine e impegno, le informazioni faticosamente raccolte con l’aiuto di esperti super-partes, hanno rivelato ovunque lo stesso scenario: vantaggi gonfiati, spese sottostimate e rischi sottovalutati o nemmeno presi in considerazione. L’affare del gas – che l’Italia compra a poco e può rivendere a molto – è destinato a beneficiare un ristretto gruppo industriale che, insieme alle imprese appaltatrici dei lavori, ricaverà profitti consistenti a danno di altri settori produttivi – la pesca, il turismo, e via dicendo – e lasciando in eredità alle future generazioni altre bombe ambientali sparse per il Belpaese. E questo nell’ipotesi migliore, quella cioè che impianti super-sperimentali come l’off shore di Livorno non saltino in aria come è accaduto il 19 gennaio 2004 in Algeria. Un rischio niente affatto remoto se negli States, dove è in corso un analogo assalto al gas liquido, le amministrazioni locali fanno sborsare milioni di dollari alle imprese per prevenire rischi che, dalle nostre parti, vengono disinvoltamente negati.
Ovviamente ci sarebbe molto altro da dire. Il fatto ad esempio che, a livello globale, il business del gas liquido viaggi sulla cresta di un’onda speculativa che ha ben poco di concreto – come dimostra il fatto che nessuno sta costruendo le navi criogeniche necessarie a trasportarlo. O che la conversione al gas sottragga importanti risorse necessarie ad avviare la transizione al di fuori dei combustibili fossili (fra cui il gas) prima dell’esaurimento. O, ancora, l’opportunità di sganciarsi da quell’industria del saccheggio e della devastazione ambientale che, per ammissione della stessa Banca Mondiale, è il settore estrattivo. Invece i gran bei discorsi sull’efficienza energetica e i lamenti sul clima restano confinati in un mondo a parte. Non è roba che interessi la politica vera, quella che decide le strategie energetiche dei prossimi vent’anni anni prima ancora di avere stilato un piano energetico nazionale (per sua natura troppo trasparente per consentire di portare avanti i soliti affari) o quella che, di conseguenza, dispone della nostra partecipazione alle avventure belliche. Perché una cosa è certa: al di là del voto della singola missione e della situazione contingente, non si può sperare di rispettare il mandato di una Costituzione pacifista senza cominciare a mettere mano al modello che alla guerra ci spinge: un assurdo sovra-consumo energetico che ci condanna a coprire le spalle ai nostri compagni di rapina, a qualunque latitudine.

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